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10/05/2014

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SPECIALE CALENELLA

Clicca per Ingrandire IL PARCO DICE NO = Venerdì 2 maggio ho salutato i miei amici di Facebook con le calde sonorità del sax suonato da Gato Barbieri. Il pezzo, magnifico, è tratto dalla colonna sonora del film “L'ultimo tango a Parigi” diretto da Bernardo Bertolucci, film mandato al rogo come Giordano Bruno dalla bacchettona censura italiana per la scena del burro fra Marlon Brando e la sodomizzata Maria Schneider. Scelta non casuale, ma suggerita nel solco del racconto che vede protagonista la Piana di Calenella (in agro di Vico del Gargano; ndr), prossima a essere imburrata e sodomizzata da un gruppetto di amici praticoni, tenuti al riparo da occhi indiscreti per effetto di quel cono visuale salvifico delle ali a Est come a Ovest della piana (vedi foto 1 sotto, segnalata da Domenico Sergio Antonacci; ndr).

Il ‘Rapporto Ambientale’, infatti, che accompagna ed esalta le scelte del Piano Urbanistico Generale del Comune garganico sulla Piana di Calenella recita: “Trascurabili sono anche stimati gli impatti, pure ipotizzabili, indotti dalle ‘modificazioni socioeconomiche o di gestione tradizionale delle risorse’, il passaggio di questo particolare territorio a usi sempre misti agricolo-ricettivi, ma nei quali la componente turistica assume maggior peso - sebbene benvenuta per molteplici ragioni, tra le quali non ultima la possibilità di conservare all’attuale uso agricolo la Piana di Calenella - indurranno certamente uno stress ambientale, per il momento sconosciuto, che potrebbe compromettere i valori ambientali del SIC (Sito d'Interesse Comunitario) ‘Pineta Marzini’, per conto suo sottoposta di nuovo a un uso intensivo, causa recupero del campeggio comunale in essa previsto”. (Finalmente abbiamo capito perché il villaggio turistico Macchia di Mare è chiuso e abbandonato; nda.)

“Fra gli altri elementi trascurabili di disturbo in fase di realizzazione - continua - rientrano inoltre gli impatti indotti, sulla rete stradale in generale, dagli aumentati flussi di mezzi pesanti a causa dei lavori di realizzazione dei diversi Distretti Perequativi Produttivi (leggi cemento non più a gogò ma più ordinato; nda) previsti, tanto a Vico quanto a San Menaio”. Ma il massimo della goduria arriva quando il lettore si trova a leggere: “Quanto agli impatti positivi, sempre dell’intervento DPP3 (leggi 317 posti letto per lottizzazione turistica), si segnala un suo contributo positivo inerente il solo Sito d'Interesse Comunitario Pineta Marzini: contrastare gli elementi di vulnerabilità del SIC, quali il rischio di incendio sia per motivi legati alla elevata infiammabilità del pino, sia per motivi speculativi legati a insediamenti turistici (l'area è stata ripetutamente percorsa dal fuoco negli ultimi anni) e gli episodi di edificazione abusiva in località Monte Pucci.

“La regolazione delle aspettative di valorizzazione della piana di Calenella attraverso le regole del DPP11 - conclude - consentirà presumibilmente di sottrarla definitivamente al rischio di edificazione, abusiva o meno”. Come a dire: Piana di Calenella, rimasta vergine fino a oggi, non sodomizzata spontaneamente ma attraverso regolamento, leggi, autorizzazioni e quant'altro!

L'interrogazione del deputato 5 Stelle (unica sulla vicenda) Giuseppe D'Ambrosio, rivolta al ministro dell'Ambiente, ha avuto il pregio e la forza di portare un elemento importante di chiarezza sul pericolo imminente di cemento colato sulla piana. Infatti, il Comitato Tecnico del Parco Nazionale del Gargano è stato chiaro nel parere negativo espresso, “considerando anche che l'area in questione ricade in zona 2 della perimetrazione del Parco Nazionale del Gargano e, preso atto della totale incompatibilità e inadeguatezza degli interventi qui esaminati rispetto ai valori perseguiti da questo Ente, la Piana di Calenella rappresenta una connessione naturale fra i due promontori (Pineta Marzini a ovest e Monte Pucci a est) e fra entroterra e mare.

