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07/03/2014

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CALENA NEL CUORE E NELLE GAMBE

Clicca per Ingrandire Dopo il pellegrinaggio, debitamente a piedi, verso Santiago de Compostela nel giugno-luglio 2013, nell’ottobre dello stesso anno il grande “camminatore” di casa nostra, Vincenzo Roncone, decide di affrontare la Via Francigena a ottobre. Non ce la fa a percorrerla tutta. Le gambe non gli reggono più. Affranto, aggredito dalla stanchezza e dalla mortificazione di non poter concludere l’intero percorso, è afferrato da altre tristezze. Una di queste pensa di parteciparla a qualcuno molto più in alto di lui. Così scrive una lettera al Santo Padre perorando la causa che lo rattrista più delle altre: la lenta “agonia di pietra” della peschiciana Abazia di Calena. Oggi è arrivata la risposta di Papa Francesco (leggibile nella foto del titolo, gentilmente concessa da Teresa Maria Rauzino). Cosa chiese il buon Vincenzo (foto 1 sotto)? E’ tutto qui, di seguito.

«Santità,
mi chiamo Vincenzo Roncone. Sono un umile pellegrino, in cammino sulla via Francigena. Se il Signore mi darà la forza, vorrei portare questo mio umile corpo a Roma. Per pregare nella nostra amata chiesa e sulla tomba di San Pietro. Questa estate sono stato a pregare sulla tomba di San Giacomo, a Santiago de Compostela, in Galizia (Spagna). Io sono nato il 15/05/1949 a Peschici, un piccolo paese della costa garganica in provincia di Foggia.

«Volevo dirle che nella piana di Peschici vi è un piccolo monastero di nome Santa Maria di Càlena, costruito intorno all’anno Mille dai frati dell’abbazia delle isole Tremiti. Si dice che qui passò San Francesco, quando venne sul Gargano a venerare San Michele nella Sacra grotta di Monte Sant’Angelo. L’abbazia ebbe molte controversie negli anni. Passò dall’Ordine benedettino a quello cistercense e poi ai Canonici Lateranensi. In quel monastero vi era una statua in legno raffigurante la Santissima Mamma di noi tutti (foto 2 sotto; ndr).

«I Peschiciani erano molto devoti alla Madonna di Càlena. L’8 Settembre si venerava la santissima Madre di Dio, con messe e processione. Noi ragazzi portavamo un fagottino di noci. E, insieme ad altri ragazzi, si socializzava e si vedeva chi aveva una noce in più. Si giocava con le noci, ma poi le mangiavamo. Ho ancora negli occhi il viso di mia madre quando entrava in quella chiesa. Pregava la Madonna e usciva dalla chiesa rasserenata, con gli occhi lucidi, ma contenta. Eravamo poveri ma con tanta dignità.

«PAPÀ FRANCESCO, mi perdoni di chiamarLa in questo modo, ma lei è il Padre di tutti noi. E’ il nostro PADRE e noi TUTTI le vogliamo tanto bene. Tornando a Càlena, deve sapere, Santità, che verso la fine del Settecento, tutti i beni dei monasteri del Regno borbonico passarono al Regio Demanio che li vendette ai privati. Molti furono usurpati. In quel periodo era molto facile ottenere con la forza e prepotenza proprietà non tue. Bastava occuparle. Càlena con le sue terre intorno al Monastero fu acquisita dai Martucci. Diventarono i nuovi proprietari o possessori.

«Non si sa esattamente in che modo: ora dicono di averla acquistata all’asta, ora di averla avuta in eredità con un dotalizio. La famiglia Martucci non cambiò le tradizioni ultrasecolari della fede. Anche se mancava il presidio apostolico, i Peschiciani durante il giorno potevano andare in chiesa e pregare la SANTISSIMA MADONNA. E dal pozzo del cortile abbeverare asini, muli, cavalli, pecore e capre. La porta era sempre aperta a tutti. Oggi, Santità, tutto questo non è più possibile. Nel 1943 cadde una parte del tetto, il resto è cosa recente. Verso la fine degli anni ’80 del Novecento gli ultimi eredi chiusero il monastero e si stabilirono a Foggia.

«Va tutto in abbandono. I Peschiciani non possono andare a pregare nella chiesa di Càlena la loro Madonna, come avevano fatto i nostri avi per tanti secoli. Lo so, Santità, si può pregare in altre chiese. Ma quella chiesa noi l’abbiamo dentro il nostro dna. CI MANCA UNA PARTE DI NOI! I nostri avi pregavano in quella chiesa, con i lori figli, perché non possiamo più farlo? E mi chiedo: quando i possessori di Càlena moriranno, cosa diranno al cospetto del Signore: “Nella nostra vita abbiamo impedito ad altri uomini di pregare nella TUA CASA”?

«Varie volte, le amministrazioni comunali di Peschici hanno cercato un compromesso con la proprietà, ma fino ad ora nessun risultato. Alcuni di noi avevano proposto, oltre al restauro delle due chiese, un Centro studi per ragazzi del mondo. Con annesso un ostello per dormire e dare ospitalità ai pellegrini che, sempre più di frequente, iniziano il cammino da Peschici per arrivare a Montesantangelo attraversando la Foresta Umbra. Ristrutturando le chiese, chiunque volesse andare a pregare, potrebbe farlo, i Peschiciani ritornerebbero a pregare nelle chiesa dei nostri avi.

«Oggi, Santità, è un giorno triste per me. Ho dovuto abbandonare il ‘camino’ della via Francigena. Ieri, per percorrere quaranta km, ho impiegato dieci ore di cammino. Le gambe legnose, alla pianta dei piedi sentivo il fuoco e non riuscivo a camminare. Le mie paure di non farcela più si sono avverate. Oltre le bolle ai calcagni, è comparsa una grossa bolla sulla pianta del piede destro. Per tutta la notte ho meditato, Santità, questa mattina non riuscivo a camminare.

«Ho preso questa decisione di non continuare, non per mancarle di rispetto e dedizione, ma perchè vorrei arrivare in buono stato per poterla abbracciare. Come ho abbracciato San Giacomo nella Chiesa a San Giacomo de Compostela. Mi rimetterò in cammino appena guarisco, per venire a pregare sulla tomba di San Pietro. Oggi, sconfitto da un paio di scarpe, torno a casa ferito dentro. Ma sono sicuro che la Francigena mi aspetta e io ritornerò, mi mancano solo 270 km.

«Santità, tornando al problema di Calena, io, come tanti amici a Peschici che hanno tentato varie azioni di sensibilizzazione in questi anni, non so come fare a risvegliare le coscienze degli uomini, spero in DIO che li illumini. Affinché non lascino Càlena tutta in abbandono e pericolante.

Con tanta devozione, La ringrazio e La abbraccio, e con tanta umiltà mi inchino a Lei.

«Grazie, Grazie, Grazie!

«Un Suo umile servo.»

Vincenzo Roncone

 Redazione

 

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