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01/02/2013

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“VENTI DI GRECALE”: Il ritorno a casa di Gino. Incontro col figlio. Racconti di guerra - 6° cap. (3)

Clicca per Ingrandire Gino infine torna. Le sue lettere da Yol sono continuate ad arrivare con regolarità. Mac Bean tiene i prigionieri costantemente al corrente sull’andamento delle operazioni belliche: hanno saputo della fine di Mussolini, della fine di Hitler, della fine della guerra in Europa. E poi hanno saputo delle due atomiche americane, della resa di Hiroito, della fine della guerra anche nel Pacifico. I prigionieri ai piedi dell’Himalaya cominciano a sentire vicina la liberazione. Ma continuano a fare, qualcuno per scaramanzia, quello che avevano preso a fare. Gli ufficiali scalatori continuano a progettare nuove ascensioni: l’entusiasmo moltiplica la numerosità delle squadre e le mete nonostante l’attrezzatura approssimata; superano ormai i seimila metri; stabiliscono anche due basi avanzate: una in un villaggio tra boschi di cedri a quasi tremila metri di altezza, l’altra alla testata di un ghiacciaio. Gli ufficiali esploratori, seguendo carovaniere impervie, con escursioni di durata di anche venti giorni attraversano il Kashmir e giungono ai confini con il Tibet. Gli ufficiali meditatori approfondiscono, sotto la guida di Sai Jah, un santone del tempio, la mistica dell’induismo e discutono di legge cosmica, ciclo della vita, obiettivi della vita, stadi della vita, simbolismi della croce uncinata, non-violenza, vegetarismo, “aum”, yoga, templi.

A Natale Mac Bean annuncia ai prigionieri che questo è certamente, oltre che il quarto, anche l’ultimo Natale che passano insieme: il Comando Militare Alleato in Italia e il Governo Italiano hanno concordato procedure e tempi per il rimpatrio dei prigionieri. Il rimpatrio sarà effettuato a scaglioni, a seconda della disponibilità di piroscafi e della loro capacità. A fine gennaio, Gino ci fa sapere che Peppinillo è tornato in Italia, a Roma, col primo scaglione. La sera prima della partenza, Mac Bean dopo la cena, durante la quale ha offerto a tutti birra indiana, ha fatto commosso un pistolotto breve sull’amicizia nuova tra il popolo inglese, con il suo spirito razionale, e il popolo italiano, con il suo spirito creativo.

Peppinillo è partito fra i primi perché malaticcio; era molto preoccupato: non aveva più ricevuto notizie da Denise da qualche mese. Dal camion, che si allontanava dal campo, ha lungamente salutato, agitando un fazzolettone bianco. Il camion va fino alla stazione di Nagrota; da Nagrota il viaggio prosegue in treno fino a Bombay; poi da Bombay fino a Napoli in piroscafo. È il percorso che fanno tutti i reduci da Yol, dopo il rito dell’ultima cena in comune. A fine febbraio Gino ci scrive che il suo turno sta per arrivare: Mac Bean ha trattenuto più a lungo i prigionieri che conoscono qualche po’ d’inglese. All’inizio di marzo un telegramma del Ministero della Guerra ci comunica che Gino, che ha lasciato Yol, è stato assegnato alla caserma di Castro Pretorio a Roma. Anche questo telegramma, come tutti gli altri e tutte le lettere di Gino, è consegnato dal Brigadiere a Papà. Io sono a casa, sul balcone. Vedo Papà uscire dal Consorzio, sventolando eccitato il telegramma, esclamando con gli occhi al cielo «Tornë! Tornë!» e affrettarsi verso casa, rischiando continuamente di inciampare in Luna, che gli saltella intorno, eccitata anche lei. Poi mi vede.

«Biancù, Giggino torna, torna! U fëġġjòulë? ‘Ndo sta u fëġġjòulë?»

Paolo sta in cucina, seduto al tavolo ovale, pastrocchiando con la matita su una cartaccia. Papà fa le scale con tutta la velocità possibile, corre in cucina e continua a gridare, sventolando il telegramma: «Pallëpà, tornë Papà! Papà tornë! Vèinë akkuà, ke mo të mañë!» Paolo, preso alla sprovvista, deve pensare che Papà vuole giocare: scende dalla sedia e si mette a correre intorno al tavolo per non farsi prendere; e Papà dietro per due tre giri di tavolo, sventolando il telegramma.

“Quelli, Biancù - mi rassicura zio Raffaele - fanno così con tutti i soldati reduci. Prima di congedarli vogliono capire bene cosa è successo e cercano di capire, interrogandoli. Gli ufficiali poi! Loro hanno compiti di guida! Debbono riferire sul come hanno ottemperato ai loro doveri! E debbono pure effettuare il giuramento di rito al governo italiano attuale.”