“E ritiene - prosegue - che gli impatti realisticamente attesi dalla realizzazione della lottizzazione siano ben maggiori rispetto a quanto illustrato nella relazione, nonché non superabili con le misure di mitigazione proposte. Non si tratta di mitigare la semplice realizzazione di una infrastruttura viaria (cui le mitigazioni proposte potrebbero meglio essere indirizzate), ma più precisamente dell'antropizzazione e urbanizzazione di un'area sostanzialmente naturale, con tutte le conseguenze negative in termini di disturbo sulla fauna e di emissioni inquinanti (si pensi a esempio alla gestione dei liquami e alle emissioni degli automezzi)”.

La bastonata del Comitato Tecnico arriva anche per lo stato di abbandono in cui versa il villaggio Macchia di Mare: “Il Comune avrebbe potuto almeno decidere di riqualificarlo e recuperarlo, invece di pensare a cementificare da zero, programmando un progetto di accoglienza e ospitalità che lasci integra la baia”. E' il primo passo, certamente un passo importante. E' una prima risposta alle nuove sensibilità verso i temi dell'ambiente e della qualità di vita. Ricerca e domanda sempre più diffusa in coloro che scappano dalle gabbie di cemento e dai condomini anonimi e uguali delle città, rumorose e irrespirabili, per trovare preziosi e rari luoghi incontaminati come la nostra Calenella. (Michele Angelicchio, l'Attacco 7 maggio)


LETTERA APERTA DI BIANCA LANCIA = Scrivo da Calenella, un posto che è (era?) davvero l’ultimo intoccabile rifugio che si potesse trovare. Una poesia unica, insostituibile. Ma, dopo che perforatrici e escavatrici, ossessivamente all’opera in questi giorni, avranno compiuto con un’orgia di diabolici rumori la loro opera, vedremo sorgere con simmetria agghiacciante manomissioni e manufatti inespressivi, squallidi e inguardabili? Il ‘progresso’ sarà pago. E noi? Noi saremo ancor più esuli, in un luogo ‘estraneo’, di sensazioni squisite e rimembranze delicate. Sarà una delle tante località, sparse per il mondo con monotonia impressionante, a ripeterci che i nostri ‘alti lai’, convogliati nella marea del ‘mostro roditore’ che tutto sommerge, diventano un frantume inafferrabile.

Addio del passato, dunque, che ci lascia, si sbriciola e si annulla in un processo di solvitore antiumano e nello stesso tempo disumano, e non come cosa destinata, con la sua esemplare lezione, a restare alle spalle delle generazioni che sopravvengono. Le mutazioni feriscono, ora dopo ora, minuto dopo minuto, in questo luogo che fu ‘nostro’ e ci fu caro, e ci si ritrova sempre più soli. Parole amare, queste, troppo amare, che forse sarebbe meglio, in un rassegnato e fatalistico silenzio, non dire. Il paesaggio, già mentre scrivo, mutato a ritmo travolgente, ci sottrae il gusto di istantanee a noi familiari per offrirci il ricambio di altre, ignote alla nostra natura e alla nostra cultura.

I sacrifici che questo cosiddetto ‘progresso’ ci richiede sono davvero pesanti e sovvertono le cose minime dell’esistenza. Si va, anche a Calenella, verso la tirannia totale del rumore? Certo, quanto avviene è mistero, come misteriosa rimane qualsiasi ipotesi di futuro. Con questa certezza, meglio sarebbe abbandonarsi senza lottare al fatalismo supremo pacificatore dell’anima. Lottare, tuttavia, non significa non avere una convinta aspirazione di pace: sono infatti ‘frammenti di pace’ quelli della sopravvivenza dei luoghi da offrire alle effimere ore della nostra giornata.

Mi piace, forse per l’ultima volta a Calenella, vivere intensamente di ricordi: la natura come Dio l’ha fatta e sembrava che gli uomini non sarebbero mai riusciti a contaminare, la distesa del mare, quei lembi di campagna che conservano il profumo della terra feconda per forza intrinseca e non in virtù di concimi chimici, l’occhio sulle cose che hanno resistito allo spietato anonimato del ‘progresso’, insigni di bellezza, armonia e ordine. E mi domando come, vivendo in quel clima, a quel livello, si possa in buona o cattiva fede fare tanto male con tanta insipienza. Un tempo bastavano le botteghe artigiane a farsi garanti del ‘bello’, che rispecchiava volto, anima, aspirazioni e gusto dei suoi abitanti. Oggi i titoli di studio specifici ‘legalizzano’ gli scempi più inauditi di cui si possa essere spettatori.

