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27/07/2008

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La “compagna storica” di Paz si confessa

Clicca per Ingrandire Continua a Vico-San Menaio la lunga “convention” (durerà fino al 24 agosto) dedicata alla memoria di Andrea Pazienza. Il nostro omaggio all’ormai mitico fumettista attraverso un articolo pubblicato dalla rivista foggiana “Viveur” (che ringraziamo).

«Quando si vive accanto a un genio, il cuore batte a una velocità particolare, i pensieri si affastellano nella mente e raggiungono gli stimoli, le tentazioni, gli impulsi che si ricevono quando si trascorre il proprio tempo in compagnia di una persona speciale. Quando il genio si chiama Andrea Pazienza, quando i suoi disegni e persino i suoi scherzi lasciano intuire che è stato modellato con una pasta divina, la vita diventa un magnifico film, ogni momento si dilata per diventare esperienza, una fotografia scattata tra i campi diventa il germe di una creazione artistica, una corsa in moto si trasforma in un viaggio verso l’avventura, il vento scompiglia i capelli ma anche le mille idee che si avvicendano, si scontrano, producono magia.

La storia di Andrea Pazienza passa anche dalla provincia di Foggia: da San Severo, dove ha deciso di riposare per sempre, ma soprattutto dal Gargano, da quel lungomare di San Menaio che divenne il palcoscenico delle sue prime provocazioni, dei suoi primi messaggi artistici, e che gli permise di conoscere i giovani che sarebbero cresciuti con lui, che sarebbero diventati suoi amici ma anche fonte di ispirazione per i suoi fumetti o per la sua arte.

Quegli stessi ragazzi, con qualche filo d’argento tra i capelli ma con la stessa forza di allora, si ritroveranno sullo stesso lungomare che li vide spensierati e liberi, ignari di ciò che sarebbero diventati, forse inconsapevoli delle preziose energie che li animavano. Si rivedranno, ancora una volta, per “colpa” di Andrea: li ha voluti tutti lì, tutti insieme, e poco importa se sul calendario c’è scritto 2008 e non 1974, la voglia di ammirare Andrea sarà intatta, anzi maggiore. Lo celebreranno con il linguaggio che gli sarebbe piaciuto, con la pittura, i murales, la musica, la fotografia. Vite ImPazienti è l’evento che riporterà sulle coste del Gargano Pazienza, a vent’anni da quella scomparsa che sembra essere la sua ennesima beffa: una morte misteriosa, ambigua, che lo ha consegnato eternamente giovane al ricordo dei suoi amici e ai suoi ammiratori: anche i più giovani, quelli che si accostano oggi alle accademie e al mondo del fumetto, vivono nel culto di questo personaggio che continua ad affascinare grazie all’immensa eredità artistica creata con i suoi pennarelli.

Quelle vissute da Andrea Pazienza e dai suoi amici furono vite impazienti, ma furono anche vite impavide, impertinenti, impossibili da ripetere e impressionanti per il continuo mescolarsi di vita e arte, creatività e sentimento. Non a caso, nei segni e nei disegni di Pazienza trovarono posto le ansie, le esigenze, le esuberanze di un’intera generazione che aveva vissuto o sfiorato la contestazione giovanile. Il desiderio imperante era quello di sovvertire le regole prestabilite, non allinearsi, non permettere a nessuno di impadronirsi del tesoro più prezioso: la propria immaginazione. Andrea Pazienza non faceva arte, Andrea Pazienza era arte: lo conferma la sua vita, quell’esistenza agrodolce che accresceva vertiginosamente il suo fascino, lo confermano i ricordi di chi ha condiviso con lui anni di sentimenti che seppero passare dall’amore all’amicizia, come Isabella Damiani (nella foto in un disegno di Paz; ndr).

Accanto a Pazienza, la Damiani ha vissuto quindici splendidi anni, che verranno raccontati nel corso di uno dei tanti eventi programmati per questa estate, quando Andrea e i suoi amici si ritroveranno per merito di uno speciale incantesimo. Per incanto, Isabella tornerà a passeggiare con Andrea e si fermeranno un sacco di volte, per fare fotografie, stuzzicarsi, scoprirsi, proprio come avvenne durante il loro primo incontro.

“Ci siamo incontrati nel 1973. Avevo tredici anni. Il luogo dell’incontro fu, ovviamente, la sua adorata San Menaio: io sono napoletana, mio padre è di Vico del Gargano, per cui ci portava per tutta l’estate in vacanza vicino alla sua cittadina di origine. Un amico in comune, Claudio Ventrella, mi disse che voleva presentarmi due amici. Uno era Enrico Fraccacreta, ragazzo normalissimo, carinissimo, tranquillo; l’altro era uno scalmanatissimo Andrea Pazienza: mi fece un’impressione sconcertante. In quel momento, non immaginavo che sarei stata testimone della sua adolescenza. Aveva 17 anni, era pieno di sé, era bravo, capace, sapeva far mostra delle sue numerose capacità. Per spiegare la personalità di Andrea a quei tempi, lo definirei un monellaccio indomabile, con una componente infantile molto forte, che gli permetteva di stare al centro di qualunque situazione. Arrivò in questa casa piena di ragazzi continuamente alla ricerca di qualcosa con cui divertirsi… Non è difficile immaginare che cosa fosse San Menaio nel 1974: pertanto, ci inventavamo sempre qualcosa e riuscivamo a divertirci tantissimo con poco. In lui trovammo un complice perfetto, che assecondò immediatamente il nostro gioco di quel pomeriggio, travestendosi da donna: lo ricordo ancora, questo ragazzo di un metro e 86 che gira per casa con un vestito bianco a quadretti. Mentre lo truccavo, Andrea mi guarda e mi dice “Baciami, piccola” con l’aria di chi sa di poter ottenere tutto ciò che desidera. Io gli risposi con un bello schiaffo! “Come ti permetti?” gli chiesi... La seconda volta ci incontrammo proprio a casa di Claudio Ventrella, che abitava nel più bel palazzo del centro storico di Ischitella: era stata organizzata una festa in maschera e Andrea ed Enrico si presentarono con l’uniforme da ufficiale, con tanto di baffi, e ballavano il valzer con tutte le invitate. Ciò che mi colpì molto fu il fatto che Andrea toccava il sedere a tutte le ragazze, trovai molto sconveniente questa sua esuberanza: in fondo, avevo 13 anni. Lui, in compenso, non mi considerò assolutamente. Era ormai la fine delle vacanze, e io ripartii per Napoli. Qualche mese dopo, a me e alle mie sorelle arrivò una lettera di Andrea: “Carissime, non è necessario dirvi quanto sarebbe gradita la vostra presenza”. Era l’invito per una sua mostra, che si sarebbe tenuta alla galleria Convergenze di Pescara con la quale già collaborava. A quella lettera ne seguì un’altra indirizzata a me soltanto, scritta con un tono molto aggressivo: ad Andrea piaceva spiazzare, impressionare”.

