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24/03/2016

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POESIA x (e di) TUTTI: CHI È DI SCENA? Il Mondo di “Elios” (Elia Tavaglione)

Clicca per Ingrandire Ce ne scusiamo col curatore della rubrica - e coi lettori, se più avanti indulgeremo nell’uso dell’«io» abbandonando il «noi» - ma non possiamo impedirci di aprire questa puntata di “Poesia” con un nostro intervento. Le motivazioni affioreranno nel corso della lettura. Sì, perché per un attimo la nostra iniziativa cambia direzione: non più l’autore che si premura - per ambizione personale e un pizzico di narcisismo, che non fa mai male in certe situazioni, diciamo, culturali - di inviarci la sua produzione, come è accaduto finora, ma il figlio… perché il papà non c’è più. Suo malgrado è stato trasferito nelle vaste praterie del suo Dio, un Dio che amava tanto e non perdeva occasione di ossequiare. Teo, il figlio, mettendo in ordine le carte di famiglia, ha ritrovato un paio di espressioni poetiche scritte da “Elios” (diremo poi il perché di tale pseudonimo), il padre, al secolo Elia Tavaglione. Peschiciano.

Autorizzandoci a pubblicarle, le ha messe a nostra disposizione e, se avrete la pazienza di scorrere queste note, fra poco ne leggerete una, che pare dedicata a se stesso. Quindi ci ha raccontato la Sua storia, da noi conosciuta in parte. Elia nasce il 20 marzo 1938 e poco più che ventenne vola a Torino, dove già si è trasferita la sorella maggiore. E’ il tempo delle valigie di cartone tenute chiuse dallo spago e dei cartelli sui portoni “non si affitta ai terroni”. Sono gli anni delle grandi emigrazioni del Sud verso l’altra-Italia. Il richiamo è forte e pressante: le possenti economie e le ‘grosse’ società industriali, le ‘fabbriche’, sono là, in Piemonte, in Lombardia… E a Torino c’è la Fiat, che ingoia quotidianamente migliaia di lavoratori. Fra questi finisce anche il combattivo eppur pacato Elia, manifestando sempre una personalità rispettosa e discreta. Reduce dalle quiete atmosfere del seminario laziale di Morlupo, dove ha studiato e trascorso l’adolescenza imparando ad amare il Mondo Latino, se lo porterà nel tempo come indispensabile bagaglio personale. Ricche di citazioni in questa lingua ‘morta’ saranno tutte le sue conversazioni con amici e non.

A Torino, città che offre mille possibilità esistenziali, il ‘nostro’ Elia non trova solo il lavoro, ma anche la possibilità di dare sfogo alla sua interiore smania di conoscenza. Così si avvicina all’arte fotografica, che insieme alla musica diventa la sua passione più sfrenata. Dopo le ore in fabbrica, è uno studio fotografico che ne accoglie il tempo libero. Mai sazio di nozioni e cognizioni, assorbe come una spugna ogni insegnamento del suo Pigmalione, al punto che in lui un desiderio s’ingigantisce, si trasforma in impellenza, favorita e avallata dalla nostalgia che prende ciascun peschiciano quando si trova fuori del proprio paese (pur sapendo che si sa dove si nasce ma non si conosce il luogo dove si morirà): lasciare la Fiat, tornare a Peschici e aprire uno studio fotografico. Ormai, le competenze sono al top.

E’ la fine degli Anni Sessanta, i tempi sono propizi. Da qualche anno la cittadina garganica sta conoscendo una nuova immagine, un diverso trend. Glieli sta offrendo il turismo su un piatto d’argento. La possibilità di dare sfogo alle personali abilità nel settore di cui Elia è diventato maestro sono aumentate a dismisura. Non si scappa più dal paesello per andare a cercare lavoro altrove. Ognuno si sta industriando per ricavare i maggiori frutti da questa manna caduta dal cielo. E’ tempo di tornare a casa. Peschici ha così il suo fotografo ufficiale. Il primo, se si eccettua il dilettantismo di una alimentarista del luogo che scatta foto-tessera in mezzo alla strada, con un lenzuolo bianco appeso alla facciata di vetusti edifici, alle spalle del soggetto da immortalare. Il suo momento è arrivato: foto su foto, scatti dopo scatti, pose e ancora pose, trasferite in cartoline, viaggiano nel mondo intero spedite dai nuovi invasori: i turisti.