Ci sarà, anche qui, una progressione costante verso il brutto finché, a un certo momento, non sapremo più dove ci troviamo, in quale regione, in quale Nazione? Si brancolerà nel buio e il buio, si sa, porta all’annullamento del discernimento, alla regressione del gusto, alla decadenza di ogni valore. Una delle cose che ora maggiormente incide l’anima è la quasi certezza che il dominio dell’orrido, del rumore, dell’anonimo, non è più in nessun modo arrestabile e fra poco i sopravvissuti della mia generazione dovranno dichiarare definitivamente ‘forfait’: non resterà che documentare la grazia perduta di Calenella, confrontandone l’aspetto con quello che le vecchie cartoline mostrano.

In nome di Dio, dunque, fermateli! (Bianca Lancia)


DOPO LA PUBBLICAZIONE… PEPPINO MARATEA = Ho letto col consueto interesse (e molta tristezza) l’accorato ‘amarcord’, sulle pagine dell’Attacco dell’altro giorno, di ‘Bianca Lancia’ (grazioso ‘nom de plume’ di sapore federiciano risorgente dalle tenebre del “Castello dei Giganti”) che, nei panni di abitante di adozione di Calenella, sollecita un’agile ricognizione di sopravvivenze, nostalgie e agonie di quel territorio, si affretta a ricostituire immagini perdute e invita soprattutto a ‘non dimenticare’. Bianca Lancia, infatti, ricorda che Calenella, forse già mentre scrive svilita e contaminata, avrà definitivamente perso la magia che traspare dalle grafiche di Andrea Pazienza, dalle tele di Manlio Guberti, dalle pagine che hanno fatto il giro del mondo di Alfredo Petrucci, Antonio Baldini, Guido Piovene, Cesare Brandi, Francesco Rosso, Giuseppe Cassieri, Pasquale Soccio.

Morbosità? Inclinazione estetizzante di chi vuole fare l’errata corrige del mondo? Quella di Bianca Lancia è solo l’aspirazione a un primo passo verso una Comunità garganica meno brutale. Già, Calenella… Bel nome, gentile e mite (come Kalena…). Qui, sul Gargano, non bisogna però credere ai nomi dei luoghi: sono bugiardi e in questo caso promettono mirabilie che nella realtà, ormai, naufragano nella desolazione di un paesaggio violentato e stravolto di cui il ‘clic’ del fotografo dell’Attacco ha costituito una non esaltante certificazione. Quindi Calenella potrebbe sparire in breve tempo sotto la colata del cemento più sfrenato e dell’abusivismo più o meno abilmente ‘legalizzato’? E ambiente, paesaggio, archeologia, li vedremo ‘in vendita all’asta’?

Il discorso, naturalmente, vale per tutta la piana, in tutta la sua estensione, a destra e a sinistra, in alto e in basso. Costruire nella piana non significa solo condannare a morte il turismo di quella località. Significa distruggere - come ha scritto Bianca Lancia - la nostra memoria, la nostra storia, la nostra faccia. Di Calenella, allora, si stenterà perfino a supporre l’antico splendore, ‘omogeneizzata’ - come sta diventando - alle tante località che hanno abbassato la guardia sulla difesa del Promontorio? Uno dei luoghi più belli della Terra, che avrebbe bisogno di protezione e cura, e comincia purtroppo a mostrare segni evidenti di ferite dovute a incuria, ‘distrazioni’, ‘interventi’ incongrui, illegalità ‘domestica’?

Il Consiglio comunale di Vico, alcuni mesi fa, ha adottato il Piano Urbanistico Generale per sottrarre il territorio all’anarchia del ‘fai da te’, alla discrezionalità, all’…“estro” del momento. E per dare a tutti la certezza del Diritto. Benissimo! Ma quel Pug - che, se così definitivamente approvato, condanna Calenella al cemento, senza rispetto per il monito che ogni filare di ulivi, ogni foglia, ogni filo di “erbal silenzio verde” sono la biografia di un nonno o un bisnonno - significa che ha la vocazione all’autodistruzione. Dai campi di sterminio siamo arrivati allo sterminio dei campi? La mentalità è la stessa? Vico - è stato già rivelato da altri, - con le sue duemila abitazioni in esubero, non ha bisogno di ulteriore cemento.

