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18/08/2008

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“La” tenente part-time

Clicca per Ingrandire Sonia Mancini, quarant’anni appena compiuti, giornalista a La7, portavoce nel 1996 del ministro Di Pietro, ha lasciato la scrivania per fare la volontaria in Iraq e ha risposto alle domande di Marco Brando.

BRANDO - Grado e reparto di appartenenza?
MANCINI - Sono tenente della Riserva selezionata dell’Esercito. Da oltre 5 mesi a Baghdad, sono il capo dell’ufficio Affari pubblici nella missione Nato di addestramento delle forze di sicurezza irachene. E sono la portavoce del generale di divisione Paolo Bosotti, vice comandante della missione.

B. - Cosa vuol dire essere nella Riserva selezionata?
M. - Che sono... part time.

B. - Part time? Ci sono i contratti a termine anche nelle Forze armate?
M. - Ma no. Nella vita faccio la giornalista a La7, a Roma. Succede così: si fa domanda per entrare nella Riserva selezionata, si sostengono test psicoattitudinali per accedere al corso di addestramento. Dura due mesi, nella Scuola di Applicazione e Istituti di studi militari, a Torino.

B. - Le materie d’insegnamento?
M . - Beh, ad esempio, trappolamenti.

B. - Trappola che?
M. - Trappolamenti: cioè, come individuare eventuali trappole collegate a mine ed esplosivi. Poi logistica, trasmissioni, tiro con fucile e pistola. Quindi tecniche di prevenzione e di difesa da attacchi nucleari, chimici e biologici. E anche Diritto delle relazioni internazionali.

B. - Promossa?
M . - Certo. Sono nel gruppo degli “esperti della Comunicazione”. L’Esercito può decidere di inviarmi in un teatro operativo per una durata complessiva di 24 mesi.

B. - Il lavoro da civile che fine fa?
M. - Si conserva, in base a una norma del 1932, la legge Marconi. Disciplina l’aspettativa in seguito alla “chiamata alle armi”.

B. - Bene. Infatti la chiamata è arrivata. Destinazione: Baghdad.
M. - Sì. Lavoro per lo più nella Zona internazionale o Zona Verde, quella blindatissima. Dall’altra parte, nella Zona Rossa, continuano a esplodere le bombe e non solo. Ci dividono i TWalls, barriere di cemento alte tre metri.

B. - Una giornata tipo?
M. - Mi sveglio presto. Metto la pistola Beretta nella fondina, indosso basco nero, divisa mimetica, elmetto e giubbetto antiproiettile. Si lavora tutto il giorno. Dormiamo in container mimetizzati, coperti di sacchi di sabbia: la mia compagna di stanza è un’ufficiale danese. Quando tutto va bene, i momenti di relax con altri militari di vari Paesi, diplomatici, funzionari internazionali e contractors si passano vicino alla piscina della vecchia ambasciata Usa. Noi italiani siamo una settantina.

B. - E quando va male?
M. - Ci sono i bunker, dipinti di giallo fluorescente. Non li perdiamo mai di vista. Se arriva l’allarme - una sirena e “Incoming” ripetuto più volte - si corre lì. Altrimenti, come mi è capitato una volta all’alba mentre ero nella mia stanza, si ha appena il tempo di buttarsi a terra: arrivarono cinque bombe di mortaio.

B. - Come minimo, una situazione un po’ claustrofobica...
M. - Claustrofobico stare a Baghdad e volare su un elicottero BlackHawk ogni settimana? No, lo assicuro... È bellissimo!

B. - Paura, niente?
M. - Sarebbe banale dire che non si ha paura in certi momenti.Tuttavia forse è più un pensiero che prende prima di arrivare qui. Poi si condivide una situazione che tocca a tutti, a noi e ancor più ai civili. E si prova grande solidarietà.

B. - Però in genere i giornalisti in posti come l’Iraq vanno a fare gli inviati.
M. - Lo so, lo so...

B. - Appunto. Come viene in mente a una giornalista, tranquilla dietro la sua scrivania a Roma, di andare volontaria in Iraq in divisa da tenente?
M. - Chi ha detto che sono tranquilla? Curiosa, semmai. Da sempre. Mi piaceva l’idea di vedere dall’interno come funziona l’esercito, capire cos’è lo spirito di corpo.

B. - Cosa pensano i genitori? E gli amici?
M. - I miei genitori sanno che sono un po’ matta. In senso buono, s’intende. E anche i miei amici. Sono contenta così. D’altra parte quando avevo 17 anni scrissi all’Accademia Navale di Livorno cercando di entrare come allieva ufficiale. Ma le donne allora non erano ammesse. L’ammiraglio che la dirigeva mi scrisse una lettera molto carina, dicendomi che avrei dovuto avere pazienza.

B. - Pazienza premiata...
M. - Già. Ora sta scadendo il mio primo periodo ma spero che mi rinnovino l’incarico.

B. - A proposito di incarichi, cosa fa la portavoce della Nato?
M. - Incontro giornalisti iracheni e internazionali, accompagno il vice comandante della Nato negli incontri con ministri e generali, e impartisco lezioni di comunicazione a ufficiali, funzionari e dirigenti iracheni.

B. - Che dicono gli iracheni quando si trovano di fronte un’ufficiale donna, alta, bionda e con gli occhi azzurri?
M. - Un po’ di imbarazzo c’è. Sono tutti maschi e non sono abituati alle donne al comando. Una volta durante un corso ho chiesto: “Qualche domanda?”. E un tipo ha esordito così: “Lei è sposata?”.

B. - La replica?
M. - Ho risposto con un sorriso: “Non fa parte delle materie d’insegnamento”.

Marco Brando

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