Battesimi, comunioni, cresime, matrimoni, diventano il suo pane quotidiano. Ed è così che nasce lo pseudonimo “Elios”. E’ la sua ‘ditta’, il suo logo, la sua nuova denominazione. D’ora in poi non ci sarà nessuno che non lo chiami così. Di Elia ce ne sono tanti in paese - non può essere altrimenti, essendo Elia il santo patrono della località - ma di “Elios” ce n’è uno solo. “Elios”, il sole, la luce di cui ha bisogno ogni immagine da eternare, la firma di un artista che continuerà a girare sul territorio con l’immancabile macchina fotografica appesa al collo anche dopo aver smesso l’attività, sino ai giorni finali. L’ultima rimastagli dopo aver abbassato la saracinesca per la chiusura definitiva, causa l’invadente avvento delle ‘usa-e-getta’ prima e delle ‘digitali’ poi. Un colpo basso alla sua arte, alla sua capacità di cogliere l’attimo fuggente, alla sua sensibilità di autore dal brand inconfondibile.

Fotografia e Musica, si scriveva. Durante i primi anni del rientro a Peschici, infatti, crea e amalgama un gruppo di strumentisti del luogo che lo accompagnano nei veglioni, nelle feste comandate, negli eventi della goliardia, importata da Università lontane, di studenti figli di famiglie abbienti, in qualunque occasione buona per manifestare e dimostrare il suo estro e la sua abilità nel riuscire a farla bene. Nasce così la band “Elios e i suoi Satelliti”. Serate danzanti e appuntamenti musicali non mancano in un paese che fino allora era rimasto chiuso nella sua tana, incistato in una nicchia di isolamento dal resto del mondo. “Elios” canta, suona, fa management, lancia al mondo il proprio grido di gioia che il suo Dio gli ha permesso di urlare al vento, e il vento porterà lontano. “Elios” vive la sua stagione migliore, che si protrarrà fino all’inevitabile pensionamento.

***

I ricordi si snocciolano, durante le sue ultime estati, seduti ai gradini di un ‘mugnale’ nella città vecchia, di fronte alla ‘bottega’ di Michelino, novello imprenditore turistico. E mentre parla, infiorando l’eloquio di citazioni evangeliche, osserva. I suoi occhi non stanno fermi un solo istante. Registrano sulla pellicola di un microfilm tutto personale i nuovi atteggiamenti portati dalle nuove presenze. Il turismo impera e le occasioni di misurarlo non mancano. La sua attenzione maggiore resta sempre la fotografia. Annota quante ‘digitali’ gli passano davanti e alla fine si stanca. “Non ne ho visto ancora uno che non ne sia fornito”, esclama a un certo punto. “Non voglio contarle più!” Il passato non ritorna e il progresso è inarrestabile.

Poi, immancabilmente, la memoria va alle sue ultime produzioni. Come impossibile è bloccare uno tsunami, così è risultato impossibile arrestare la sua creatività. Negli ultimi anni, infatti, tra soddisfazioni e delusioni, ha trasferito la sua viscerale abilità artistica nella composizione di presepi assolutamente non ortodossi, stroboscopici, dai mille significati, in luoghi sacri e profani … la chiesa del Purgatorio nel cuore del Centro Storico, un antico frantoio adattato a galleria commerciale in un vicolo del borgo antico … ponendo in essere per intero estrosità, capacità creativa, ideando e mettendo a punto effetti cinetici e di luce fantasmagorici, spettacolari. “Sai chi ha visto per primo il mio primo presepe?” mi spara a bruciapelo in una delle tante conversazioni sui famosi gradini (c’è ancora il suo nome sulla alzata di uno di essi, a indicarne il diritto di seduta). Lo sapevo, ma non volli estorcergli il compiacimento di dirmelo. “La buonanima di tua moglie.”