Vale la pena - siamo ormai in molti, di diversa estrazione, a chiedercelo - costruire cento volte oltre il bisogno e continuare nel consumo del territorio abnorme, sprecone, indifferente a tutti i rischi? E questo non ignorando le regole, ma modificandole e ‘interpretandole’ con mille artifici non perché siano al servizio del ‘pubblico bene’ ma del partito del cemento invadente e trasversale? Ne vale la pena? Ne vale davvero la pena? E l’opera si completerebbe sommando il danno estetico al disastro ecologico? E chi ha la fantasia e l’abnegazione di sostenere interventi del genere, non va forse ammirato dalla testa giù giù fino al ‘pensiero’?

Le statistiche dei demografi - ammoniva il vecchio Napoleone Colajanni - sono come la fisarmonica: ognuno le allarga e le restringe secondo il proprio disegno. È vero, ma nel caso di Vico i dati relativi alla popolazione sono di una chiarezza incontrovertibile: negli ultimi dieci anni non c’è stato nessun aumento. Sicché, in tempi di ‘crescita zero’, ‘riparare’ l’esistente è il verbo che si impone, ‘riparare’ nel senso proprio di ‘aggiustare’, ‘rimettere ordine’, ‘restaurare un’atmosfera’, ‘restituire’ ai cittadini, dopo averli ‘recuperati’, una casa, una strada, un quartiere, una periferia, un paesaggio, per scongiurare che continuino a essere invasi da cumuli di immondizie, discariche, scarti di sfasciacarrozze: esattamente come Leonia, la città invisibile di Calvino, che consuma allegramente, per finire sepolta sotto i rifiuti.

Calenella, una volta distrutta, non torna più. Sanno tutti che l’identificazione in un Piano Urbanistico di un’area edificabile ne moltiplica il valore. Ormai, qui nessuno discute più su cosa significhi ‘sviluppo’ del Comune, ma tutti dibattono, spesso sotterraneamente, su chi, da quel Piano Urbanistico corpulento e cementizio, debba guadagnarci e chi perderci. Ci ostiniamo, tuttavia, a non credere che la ‘stella guida’ dell’Amministrazione Comunale nella perigliosa ‘navigazione’ urbanistica risieda nella galassia degli interessi prevalenti, e l’interesse che sovrasta su tutti sia, per coscienza generale, la forza unitaria dell’alleanza. Per il Pug di Vico, non possedendo il nome della profezia, dovremmo ricorrere a quello della fede e credere, fortemente credere? Agli atti di fede, però, dalle insistenti cronache dell’Attacco supportate da TeleBlu e OndaRadio, si oppongono purtroppo sbarramenti immani di difficoltà concrete.

Il Pug non fa dormire? Chissà fino a quando non faranno dormire le illusioni o le delusioni dei facili strateghi dell’avvenire, cui si aggiunge per fortuna, il numero sempre crescente di chi non sceglie il ‘salotto’ della contrattazione e non si sottrae alla ‘piazza’ della valutazione corale. Solo pochi anni fa, dalla comprensione della illogicità di un modello edilizio espansivo, nacque l’idea del progetto di ‘ospitalità diffusa’, nel centro storico di Vico, di Gae Aulenti che si estendeva all’oasi agrumaria - un tempo “Conca d’Oro” del Gargano, - alla Foresta Umbra, alla Pineta Marzini, a Calenella, ai siti archeologici di Macchia a Mare, Monte Pucci, Coppa Cardone, Monte Tabor, Sfilzi, al censimento e al recupero delle ‘cento sorgenti’, all’utilizzo intelligente - quasi in punta di piedi - dell’ex campeggio comunale di Macchia di Mare destinato a “servizi per la spiaggia” di straordinaria qualità (nell’operazione, chi scrive non era ‘secondo a bordo’).

E oggi? Quel luogo, di proprietà del Comune, è in indecoroso abbandono da circa vent’anni: rifiuti, frammenti di laterizi, cocci di bottiglie, cartacce, sterpaglie, siringhe, escrementi, rovi che avvinghiano i resti dei bungalows, dai quali è stata portata via ogni cosa (porte, finestre, tettoie). Una pagina bassa della storia comunale: mancanza di decoro, mancanza di rispetto, mancanza di autostima. Una ospitalità, quella ipotizzata da Aulenti, raffinata, rara, che avrebbe realizzato lo scopo non nel soddisfacimento di un profitto immediato, ma nella durata, nella stabilità e nel conforto dell’abitare il ‘locus amoenus’. Attraverso uno statuto che individuasse i beni da proteggere e destinare alle future generazioni.

