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02/06/2014

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SFIZIOSA (… E DEPRIMENTE) CHICCA SULLA ABAZIA DI CALENA

Clicca per Ingrandire Mentre procede spedita l’operazione-Fai, Fondo ambiente italiano, lanciata dal 7° censimento dei “Luoghi del Cuore” (per Peschici l’Abazia di Calena, in particolare) e mentre ci arrivano notizie confortanti sulla iniziativa di alcuni volenterosi operatori turistici locali che raccolgono firme su moduli all’uopo predisposti, scopriamo una chicca strepitosa che pone gli attuali sostenitori del recupero in seconda linea nella speciale classifica dei ‘salvatori’ del cenobio benedettino.

Se infatti il Centro Studi “Giuseppe Martella”, con la sua presidente Teresa M. Rauzino, ha iniziato il 1997 la sua ‘lotta’ pro-Calena contro l’abbandono in cui l’Abazia versava - e continua a versare, - la bellezza di sedici anni prima c’era stato già qualcuno che aveva cominciato a denunciare lo stato pietoso della struttura e pretendere provvedimenti urgenti. La domanda a questo punto nasce spontanea: ma chi è questo ‘qualcuno’!? Stentereste a crederlo, ma quel ‘qualcuno’ erano esattamente i ‘possessori’ di Calena, cioè chi la utilizzava come residenza estiva e la teneva sempre aperta e accessibile, non solo l’8 settembre, festa della Madonna. Sì, la Famiglia Martucci.

Per completezza d’informazione - e per non dover credere sempre e comunque alla presidente del Centro “Martella” ormai da molti considerata una specie di ‘rompiscatole’ (salvo poi vedere la faccia che faranno quando l’Abazia crollerà… dio ce ne scampi e liberi!) - invitiamo il lettore a scorrere le righe che una componente della famiglia Martucci, Maria, vergava il 1981. Tratta dal saggio “S. Maria di Càlena. Analisi dello stato di degrado”, la perizia tecnica recitava:

«La “chiesa nuova” di S. Maria di Càlena presenta uno stato di generale fatiscenza e, localizzate, situazioni statiche di una certa gravità. I primi danni alle strutture si fanno risalire al terremoto del 1627 che avrebbe provocato il crollo delle volte a crociera. Nel 1943 la seconda metà del tetto a falde cedeva lasciando l'edificio a metà scoperchiato. Attualmente l'altra metà, in stato di visibile fatiscenza, si mostra con le falde avvallate, col manto di tegole sconnesso e con la capriata e gli arcarecci deformati.

«L'eventuale intervento di consolidamento - prosegue - rende quindi necessaria la individuazione dei fattori di deterioramento del manufatto ed un esame conoscitivo delle tecniche e materiali adoperati per la costruzione. È noto infatti che la diversa natura chimico-fisica dei materiali e le differenti tecniche di utilizzazione degli stessi, a parità di sollecitazioni, portano a differenti manifestazioni di degrado sulle superfici dei muri.

«Il monumento in questione - continua, - costruito in conci quadrangolari di pietra calcarea, presenta sui muri longitudinali della navata alcune lesioni che seguono la linea di congiunzione dei conci. Tali fessurazioni possono imputarsi a sovraccarichi delle strutture, a fatti sismici e a fenomeni connessi. V'è da notare per contro che le lesioni appaiono bloccate e richiedono al più presto un semplice intervento di sutura. Più grave è il problema dell'umidità. La sua soluzione è determinante per la conservazione del manufatto. Estese zone di superfici murarie appaiono imbevute d'acqua e talora coperte di muffa.

«Il tipo di pietra usato - spiega - consente che per capillarità l'acqua salga alta nei muri nel cui notevole spessore se ne raccoglie più di quanta la superficie esterna dei muri stessi riesca ad eliminare con l'evaporazione. E l'abbazia è situata nel punto più basso della piana di Kàlena in vicinanza del mare. Si aggiunga che la chiesa fu eretta quale ampliamento di un'altra più antica già esistente; si volle quindi impostarne il pavimento allo stesso livello della prima. Oggi tale pavimento è al di sotto di un metro circa rispetto al piano del giardino che lo fiancheggia sui lati est e sud; in tal modo la struttura riceve ulteriore umidità per contatto laterale.