Pazienza seppe spiazzare, impressionare Isabella anche l’estate successiva, quella che segnò il vero inizio del loro rapporto.

“Ritornai a San Menaio nell’estate successiva, l’estate del 1974. A casa trovai un bigliettino di Andrea, poche righe con le quali mi dava appuntamento in un bar. Quando ci incontrammo, mi sembrò che l’inverno che ci aveva separati fosse durato un attimo, che ci fossimo lasciati il giorno prima. Ebbe inizio, in quel modo, l’estate migliore della mia vita. Tra noi c’era un rapporto assolutamente impari, come quello che può esistere tra una ragazzina acerba e un genio in erba: mi stuzzicava, mi stimolava, e proprio in quel periodo capii che Andrea era una persona geniale, masticava filosofia e storia dell’arte con assoluta dimestichezza. Stare al suo fianco era quanto di più eccezionale potesse capitare nella vita di una ragazza così giovane. Ciò che mi colpiva di Andrea, poi, era la sua doppia personalità: da un lato spiccava per la sua vitalità, per la padronanza nel gioco (che conduceva sempre lui), per lo splendore della sua intelligenza, ma a questi momenti di grande lucidità e agitazione facevano eco altri in cui si lasciava andare alla malinconia, alla chiusura, che lo portavano a stare appollaiato per due ore su un albero o a gettare all’aria una pila di libri”.

Questo contrasto tra fragilità e spavalderia era un tratto tipico della sua personalità, forse il tratto più autentico...

“Era come se Andrea non avesse pelle: aveva una percezione molto accentuata dell’esterno, qualunque cosa poteva ferirlo a morte, un episodio ma anche una parola detta male”.

Quando pensa a Pazienza, quale aspetto del suo carattere rimpiange maggiormente?

“La sua grande generosità: tutte le persone che hanno conosciuto e frequentato Andrea hanno preso a piene mani da lui. Ma desidero precisare che io non penso ad Andrea come qualcuno che non c’è più. Se chiudo gli occhi lo rivedo vicino, stiamo parlando, lo sto fotografando… La sua immagine non è una cosa lontana… Anche per questo motivo, ho sentito il dovere di organizzare questa mostra e di testimoniare a tutti quale persona fantastica sia stato Andrea Pazienza. Sin dall’inizio, ho sempre conservato tutto ciò che lo riguardava: foto, disegni, lettere, biglietti. Più raccattavo tutte le sue cose, più lui mi prendeva in giro, dicendomi che ero il suo dossier personale”.

Lei è stata accanto a Pazienza fino a quando se ne andato. Le è mai capitato di essere in disaccordo con le sue scelte, con il suo stile di vita?

“Abbiamo avuto ottimi rapporti fino alla fine. Negli ultimi due o tre anni della sua vita ero piuttosto scoraggiata per questo rapporto più continuo con la tossicodipendenza. Mi dispiaceva che una persona così speciale si perdesse con una sciocchezza come la droga, credo che non avesse bisogno di alcuno stupefacente, anche se bisogna ricordare che a quell’epoca si aveva nei confronti delle droghe un rapporto meno cosciente, più leggero, non c’erano l’ informazione e la consapevolezza che potremmo riscontrare al giorno d’oggi. Comunque, mi dispiace quando ci si concentra sulla morte di Andrea: getta un’ombra scura sulla vita di una persona che sapeva sì divagare giocosamente sulla morte, ma che era un’esplosione continua di vita e di vitalità”.

Che cosa le ha regalato la sua esperienza con Pazienza? Che cosa resta, nell’anima e nei ricordi, dopo aver frequentato una persona che non sarebbe riduttivo definire un genio?

“Conoscere Andrea è stato, per me, un salto di qualità. Se non lo avessi conosciuto, non sarei quella che sono, nel bene o nel male. La sua presenza in una fase della mia vita come l’adolescenza è stata per me una chiave di volta che ha cambiato la mia percezione del gusto, dell’estetica, del piacere, del divertimento. Pazienza non ha mai fatto nulla per dovere, per sete di potere o di denaro, ma soltanto perché provava piacere nel farla. Infatti, questo gli ha permesso di restare sempre pulitissimo, è rimasto sempre un bambino, con quell’incredibile candore umano che era la sua maggiore bellezza. Ho avuto affianco un genio, una creatura baciata da Dio. Andrea non faceva arte, aveva in se l’arte: era come un magma vulcanico che veniva a galla, e che neanche lui poteva controllare. Andrea era un’opera d’arte vivente”.»

 “Viveur”

 

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