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04/03/2016

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POESIA x (e di) TUTTI: CHI È DI SCENA? Antonio Monte

Clicca per Ingrandire “Due volte nella polvere, due volte sull’altar” dice, di Napoleone Bonaparte, Alessandro Manzoni nell’ode “Cinque Maggio” dedicata al grande Corso. Ad Antonio Monte, seppure tante peripezie abbia affrontato, non è capitata la stessa sorte di Napoleone. Nato tredicesimo di quattordici figli, molti non pervenuti a maturità, Antonio parte, per così dire dalla polvere, e perviene a cogliere successi di vita inimmaginabili nella sua infanzia, sia per la modestia della sua casa, sia per la sua salute alquanto cagionevole che non gli consentirà nemmeno di completare il primo ciclo di studi, interrotto alla 3ª classe delle Elementari (o, come adesso si dice, delle Scuole Primarie).

Le magre possibilità economiche gli fanno interrompere anche il prosieguo degli studi dopo la licenza media inferiore, dove le sue capacità intellettive, sia pure in ritardo, lo avevano fatto accedere, dietro consiglio e suggerimento di una insegnante che gli aveva sentito suggerire la data della morte, proprio di Napoleone, a un compagno di scuola. Diventa, così, pastore. Ma non è la sua sfortuna, anzi! Trova pastori abruzzesi la cui cultura è ben al di sopra della loro professione, perché, prima di essere indirizzati a questa, i genitori li avevano tenuti presso scuole di religiosi salesiani.

Dunque, fra scuola di costoro e palestra della pastorizia diffusa per i pascoli, molte volte più ricchi di spini che di erbe, Antonio cresce. Lascia poi questo ristretto mondo e dalla sua San Nicandro Garganico, dove aveva avuto i natali il 1° dicembre 1942, raggiunge la Lombardia per lavorare, prima in una ditta di elettrochimica, poi in banca, pur con qualifica di ‘uomo di fatica’, come lui stesso scrive in tre nutrite pagine di note autobiografiche. Da quella banca, passa a un’altra, assunto per le sue qualità atletiche di ciclista, mietendo successi per sé e i suoi datori di lavoro i quali, apprezzatene anche le qualità intellettuali e culturali, lo assegnano a seguire ben altra carriera che, in età pensionistica, lo vede nel ruolo di funzionario.

Il Tfr (Trattamento fine rapporto; ndr) gli consente di acquistare un vecchio bunker tedesco e su di esso, di fronte al mare, costruisce la sua casa: a Varazze. Qui, tanto s’industria che, alla fine, riesce a ricrearvi un angolo del Gargano. Il Gargano che non ha mai dimenticato, il Gargano che spesso torna a visitare, il Gargano che lo vede presente anche ai recenti festeggiamenti in onore del Cantore di Carpino Antonio Piccininno (foto 1 sotto; ndr) nel giorno del suo centesimo anno di vita, il Gargano che gli ispira molte poesie, fra cui “Paese del Gargano”, di persona declamata al famoso ‘Cantore’ il 20 febbraio scorso, e quella che stiamo per presentare ai nostri lettori con il molto significativo titolo “Amo il Gargano”.

Ben sette capoversi (non voglio chiamarli strofe, in quanto l’Autore si è astenuto, per innata modestia, dal dare loro questo nome) iniziano con “Amo”. Un presente indicativo che la dice lunga su questo amore sviscerato per il nostro Promontorio “selvaggio e scosceso”, ricco di “scalinate”, di “salite” e di “discese”. Ne ama i “poveri ed i benefattori”, ne ama “le usanze e le tradizioni”, convinto che il Gargano sia culla di “persone perfette / che san donare con affetto”, crogiuolo di gente operosa, capace di combattere con ostinazione contro l’accanimento della “siccità” e rendere produttiva la pietrosa e spesso polverosa terra.

Ama il Gargano e lo ama esprimendo il proprio amore con ricercatezza di rime, assonanze, pregnanti aggettivi che, al suo pensiero, risultano capaci di far rifulgere la Culla da cui, con la necessaria rassegnazione, ha dovuto materialmente allontanarsi. Ode gentile e appassionata che denota, da una parte la sua ‘naïveté’, ingenuità, il suo candore di poeta, dall’altra la sua caparbietà, la sua ostinazione a vendicarsi della poca generosità mostrata dal suo destino verso una formazione più compiutamente classica, anelito evidentemente soppresso, per fare spazio ad altre esigenze vitali.

Vincenzo Campobasso


AMO IL GARGANO

Amo…
l’aspro territorio
ogni angolo del Promontorio
così selvaggio e scosceso
le scalinate del paese
le salite, le sue discese.
Amo…
i poveri e i benefattori
le usanze e le tradizioni
chi trascura il proprio aspetto
esprimendosi non corretto
fa cultura in dialetto.
Amo…
chi al cane selvatico
lancia il companatico
persone perfette
che san donare con affetto
il sorriso, il rispetto.
Amo…
chi produce l’utilità
nonostante la siccità
con lavoro massacrante
sotto il sole scottante
dall’alba al tramonto suda in ogni istante.
Amo…
chi tanto ne ha bisogno
e mai chiede il sostegno
quell’orgoglio contadino
che sa di Divino
per come accetta il suo destino.
Amo… chi non pretende l’utile con autorità.
Amo… chi si rende utile alla comunità.


Finisce qui, per il momento, l’ultima e bella fatica del curatore di questa rubrica, Vincenzo Campobasso. Eppure non può concludersi così. Il motivo lo ha sfiorato proprio lui, il curatore, quando scrive: “…in tre nutrite pagine di note autobiografiche”. Pagine che abbiamo letto con crescente commozione man mano che entravamo in un mondo a noi lontano ma sempre più vicino dopo ogni parola, ogni frase, ciascuna confessione. Mondo che ci ha dato i brividi per la lotta esistenziale che risaltava da ogni periodo, ciascuna delle fasi che venivano dipanate con tanta semplicità e modestia, senza rabbia, senza sentimenti di rivalsa, e con tanta, tantissima umiltà, discrezione, rispetto per tutto e tutti.

L’autobiografia scritta da Antonio Monte ci ha impressionato a tal punto che abbiamo deciso di renderla pubblica quanto prima, perché non può rimanere secretata negli effimeri ‘pin’ di una tastiera informatica. Ha bisogno di maggiori spazi, di gente che la legga, l’approfondisca, la “rifletta”, la faccia sua. Più semplicemente: la conosca. Per la forza caratteriale che scaturisce da ogni rigo, la caparbietà di non arrendersi, mai, la volontà di non farsi schiacciare dalle avversità, la magmatica anima che si rialza a ogni ‘scoppola’ della vita. E con la biografia, accompagneremo una lirica dello stesso autore estrapolata dal pensiero, che qui non appare, vergato in coda alla poesia di questa puntata.

E’ il solo, dimesso, omaggio che ci sentiamo di fare a un Uomo - e alla sua umanità - per cui gli aggettivi ridondanti pletorici barocchi che si potrebbero utilizzare, risulterebbero retorici, semplicemente perché non riuscirebbero mai a raffigurarlo appieno. Un ‘self-made-man’ di altro pianeta che, nel corso della appassionante lettura, abbiamo istintivamente avvicinato ai protagonisti di quelle fantastiche, quasi inimmaginabili storie americane dove un modesto distributore di giornali diventa proprietario di un impero editoriale. E se il suo poetare può non soddisfare il palato fine di qualche estimatore del settore, la sua parabola umana è al di sopra di ogni critica e valutazione.

 Redazione

 

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