Un’altra lettera di Gino da Yol, l’ultima, arriva dopo il telegramma del Ministero: comunica semplicemente che la sua partenza è prevista per l’inizio di marzo. E che non riesce a scrivere di più, perché ha il cuore stracolmo di emozioni. Poi arriva un telegramma di Gino da Roma: “Sono a Roma! Tutto bene. L’Italia è splendida. Non vedo l’ora di riabbracciarvi. Seimila bacioni al vecchietto!” Il telegramma è datato 24 marzo. Il 26 Paolo compie sei anni. Gino invia poi da Roma altri telegrammi e cartoline postali: “Ho troppe cose da dire, troppe emozioni da comunicare, per poterle scrivere su un pezzo di carta.” E la rete telefonica a Peschici non ci arriva!

Gino è visitato all’ospedale militare del Celio: tutto bene. È interrogato dalla Commissione Militare: tutto bene. Gli chiedono se intende confermarsi in servizio permanente effettivo o congedarsi: chiede tempo per riflettere. Si reca al Banco di Roma: incontra il direttore del personale. Decide per il Banco di Roma; rientrerà in servizio il 16 di giugno. Riabbraccia Luisa, Giovannino e Valentino. Si reca a trovare Peppinillo. Trova Denise con un bambino! Denise gli dice di Peppinillo. Incontra la signora Conte: lei ha difficoltà a trovare una sistemazione diversa da casa nostra. Lei e Gino hanno allora convenuto su come suddividere la casa, ai fini di una coabitazione accettabile per le due famiglie. Va a parlare per la scuola di Paolo con le Suore Compassioniste che hanno un istituto scolastico vicino casa nostra. Potrà arrivare con la Ferrovia Garganica a Rodi domenica 12 maggio. Quando leggo il telegramma, non ci posso credere. Non ci posso proprio credere!

*****

“Gino, rallenta un pochino” gli chiedo, mentre passiamo davanti alla torre di Monte Pucci. Gino rallenta. Voglio dare ancora uno sguardo al mare dall’alto e avere un momento per ripensare al Jalillo, alle orme dei cinghiali, alla Grotta sotto il trabucco, ai passaggi segreti verso l’Abbazia di Calena, che stanno tutti lì, sotto di noi. Sentiamo alle spalle il clacson di una macchina; Gino si accosta al parapetto della strada. Ci sorpassa sulla sinistra la Lancia Ardea del barone di Statte, l’autista alla guida, Don Vito e Donna Letizia sui sedili posteriori. Don Vito fa un cenno di saluto con la mano, Donna Letizia accenna un sorriso; rispondiamo con un cenno della mano e un sorriso. Si allontanano, lasciandosi alle spalle una nuvola di polvere.

«Kuìstë na vòlëtë o n’avëtë c’anna sfracciummà» prova a profetizzare Michelino.

Iniziamo la discesa verso la piana di Calenella: il bosco di pini va diradando, la macchia è ancora densa. Iniziano le cicale. Superiamo una catena di asini e muli. Vanno tranquilli, in fila indiana, sul ciglio sinistro della strada, dalla parte verso il clivo, collegati fra di loro, l’uno con quello che lo segue, con una corda robusta rabberciata alla meglio: sono carichi di cose e persone, chi di una, chi di due persone, taluna seduta con le gambe penzoloni da un lato, taluna a cavalluccio; due uomini procedono a piedi e si fanno aiutare, sorreggendosi, dalla corda che crea la catena. Un chilometro più avanti raggiungiamo e sorpassiamo un carretto. A bordo, accovacciati su grandi fascine di fieno, due uomini e due donne; le due donne - una evidentemente incinta - sferruzzano. Arriviamo nella piana. Il manufatto della stazione, non utilizzato da tempo, appare triste. Anche se sullo sfondo il campo di cotone biancheggiante di Vincenzo ravviva la visione. La 508 - il mare è ora lontano qualche centinaio di metri - descrive nel pianoro il semicerchio e s’infila nella pineta di San Menaio. Ci viene subito incontro, maestoso, aristocratico, bellissimo, il Pino di Calenella. Gino mi lancia uno sguardo attraverso lo specchietto retrovisore: i nostri sguardi s’incontrano, si sorridono; allungo la mano e gli accarezzo una spalla. In questo paio di settimane di vita in comune, fra Gino e me a Peschici, il Pino di Calenella, il Renazzo, il Jalillo e la terrazza di casa sono stati testimoni di tante nostre confidenze, di tante effusioni.