Il sogno (la follia?) di portare Vico alla ribalta dell’Italia e dell’Europa aveva bisogno di incontrarsi con un Comune dinamico, in grado di darsi un’immagine che suscitasse interesse e attenzione in una cornice di garanzie e sicurezza generali, e puntasse sulla capacità di valorizzare quelle risorse e i naturali modelli di radicamento: modernizzare agricoltura e zootecnia, ridare fiato all’artigianato, maturare la vocazione agroalimentare e turistica. Comprendendo cioè, in termini imprenditoriali e ritraducendo in cifra moderna, le nostre radici, il nostro ‘volto antico’: un prezioso volàno di iniziative che producesse occupazione, lavoro, sviluppo, col Comune parte attiva di un processo di stimolo e incentivazione di un’autonomia di iniziativa.

(Aulenti, poi, manco a dirlo, fu ‘liquidata’ inelegantemente, il progetto andò alle ortiche, e Gae dovette sorbirsi, su un foglietto locale, qualche sarcasmo e addirittura l’accusa di ‘furto d’intelligenza’: reato, nella fattispecie, ovviamente ‘impossibile’). La Storia, di là della retorica ciceroniana della ‘magistra vitae’, insomma, serve. Ora, ‘a latere’ del Pug, sulla piana si insinua un incipiente ‘abusivismo’, ancora più deleterio perché ‘legittimato’ da autorizzazioni concesse forse senza i prescritti pareri e, quindi, ‘fasulle’, senza i necessari approfondimenti e verifiche, quasi ‘alla chetichella’? E che dire dei ‘sussurri’ circa ‘liaiçons dangereuses’, difficili da spezzare o anche da scalfire?

Nei terribili misteri della settimana di passione culminante nella Resurrezione, sono circolate ‘profanamente’ le notizie rivelate dall’Attacco. La tolleranza, per un’Amministrazione pubblica, è una virtù ammirevole, tranne i casi in cui tollera l’intolleranza. È mai possibile che i ‘reggitori’ delle nostre sorti siano diventati una specie di Mida a rovescio, capaci cioè di trasformare in piombo anche ciò che è oro? E possiamo passare, solo perché solleviamo qualche problema, come chi ‘viaggia’ sugli antichi binari di una ‘belle époque’ colorata, da custodire ‘in vitro’? Calenella non è più soltanto un luogo da salvare: diviene un simbolo, un emblema di quanto resta al Gargano della sua risorsa vera e autentica, una ‘bandiera’ spendibile turisticamente quando ormai troppa parte di esso è stata sacrificata al cosiddetto ‘sviluppo’.

E ciò, proprio quando la ‘mano pubblica’ (Comune, Soprintendenza ai Monumenti di Puglia, Soprintendenza Regionale Archeologica, Regione Puglia-Assessorati a Territorio, Ambiente, Beni Culturali, Ministeri Ambiente e Beni Culturali, Ente Parco Nazionale del Gargano, con tutta la miriade di Organi periferici destinati a controllo e repressione degli abusi) sembra qui voler abdicare al suo ruolo di primo difensore e sostenitore di ambiente, paesaggio, archeologia, cioè civiltà. Per completezza di informazione, con molto ritardo e solo grazie a una lodevole interrogazione parlamentare, finalmente, ‘quasi sottovoce’, arriva su Calenella una inequivocabile ‘determinazione’ del Comitato Tecnico del Parco.

Quello che, intanto, avviene a Calenella ricorda la ‘lettera rubata’ di Edgar Allan Poe: è lì, sotto gli occhi di tutti, ma nessuno la vede, perché tutti guardano altrove. L’atteggiamento, cioè, delle Istituzioni citate parrebbe essere tra indifferenza, fastidio, tendenza a minimizzare, svalutare, negare la scarsa attitudine a cogliere le ‘sfumature’, la noncuranza (‘lasciamoli sfogare, tanto non valgono niente’…): un’attitudine immotivata secondo cui non c’è nulla da chiarire e la verità viene presentata come autoevidente. I migliori epigoni, dunque, di Guglielmo il Taciturno. Le risposte larghe, evasive, e più spesso il silenzio, non sono di origine machiavellica. Erano immaginabili, praticamente inevitabili, quasi ‘d’obbligo’. Vanno perciò accolti senza eccessivo disappunto, con la serenità obiettiva del clinico, quando la malattia ‘segue il suo corso’.