«Vi è infine l'acqua meteorica - aggiunge - che attraverso i dissesti e le fessurazioni della copertura e delle murature, oltre al danno diretto alle parti non difese, alimenta un'abbondante vegetazione che trattiene l'acqua e penetra con le radici, là dove riesce ad inserirsi nelle fenditure, accelerando l'opera di deterioramento dell'edificio. Allo stato dei fatti per impedire un ulteriore degrado della struttura occorrerebbe intervenire:
- sul tetto: riassestando con eventuali sostituzioni l'orditura in legno e il manto in tegole;
- sulle strutture verticali: con appropriati scavi di drenaggio e inserimento di sifoni atmosferici per ridurre i danni da umidità;
- sulle lesioni: con opere di sutura;
- liberare infine le strutture dall'abbondante vegetazione.

«Le brevi note qui riportate – conclude - non hanno inteso esaurire l'argomento: una analisi più approfondita con adeguata strumentazione sarà necessaria se si deciderà di intervenire concretamente sul monumento. Esse costituiscono soltanto una premessa per programmare in un futuro un intervento che l'interesse storico e artistico dell'opera giustifica.»

F.to: Maria Martucci


Come commentare: siamo senza parole! Una sola chiosa: perché ‘prendersela’ oggi con la presidente del Centro Studi “Martella”, se ha fatto sua l’intera problematica portandola avanti nel tempo e ‘insistendo’ pervicacemente nella sensibilizzazione delle coscienze, e non invece con chi ‘sapeva’ e ha fatto poco o nulla per evitare l’ulteriore degrado dell’Abazia? Sulla posizione della presidente registriamo al riguardo una nota circa i suoi comportamenti e attività. Di seguito il testo.

«La presidente Teresa M. Rauzino non ha mai creduto di agevolare la soluzione del caso Kàlena colpevolizzando i proprietari del complesso abbaziale. La sua campagna stampa e i suoi Convegni di Studio sono stati basati su interventi di esperti che hanno messo in risalto la qualità del monumento e lo stato attuale di disdoro. Come già fece, ben 33 anni fa da oggi, una componente della famiglia proprietaria, Maria Martucci, segnalando lo stato di avanzato e crescente degrado del monumento. La Martucci, allora, documentò, con una precisa perizia tecnica eseguita insieme ad Alberto Biagi, i danni subiti dall’abbazia soffermandosi, in particolare, sulla chiesa nuova di S. Maria di Càlena, che già allora presentava “uno stato di generale fatiscenza e, localizzate, situazioni statiche di una certa gravità” (come da perizia sopra riportata; ndr).

«La Martucci pubblicò la sua perizia in AA.VV, Insediamenti benedettini in Puglia (vol. 2°, Congedo, 1981, Bari, pag. 44), dimenticandosi, per ben 33 anni, che chi era tenuto a fare i lavori, considerati ‘inderogabili’, non erano gli altri, ma lei e la sua famiglia. Lo imponeva, all’epoca, la Legge 1089/39, lo impongono oggi la legge 490/99 sulla tutela dei beni culturali e il Codice del paesaggio. Come proprietaria di Càlena, insieme ai suoi fratelli, si è dimenticata di effettuare non solo gli interventi strutturali, ma anche quelli di ordinaria manutenzione del pregiato complesso abbaziale. Interventi indispensabili per la sopravvivenza del monumento.

Oggi, dopo 33 anni da quell'allarmante perizia di Maria Martucci, il degrado di Càlena è ormai giunto al limite-guardia del non ritorno. Dopo il crollo del tetto dell’abside della chiesa nuova di un paio di anni fa, questo è un dato oggettivo e palese agli occhi di tutti. Cosa si aspetta? Che crolli completamente?


NB. Si ricorda che per votare l’Abazia “Luogo del Cuore” (7° censimento Fai, Fondo ambiente italiano) basta seguire il link http://iluoghidelcuore.it/luoghi/fg/peschici/abbazia-di-kalena/4248

 Redazione

 

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