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23/06/2013

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CÀLENA NELLA NARRATIVA CONTEMPORANEA

Clicca per Ingrandire Nonostante lo stato di abbandono in cui versa l'antica Abazia di Càlena, situata nella piana di Peschici, la fantasia di scrittori contemporanei ne ha immortalato il valore. In modi diversi, con la loro narrativa, Alfonso D'Errico e Paolo Labombarda hanno tenuto desta l'attenzione su Càlena e hanno unito la loro voce all'accorato appello di tanti cittadini e di molte associazioni culturali che da anni si adoperano per la conservazione della memoria storica e del patrimonio artistico e paesaggistico locale. Alfonso D'Errico e Paolo Labombarda hanno così dimostrato che l'arte arriva dove l'uomo non ha potere: al cuore di chi ama il bello.

A introdurre Càlena nell'ambito letterario è stato Alfonso D'Errico con il romanzo “Il segreto di Kalena” (Bastogi, 2006). L'abilità narrativa di D'Errico mescola piani temporali, sogno e realtà, verità e finzione, religione ed eresia, amor sacro e amor profano. L'impianto narrativo intreccia, fonde, unisce, combina. La verità non ha un volto solo, convive con il dubbio, si alimenta di incertezze. Il lettore gradualmente è portato a identificare nel mondo multiprospettico che ha come centro d'azione Càlena, una metafora della vita e dei suoi labirintici percorsi.

“Il segreto di Kalena” si presenta come un romanzo nel romanzo: la vicenda di Astolfo e Rachele nel manoscritto di Astolfo stesso, monaco benedettino, si genera dalle vicende-cornice di Filippo e Miglena, e dalla incessante brama di verità dell'architetto Zaiana. L'autore ricorre al ‘topos’ antico del rinvenimento di un manoscritto intorno al quale ruota l'intreccio, ma lo rinnova arricchendolo con giochi d'identità multiple e indefinite, forse sovrapponibili. “Il segreto di Kalena” si costruisce su due elementi: uno tematico - il tempo - e uno tecnico, strutturale cioè, il rapporto tra racconto interno e cornice, che alla fine arrivano a coincidere proprio in virtù dell'azione del tempo che sembra annullare le distanze tra sogno (racconto interno) e realtà (cornice).

Filippo va progressivamente convincendosi che il mondo non sia altro che l'immagine dei nostri sogni, un quadro che noi stessi dipingiamo. L'esplicito richiamo (pag.13) a Cervantes chiarisce inequivocabilmente come D'Errico voglia sostenere che il confine tra sogno e realtà sia molto labile. Come don Chisciotte, Filippo vive sul filo della follia, in un equilibrio precario con se stesso e col mondo, forse disancorato rispetto alla realtà per colpa dei libri, per quella ‘malattia di carta’ da cui è affetto pure l'hidalgo. Don Chisciotte filtra la realtà attraverso stereotipi letterari che gli servono a nobilitare la dimensione bassa nella quale egli vive. Filippo, invece, arriva a fare coincidere la realtà e le persone che la popolano con le fantasie di testi antichi, si immerge in una dimensione allucinata come il suo sguardo perso all'orizzonte, nella scena finale del libro.

È sogno? È follia? Forse è solo un altro modo di leggere la realtà, un modo nuovo che affida alla parola scritta l'enorme responsabilità di sfidare il tempo e attribuire verità agli accadimenti: al monaco Astolfo - preoccupato che la sua relazione con Rachele venga scoperta - la fanciulla dice, con tono rasserenante: “Se nessuno scrive questa storia su un libro, è come se non fosse mai accaduta”. E Astolfo (pag. 52) conclude che “solo la parola scritta vive in eterno” ed è per questa convinzione che egli decide di affidare allo scritto le sue riflessioni teologiche, pur consapevole del fatto che, lasciando prove evidenti delle sue deviazioni dottrinali, potrebbe incorrere nell'accusa di eresia.

Filippo vuol cercare nei testi scritti, nella parola scritta, le coordinate necessarie a orientarsi nel quotidiano. E allora lo ‘scriptorium’, in cui Astolfo finge di tradurre antichi testi sacri e dove invece scrive la propria teologia, il proprio vangelo, la propria verità, diviene un emblema avvicinabile alla Biblioteca di Borges e al labirinto di Calvino: luogo d'incontro tra finzione e verità, metafora degli inestricabili meandri dell'esistenza in cui non c'è garanzia d'approdo, da cui non è possibile fuggire, nei quali ci si trova a vivere, e saperne accettare il peso è già una grande sfida.

