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29/02/2016

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ALTRO CHE RICERCHE PETROLIFERE

Clicca per Ingrandire Era il 14 luglio 1974 quando a seguito di una terribile quanto assurda collisione fra navi al largo di Otranto, affondava la nave “Cavtat”, poi oggetto di una delle più importanti opere di recupero del carico che si siano registrate nei mari italiani a seguito dell’attività d’inchiesta dell’allora pretore di Otranto e poi senatore Alberto Maritati.

In un bell’articolo del 5 marzo 2014, il giornalista Gianni Lannes, ricordava: “La Cavtat era partita il 28 giugno dall’Inghilterra, porto fluviale di Manchester. Destinazione: Rijeka-Fiume. 2.800 tonnellate di carico. E in più, duecentosettanta tonnellate di piombo, tetraetile e tetrametile, in 909 bidoni trasportati per metà sopracoperta e per l’altra metà nelle due stive. La Lady Rita [ndr, l’altra nave], invece vuota, navigava in senso inverso: destinazione Djela e Casablanca. Di questi, ufficialmente 863 furono recuperati nel 1978”.

Infine, sempre lo stesso giornalista pone un’inquietante domanda: “Una parte dei veleni è ancora nel relitto della Cavtat?”. Questo è il quesito che oggi, specie dopo la diffusione dei dati epidemiologici sull’incidenza di tumori nel Salento, in particolare in alcuni Comuni rivieraschi, torna nella mente per cercare di comprendere se vi siano concause per quella che sembra una vera e propria epidemia diffusasi nella provincia di Lecce, probabilmente non determinata da una sola fonte, ma da più scaturigini che andrebbero tutte indistintamente vagliate.

Nel corso degli ultimi quarant’anni, infatti, molti si sono chiesti se le operazioni di bonifica avessero risolto quello che poteva certamente essere un disastro ambientale di proporzioni indefinibili, anche perché il relitto giace ancora a 93 metri di profondità e solo a tre miglia dalla costa salentina, mentre risulta tuttora in vigore l’ordinanza della capitaneria di Porto di Brindisi che vieta la navigazione e la sosta in quel punto.

“Sembra dunque arrivata l’ora - rileva Giovanni D’Agata, presidente dello ‘Sportello dei Diritti’ - delle verifiche a partire dal Ministero dell’Ambiente, data anche l’evoluzione delle tecniche e delle ricerche che si è realizzata nel corso degli ultimi quattro decenni. Verifiche che vorremmo si estendessero a tutta la costa salentina (senza dimenticare le garganico-tremitesi o le pugliesi in generale; ndr) per controllare se vi siano altre ‘Cavtat’ o altri carichi pericolosi ancora in fondo al nostro meraviglioso mare, al posto delle inutili indagini petrolifere”.





 Redazione (foto youtube)

 

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  Commenti dei Lettori:

-- 01/03/2016 -- 13:39:02 -- vincenzo

Se, partendo dalla battigia, per non meno di cento metri, non si fa che trovare immondizie d'ogni specie ed ordine, cosa si troverà alla distanza di transito dei vari natanti? E non ci saranno, oltre che fusti pieni di veleni, anche bombe e serbatoi sganciati dai velivoli militari operanti durante la guerra del Kosovo? Sì, altro che trivelle! Qui si dovrebbe fare un lavoro di ispezione e recuperi all'insegna della coscienza schietta e pulita. Ovviamente, senza pensare ai costi, poiché la salute, la vita umana, non hanno costi! Basterebbe aggiustare i conti della CASTA!

 
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