Sapendomi solo, aveva preso l’abitudine di venirmi a trovare, di tanto in tanto. E ogni volta era una sorpresa. “Cosa ne pensi di questo” e mi porgeva l’album delle ultime foto scattate. “E di questo?” e tirava fuori dalla tasca, dove lo aveva tenuto ben nascosto, uno scritto fatto di pensieri, emozioni, sentimenti. “Si potrebbe pubblicare?” chiedeva, senza pretese, con l’umiltà del sapiente che sa di non vedere vanificate le proprie azioni. Sempre rispettoso e schivo, riservato e quasi ritroso. Sempre nel dubbio di aver interrotto il mio lavoro e premuroso nell’annunciarmi che mi avrebbe rubato solo qualche minuto. “Elios”, amante del bello e della perfezione, amico di tutti e da tutti - o quasi - mai apprezzato col giusto merito. Un ‘incompreso’, si potrebbe dire, pur dimostrandosi in ogni momento della sua esistenza modesto e confidenziale.

La sua ultima apparizione in pubblico, assolvendo fino in fondo alla personale convinzione fideistica, è stata la partecipazione attiva alla ripresa di una tradizione che non si ripeteva più da tredici anni: la “Passione vivente”, nella Pasqua del 2013. Poi, il declino. Una prima operazione, un impianto nell’organo motore per rimetterlo in funzione, una prima ripresa che sembrava aver annullato rischi e pericoli, e… il tracollo, in piena estate, il 31 luglio 2015, in quell’altra-Italia da cui era fuggito più di cinquant’anni prima e in cui gli eventi legati alla salute lo avevano riportato. “Si sa dove si nasce ma non si sa dove si muore”. Caro “Elios”, se ci osservi, il tuo desiderio si sta avverando: stai per vedere pubblicata una tua poesia (p.g.).


EPIGRAFE PER UNA LAPIDE A UN AMICO SCOMPARSO

in noi, con noi, sempre tu sei…
anche se la tua immagine
si è fatta ormai eterea, sfuocata
come stella cadente…
compare, scompare, riappare,
si muove, si ferma, ci osserva
accolta dalla luna calante
a volte la vediamo
giganteggiare di spalle
con le mani protese
nell’universo notturno…

ma all’improvviso
nel cielo buio
ci sorprende una scritta
fatta di piccole luci:
viva la vita che
muta, incessante
come nuove armonie
di un unico immenso
canto d’amore!


IL COMMENTO DI VINCENZO CAMPOBASSO = Mi sento piccolo, piccolissimo, davanti al soggetto che l’Autore ha inserito, con sapienti spennellature, nel componimento poetico. Parole semplici ma di un grande ‘sentito’, di grande effetto, quelle del compianto “Elios”, forse poeta suo malgrado, forse poeta inconsapevole di esserlo, ma certo capace di esprimere al meglio i sentimenti umani verso le persone che ci sono state care.

Nel suo insieme, questa che voleva essere una semplice ‘epigrafe per una lapide’, si snoda come un ossimoro, contenuto di sensi contrari impossibili da tenere - e a tenersi - separati.

Ed “Elios” spazia da affettuosi momenti di memoria, dove aleggia il fantasma dell’amico, a momenti nei quali si sprigiona l’inno alla vita, l’inno all’amore, caricandoli di lirismo, seppure invisibile. Il tutto è il condensato del grande bagaglio di esperienze maturate durante la sua esistenza, sempre breve - qualunque ne sia stata la durata - per chi avrebbe avuto tanto da raccontare e da esprimere, ed è stato obbligato a sottrarsi allo sguardo dei viventi.


NB. Foto del titolo: Peschici, interno chiesa di Sant’Elia ‘apparata’. Uno degli ultimi scatti fatti da “Elios”.

 Redazione

 

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