La stessa funzione sembra avere il camminamento di Càlena che conduce al luogo del non-incontro fra Astolfo e Rachele, al momento della storia interrotta, alla “nera distesa del mare”, alla spiaggia desolata in cui oltre al rumore delle onde non c'è nessuno se non un'ombra. L'ombra, il ‘flatus vocis’, i ‘nomina nuda’ cui Eco fa riferimento in “Il nome della rosa”, sono ormai le cifre dell'esistenza: un inestricabile groviglio di mancanze, di non-sensi dove, dunque, tutto è interscambiabile e possibile. E che la ragione questo non se lo spieghi non è cosa affatto importante. Solo un dato resta inequivocabile: la parola scritta. È la parola scritta che giustifica la realtà e fornisce le chiavi di lettura per decodificarla, interpretarla e addirittura completarla nelle sue aporie.

E la parte bianca, non scritta, interrotta, del libro? Laddove manca la parola scritta, lì allora si apre il baratro della responsabilità: il compito di ‘costruire’ la verità senza il riferimento scritto, già dato, rassicurante. Nel non scritto, nella pagina bianca, non ci sono fatti, ma solo possibilità. Il bianco è perciò non solo mancanza, ma anche vuoto che può essere colmato dalle infinite possibilità delle scelte, dagli infiniti incroci dei tempi, dalle scritture di più mani che s'intrecciano a comporre la storia, le storie. E lì, nello spazio bianco, Filippo e Astolfo, Rachele, Miglena ed Ela s'incontrano in una sovrapposizione di tempi, in una cronologia dinamica in cui l'aporia tra passato e presente è colmata dall'immaginazione.

È questo il senso più profondo del romanzo: passato, presente e futuro finiscono per intersecarsi in una dimensione unica che ci porta a sovrapporre fatti, ricordi, sogni. Si tratta di una soggettivizzazione estrema del tempo che annulla ogni cronologia matematica e rende l'uomo veramente “artifex sui ipsius”, davvero padrone di sé, della propria dimensione interiore che può orientare come meglio crede. E non si tratta di una semplice questione di naufragio dell'anima di leopardiana memoria, né di rimembranze agostiniane . Se di ‘extensio animi’ si può parlare, è solo nel senso che la fluttuazione tra i tempi è tale che ogni cronologia sembra falsata come in un gioco di specchi deformanti. Nasce così un tempo indeterminato, sinuoso come un labirinto, una rete crescente di tempi divergenti, conseguenti e paralleli, una trama di tempi che s'accostano, si dividono, si moltiplicano, si tagliano o si ignorano per secoli, un tempo che comprende tutte le possibilità, un tempo che si biforca perpetuamente in innumerevoli futuri: tutte immagini care a Borges.

In un tempo siffatto ci sono l'attimo, l'eternità, la coincidenza, c'è Eraclito, il divenire, c'è Parmenide, l'immobilità, c'è Ulisse, il ritorno. E soprattutto c'è lo spazio bianco, la storia che ogni uomo, in ogni tempo, scrive nella propria vita, guardando lontano, verso l'orizzonte e talvolta girandosi indietro verso un passato che lo accompagna e vive in lui, sempre, perché nessuno può vivere senza portarsi dietro il proprio passato. Ma il tempo di “Il segreto di Kalena” non è solo l'intreccio tridimensionale fra passato, presente, futuro. La quarta categoria del tempo che si biforca è il lampo d'incoscienza, l'immaginazione che ricompone frammenti di verità: finzioni, giochi di specchi, illusioni e allucinazioni che intrecciano trame. E allora, sì, “la vita è sogno”, non tanto perché è breve, evanescente - certo è fatta della stessa materia dei sogni, scriveva Shakespeare - ma soprattutto perché, come i sogni, ha una dimensione multipla, parallela e perciò è impalpabile il confine tra sogno e realtà . la verità ha i contorni sempre più sfumati, come l'irraggiungibile linea all'orizzonte, là dove il profilo di Filippo si confonde con quello di Astolfo.