La sordità su questo tema è orizzontale: le Istituzioni interessate, anziché fare un coraggioso passo avanti, sembrano compierne due indietro, nella fragile convinzione che lasciar correre sia il minore dei mali e la migliore delle terapie. A che servono questi ‘controllori’, se la pretesa ‘scuola del rigore’ non è che il rifugio della pigrizia e gli sbandierati ‘provvedimenti repressivi’ si risolvono in ‘cacatine di mosca’? Lo scandalo, dunque, è solo di chi infrange le regole? O è anche, in egual misura, di chi - potendo impedire che le si infranga - non lo fa? E fino a quando resterà inevasa almeno la richiesta di sobrietà al mondo invasivo dei prepotenti che dicono “ce ne freghiamo delle Leggi”? È, ahimè, ancora in auge l’antico proverbio popolare: “Con i quattrini e le amicizie si va in c..o alla Giustizia”?

Dove c’è la malattia, si sa, là c’è anche il rimedio. E, dunque, perché aspettare lo tsunami degli ‘interventi di supplenza’? Non sarebbe più oculato, anticipandoli, scongiurarli? Occorre subito ‘disimparare una disetica’, o meglio ‘imparare un’etica’. Non sarebbe utile ricordare che, nelle Eumenidi di Eschilo, Atena, dea del ‘chiaro pensiero’, ammoniva a “non lasciare fuori dalle mura il timore”? È ragionevole, insomma, sperare nell’abbandono della ‘cattiva politica’, troppo occupata a mantenere il proprio status per conservare il nostro patrimonio, i nostri ‘tesori’, e non riducendo Calenella a un sito da sgangherata “Terra dei Fuochi”?

Alcune settimane fa, l’architetto Luigi Troso, a capo dell’Ufficio Tecnico Comunale, si è ‘misteriosamente’ dimesso e, a giorni, dovrà essere sostituito: ‘parce sepulto’… La politica abitua a tutto. Anche ai ritorni più inaspettati. Si può sperare (eccezionalmente) che la scelta non avvenga ‘per meriti politici’ che significa distruggere l’imparzialità prevista dall’articolo 97 della Carta? Il nuovo capo dell’Utc sarà il nome preferito dal calcestruzzo della speculazione e la manna per “cementisti” a vario titolo? Se infatti le ruspe, scavando a Calenella, si imbatteranno, per caso, in qualche reperto di quelli che hanno stupito Rellini, Battaglia, Drago, Mazzei, sentiremo ancora dire “chi se ne fotte, si può rinunciare a un nuovo edificio o a un ‘agriturismo’, ‘bio-ecocompatibile’, però…, per una c…..a archeologica?” Il capo dell’Ufficio Tecnico Comunale, paradossalmente, nella versione modernissima del “cavallo di Troia” e grimaldello per scardinare le saracinesche burocratiche? Il che, in fondo, significherebbe che il Comune “aggira le norme del Comune”, che il Comune frega se stesso?

Vico, all’Ufficio Tecnico, non ha bisogno di ‘acrobati delle norme’ né di funzionari servili, che si genuflettano, ma di gente preparata, dalla schiena dritta, che dica: “No, io queste cose non le faccio…” Il tempo dell’incoscienza, il ‘sonno della ragione’ non devono generare mostri. “L’uomo è uomo - diceva Eduardo - solamente quando non è testardo. Quando è venuto il momento di fare marcia indietro. E la fa”. Bisogna che su Calenella si torni a ragionare, prendendo in considerazione la via del ritorno. ‘Ritorno’ è la traduzione della parola ebraica ‘tesuvah’, il cui significato è anche quello di ‘pentimento’. E pentimento è anche lasciare la via sbagliata, le ‘deviazioni’, le ‘libere uscite’, per prendere la via giusta.

Su Calenella, d'altronde, fatto il pari e dispari, il vantaggio che verrebbe dal mettere le mani su un grosso bottino sarebbe scompensato dallo svantaggio di non poter andare molto lontano per l’eccessivo appesantimento. (Giuseppe Maratea)

 Redazione (foto del titolo Michele Angelicchio)

 

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