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08/07/2008

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UNA DOMENICA AL MARE DI TANTI ANNI FA

Clicca per Ingrandire I brevi filmati della Settimana Incom, sfuggendo alla stilizzazione dello stereotipo, riescono a restituirci - più di tanti “classici” libri di storia - l'impatto del reale, il senso simbolico delle immagini, mostrandoci il "visibile" di una società e il suo "invisibile".

Siamo verso la fine degli anni Quaranta/inizio anni Cinquanta. È il tempo delle occupazioni delle terre, delle rivendicazioni per la riforma agraria. Il tema della giustizia sociale è divenuto patrimonio talmente condiviso che anche i media del tempo fanno la loro parte. L’Istituto Luce gira alcuni video sul tema. Il primo filmato, I braccianti pugliesi, datato 24/11/1948, dura soltanto un minuto e 14 secondi, fa parte del cinegiornale della Settimana Incom 00215; ambientato nella zona di Andria, di Corato, di Bitonto, è dedicato alle disumane condizioni di lavoro dei braccianti del Meridione. La Puglia, in particolare, presenta luoghi difficili da coltivare, che non assicurano affatto una vita dignitosa a chi si cimenta nell’arduo compito.

La macchina da presa “zuma” su una vacca smagrita brucante la poca erba del pascolo, seguono immagini di contadini dissodanti il terreno con le zappe: uno si asciuga il sudore della fronte, un altro lavora i campi con un aratro trainato da un cavallo. Il commento dello speaker è asciutto: «Qui tutti gli anni sono anni di vacche magre. Non gleba, non zolle, ma crosta di terre e pietre e poche cipolle per il desinare». I braccianti pugliesi svolgono un lavoro faticosamente manuale: «I solchi li fanno ancora con l’aratro a chiodo». Le loro condizioni di vita sono precarie. Dopo le dure giornate di lavoro sotto sole, vento e pioggia, non possono neppure tornare a casa. Le loro abitazioni sono troppo lontane. I paesi troppo distanti. La campagna pugliese non offre la comodità dell’insediamento sparso tipico di altre regioni d’Italia. I braccianti non hanno luoghi dignitosi ove dormire, ogni giorno i ripari dalle intemperie sono tutti da inventare. Utilizzano i materiali che trovano in campagna per costruire improvvisati pagliari, simili a nuraghi sardi: «Con la pietra costruiscono le capanne per quando fa notte».

Costretti a spostarsi continuamente per raggiungere i campi da coltivare, i loro giorni di lavoro non bastano ad assicurare il minimo vitale. Sono giorni contati, pochi in confronto alla lunghezza dei giorni dell’anno. I braccianti pugliesi «lavorano in media 190 giorni all’anno, ma la famiglia bisogna sfamarla per 365 giorni all’anno!». Un lavoro soggetto all’alea della concorrenza, alla lotta tra poveri: ogni mattina vanno in piazza a cercare l’ingaggio. Una sfida quotidiana. I padroni la fanno da padrone: scelgono gli elementi più adatti alle loro esigenze. Una vita insopportabile, che suscita innati sentimenti di aggregazione, di lotta. Lo speaker parla di organizzazioni di base: «Già sono sorte le comunità dei braccianti, un primo spiraglio». E, in fondo, le loro sono rivendicazioni minime: «Vogliono non garanzia di lavoro, ma speranza! Spesso vale quanto il pane!».

Il filmato si chiude con la visione di una donna seduta sulla porta di casa. Accudisce, tenendolo sulle sode ginocchia, il suo bambino di pochi anni, speranza dell’avvenire. Contadini in bicicletta attraversano le vie del paese, con un significativo passaggio davanti alla sede della Comunità dei Braccianti. Una speranza che in quegli anni si identificò nella mitica figura del sindacalista Giuseppe Di Vittorio (affiancato ai santi nelle abitazioni bracciantili degli anni Cinquanta; ndr). La sua leadership animò fortemente le campagne pugliesi negli anni Cinquanta, dando speranza di riscatto ai braccianti.

Già nel 1951 si respira un clima diverso. Siamo alla vigilia della Riforma fondiaria del 1953. La settimana Incom 00623, il 20 luglio 1951, presenta un filmato di un minuto e 23 secondi. L’aspetto inedito di vita contadina si intuisce già nell’accattivante titolo di colore: Domenica al mare coi braccianti pugliesi. Le immagini ci visualizzano carretti trainati da asini che vanno verso il mare, due uomini che tagliano funi per costruire tende sui carri e riparare i bambini e le donne dal sole cocente. «Ai caldi infuocati dell’estate - spiega lo speaker con voce stentorea - anche i braccianti hanno diritto a qualche svago, e soprattutto al refrigerio. E allora cosa fanno? Quando viene la domenica, attaccano il traino e tutti a bordo! I braccianti di Barletta e delle Puglie se ne vanno al mare, bagnanti per un giorno: non occorrono stabilimenti: dei carri fanno capanno, c’è pure il bar sulla spiaggia fornito di un ricco repertorio!».

Ecco un gelataio preparare coni e consegnarli a un uomo che tiene in braccio una bambina. Lo speaker fa qualche battuta ironica sulle «camicie refrigeranti con circolazione d’aria indossate dai bagnanti, una moda che un giorno sarà copiata a Capri, al parcheggio per i rotabili, alle elegantissime che per l’occasione si vestono a festa», mentre le immagini inquadrano bellezze contadine intente a fare il bagno con indosso castigatissimi vestiti, e i contadini accampati sulla spiaggia che si difendono dal sole con larghi cappelli di paglia.
Ma per un giorno, finalmente, anche i braccianti pugliesi sono giunti «al miraggio azzurro che brillava in mezzo ai campi. Vogliono condividere il refrigerio e la gioia con gli animali che hanno lavorato tutta la settimana con loro. Anche gli zoccoli dei muli attraversano il lido sassoso».

Cosa pensano gli abituali frequentatori della spiaggia di questi anomali bagnanti domenicali? Un dejà vu. Li chiamano «gli zingari del mare». Perché arrivano soltanto la domenica e si portano tutto da casa, persino l’acqua per cucinare. Mentre un cane nuota e i bambini giocano nell’acqua, le donne preparano un succulento pranzo, su un fuoco improvvisato sull’arenile. E lo speaker del cinegiornale Luce chiude, con fare nostalgico: «Al sentore salino si mescola l’inconfondibile sapore dei cibi arrivati al punto di cottura. Ma che buona vecchia sapienza casalinga nel sapore, negli odori di questa zuppa!». Tutta la famiglia mangia con gusto, alla relativa frescura di tende improvvisate.

«E per chiudere, il melone!». È l’immancabile anguria, tenuta in fresco nelle azzurre acque marine, a completare l’inusuale pranzo sul lido.

Teresa Rauzino


 Redazione

 

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