Tre, invece, sono i racconti scritti da Paolo Labombarda e pubblicati sulla testata on line “Punto di stella” diretta da Piero Giannini:
a) Kàlena - All'alba delle leggende
b) Kàlena - Sogno di una notte di mezzo autunno
c) Kàlena - Sogno di una notte di primavera
Essi si muovono nel solco della scrittura dell'impegno. Immaginando e rivivendo il percorso religioso e penitenziale di antichi pellegrini lungo la via Francigena, di cui Càlena fa parte, l'autore ricostruisce l'alba metaforica del monumento, la sua aurorale bellezza e profonda spiritualità.
Nel primo racconto è immaginata l'origine del luogo dalla sua prima edificazione. I quattro monaci, barbe e capelli lunghi, volti bruniti, tuniche scure cenciose lunghe fino ai piedi, scalzi, attraversano il varco rivolto verso oriente lasciato fra le pareti della cappellina che stanno erigendo. Si prostrano, sollevando la tunica fin sopra le ginocchia, di fronte all'immagine lignea di Maria, poggiata sull'altare in pietra. Alzano le braccia al cielo, pregano. Le litanie si fondono con il fruscio degli olivi, animati dalla brezza. In un tessuto narrativo che fonde natura, fede, fedele ambientazione storica, l'autore ricostruisce il significato specifico del nome scelto per l'abazia.

I pellegrini si avviano in direzione di ‘Vist’. Giunti nei pressi dell'olivo maestoso, alzano lo sguardo verso la chioma. «È kalè èlaia!» Michel esclama. «Kalé!» ripetono più volte i tre, mentre si allontanano… «Kalón!» I pellegrini scompaiono fra gli olivi. «Utrèya! Susèya!» si ode giungere da lontano, sulle ali della brezza. I monaci si dirigono verso la cappella: il ramo d'olivo indica il tempo della ‘lectio’ divina. Creando una stretta connessione fra la forte emozione dei pellegrini che contemplano la nascente abazia e la sua oggettiva bellezza, irradiata anche dalle sfumature della luce argentea fra gli olivi, Labombarda nobilita l'etimo del nome di Càlena: “Kalón” – bello, in greco antico - è il termine che spiega il valore, l'alto pregio architettonico dell'abazia che, dunque, nasce già all'insegna della bellezza. E se l'indolenza delle politiche locali ha abbandonato Càlena a un destino di miseria, oblio, diroccamento e solitudine, Labombarda auspica un risveglio delle coscienze.

La Valle degli Olivi si distende nella piana fra il verde delle alture boscose, prodromi della Foresta Umbra, e l'azzurro del mare che disegna l'orizzonte. «Eccola! Eccola l'Abbazia!» avverte Claudia. I muri chiari e i coppi rosa antico emergono dal tappeto verde argenteo degli olivi. «Cosa ho fatto io? Ho fatto poco, davvero poco io!» Nèilos si è accostato a noi. «Ho solo aiutato Sinella, che per tanto tempo ha lottato per il recupero, in nome di tutti. L'ho aiutata a coinvolgere al perseguimento di questo obiettivo tutte le associazioni culturali del Territorio; e queste sono riuscite a convincere tutti i Cittadini, Amministrati e Amministratori, del valore dell'Abbazia per il Territorio».

«Su, Nèilos, racconta tutto!» Basilèios lo incoraggia.
«Io ho fatto poco davvero! I Peschiciani hanno fatto! E il loro Sindaco.»
«Pensate, sorelle!» incalza Basilèios. «Sinella e Nèilos sono riusciti a far convergere verso un obiettivo comune tutti, proprio tutti: le associazioni culturali, gli organi dell'editoria, gli organi ecclesiastici, e la popolazione tutta; con riunioni, articoli, discussioni pubbliche, manifesti, sottoscrizioni. Un fondo consistente è stato creato - pensate! - con versamenti effettuati dai singoli cittadini; altri fondi sono stati resi disponibili dall'Unione Europea a seguito del finanziamento di un progetto; un accordo è stato stipulato fra il Comune e i Proprietari; un Comitato di Cittadini cura la gestione del complesso, sotto l'egida del Comune, delle Soprintendenze, degli organi ecclesiastici. E il restauro è stato portato a termine. E adesso il complesso è operativo, lavora e fa lavorare, svolgendo attività di ricezione, organizzando sessioni di ristoro psicoterapeutico, seminari.»

In modo concreto e con esempi limpidi Càlena smette di essere un triste rudere in una piana assolata fra gli olivi e diventa un luogo vivo, immerso nel dinamismo pulsante della vita.

Alfonso D'Errico e Paolo Labombarda con voci originali interpretano un sentimento comune e diffuso tra i peschiciani: liberare Càlena perché torni a essere luogo di sogno, d'incontro, di memoria, di fede. E perché un desiderio diventi realtà anche la letteratura offre il suo prezioso e valido contributo.

Teresa D'Errico

 Redazione

 

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