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11/12/2013

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ITALIA, UN CASO DA MANUALE

Clicca per Ingrandire “Italy is my country, London my town!” L’Italia è il mio paese, Londra la mia città. Giuliana me lo lancia di getto, con sorprendente entusiasmo giovanile. Come per i tantissimi giovani che arrivano a Londra, ecco una vita che si sta costruendo su due sponde. A lei, di ritorno da un breve weekend in Italia provo a chiedereMì: “Com’è la gente laggiù?”. “Triste, scura, preoccupata... da far paura!” mi risponde, aggiungendo: “Qui la gente almeno ancora sorride. Per davvero! Di qualsiasi colore tu sia ti guarda in faccia. Perfino al supermercato la cassiera ti rivolge un “How are you?”(Come stai) senza conoscerti affatto.

Sono le buone maniere che umanizzano la vita. “Da noi si grida per ottenere” mi fa, “qui, no, solo con le buone maniere.” Un altro mondo. Un’altra cultura, senz’altro. Aperta alle culture del mondo, aperta agli altri. Thomas, anche lui sbarcato recentemente: “C’è un mondo di bella gente. Molto disponibili. Ti danno sempre una mano.” E cita il caso di un nigeriano, che lo accompagnava ieri fino a salire sul bus... E Andrea, qui da nove mesi, come si trova? Si è innamorato della città. “Anche se la vita è dura - aggiunge subito, - qui si combatte per davvero!” Tanti fanno dietro-front, lottare non è il loro destino. D’incanto, tutti questi giovani si accorgono terribilmente della chiusura in cui siamo avvolti in patria. Cresciuti attorno al campanile. Campanilismo, giustamente, è intraducibile in inglese, non c’è. E Londra per loro è un grande porto di mare. In ogni senso.

Manuela, sui trent’anni, da Torino, dove cercava lavoro da quattro anni, mi declama: “Ventenne, bella presenza, con esperienza. Questi i soliti annunci da noi!” Qui, invece, nel curriculum non si mette la foto per non influenzare l’esaminatore. In Francia si omette perfino il nome. Per non essere eliminati, solo a causa del proprio nome come Mohammed. La bella presenza, l’apparire, per noi invece resta un mito. È la logica del piacere e del compiacere - al posto del merito - che ci danna. Così non si va lontano.

Pietro, invece, va ben lontano, ha perfino male ai piedi. Ha fatto il giro di mezza Londra presentandosi e distribuendo il suo curriculum. E ascolta Filippo arrivato cinque anni fa e le sue raccomandazioni: “Non demordere, insisti. Questa non è una città, è una metropoli. Devi mettere anche il volontariato in associazioni nel tuo curriculum: qui conta tantissimo!” È vero, qui si guarda nel profilo anche l’apertura di interessi, l’impegno sociale. Ma guai se questi giovani leggessero le parole di Mandela davanti al Parlamento di Westminster, ai piedi della sua statua, con una montagna di fiori: “Una nazione dovrebbe essere giudicata da come tratta non i cittadini più prestigiosi, ma i cittadini più umili”. Arrossirebbero di rabbia per la nostra patria!

Anna, invece, frequenta ‘London School Economics’, una prestigiosa università di Londra. È un po’turbata dall’ultima lezione, che ritrova poi puntualmente in un articolo su internet. Per i suoi insegnanti, infatti, l’Italia è diventata un caso da manuale. Un esempio paradigmatico. La storia di una nazione prosperosa, imprenditoriale e creativa, che in vent’anni ha saputo dilapidare tutto il suo patrimonio. E si avvia decisamente verso la terzo-mondializzazione. “È un vero peccato!” sa aggiungere solo, con voce amara. Per ritrovare le cause, fra l'altro, ci aiuta la convinzione del leader sudafricano, che il mondo ora rimpiange: “I veri leaders devono essere in grado di sacrificare tutto per la loro gente!” All’opposto di quanto avvenuto in Italia. A parte uno di nome… Francesco.

Renato Zilio*


*Autore di “Dio attende alla frontiera”, EMI, 10.ma ristampa



 Redazione (foto fornita dall'autore; se coperta da copyright avvertiteci e la toglieremo)

 

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  Commenti dei Lettori:

-- 18/12/2013 -- 09:59:00 -- vincenzo

Solo che Francesco, in Italia, non riesce a fare scuola presso i potenti, presso la CASTA, in particolare; fa proseliti presso gli umili (ed è un bene). Qualcuno, comunque, potrebbe dire: Francesco non è italiano, non vive in Italia, ma nella SCV, nello stato del Vaticano. Sciocca notazione. Mandela, lontanissimo da noi e da tantissimi altri stati, non ha fatto forse scuola? L'ha fatta, ma probabilmente, non da noi. Noi che spesso abbiamo inviato all'estero i nostri ministri per capire il funzionamento delle loro scuole e di altre attività senza che abbiano saputo trarne qualche vantaggio e facendoci addirittura regredire. I nostri giovani vanno all'estero e dimostrano di essere capaci di impiegarsi, lavorare, far carriera - senza che ci sia lo zampino di un sol ministro a spianare loro la strada! Certo, se non sanno farlo in patria, come potrebbero farlo all'estero?

 
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