* * * * *

Gino andiamo a prenderlo a Rodi Papà, Paolo e io, in macchina, con Michelino la Macchina. È una bella giornata di primavera. La Ferrovia Garganica adesso arriva di nuovo da San Severo fino a Rodi; la strada ferrata tra Rodi e Calenella invece non è stata ancora ripristinata. Alla stazione di Rodi molta gente è in attesa del treno. Ci raggiunge anche Pinuccia, una delle figlie di zio Nicola, con Michelangelo, il figlio, che ha l’età di Paolo. Nell’attesa - il treno ritarda di quasi due ore - Pinuccia mi racconta aneddoti del tempo passato. Lei, molto bella, deve aver fatto sognare molti ragazzi di qui, Gino compreso. Paolo e Michelangelo fanno comunella, e trovano mille maniere per passare il tempo; Papà fa qualche chilometro, misurando il marciapiede avanti e indietro a passi lenti, sottolineati dal ticchettio di Nervino. Il treno finalmente spunta dalla galleria sotto Rodi: dai finestrini aperti sporgono volti, protesi verso la stazione. Il treno si ferma. Papà e Pinuccia si schierano, tenendo avanti a sé Paolo e Michelangelo, Michelangelo davanti a Papà, Paolo davanti a Pinuccia.

Eccolo! Eccolo Gino nel vano di un finestrino: gli occhi vivi, i capelli ondulati, con qualche filo bianco nuovo, la pelle bruciata, senza i baffetti. Mi avvicino al finestrino e tendo la mano; la prende; mi sorride: “Ciao! Come sei bella sempre, Bianca! Ora scendo.” Mi sposto verso il predellino del vagone. Gino scende. È molto dimagrito; veste una sahariana caki sgualcita; ha con sé una valigetta. Mi viene incontro; poggia in terra la valigetta; mi guarda con gli occhi ridenti; mi abbraccia forte, sempre più forte; mi sussurra ancora: “Ciao”, in un orecchio; mi bacia su una guancia, poi sull’altra, mi sfiora la bocca con una mano. Sento che è ancora innamorato.

«Gëggì!» esplode Papà.

Gino si volta, esclama: “Papà!” Mi sorride, va verso Papà, che ha gli occhi lucidi, lo abbraccia, incurante di Michelangelo, ritto fra di loro. Vede Pinuccia, la abbraccia, incurante di Paolo, ritto fra di loro. Poi si rende conto dei due bambini. Si volta verso di me e chiede: “Paolo?” E mentre lo dice, solleva in alto fra le braccia Michelangelo, dicendo: “Paolo! Paolo! Papà è tornato! Sono tornato!” Il musetto di Paolo, che vede Gino per la prima volta e osserva la scena, s’increspa. Michelangelo sorpreso riesce a dire: «Jì no’ ssonġë Pavëlë! no’ ssonġë Pavëlë!» Gino si volta interdetto verso di me; io annuisco. Gino ripone Michelangelo a terra, va verso Paolo, lo solleva fra le braccia, lo guarda, scruta ogni parte del suo volto, lo bacia su una guancia, mentre anche Paolo lo studia curioso. Gino si allontana con Paolo, sparendo alla nostra vista dietro un angolo del caseggiato; ricompare dopo qualche minuto dall’altro lato, con Paolo, che ride, a cavalcioni sulle spalle.

Nel viaggio di ritorno da Rodi a Peschici, Papà si siede davanti accanto a Michelino; Gino, con Paolo sulle ginocchia, e io stiamo dietro. È una chiacchierata continua fra padre e figlio, che finalmente si conoscono. Paolo racconta di casa, della famiglia, di Ettore - «Sta ‘mmezzë e’ stellë» - della scuola, dei compagnetti; e chiede della guerra, delle battaglie, se si è fatto male, se ha fatto male a qualcuno, se ha visto partire per le stelle tanta gente. Gino non ha neanche modo di guardarsi intorno; solo subito dopo la torre di Monte Pucci, quando il paese compare, tra le fronde dei pini, Gino mormora: “Peschici! Sembra sempre uguale. Ma qui la guerra c’è stata?”

* * * * *

Il ritorno di Gino a Peschici genera la sequela di visite immaginabile: tutta la famiglia di zio Luigi, i vicini della piazzola e della Piazza, Don Pasqualino, Lovoglio, Don Michele, zio Raffaele, Biasino, e tanti altri. Gino vuole rivedere, appena possibile, i posti della sua giovinezza - lo Spassiaturo, il Renazzo, Croce, la Marina, il Jalillo, i trabucchi, la Grotta sotto il trabucco, la Madonna di Loreto, l’Abbazia di Calena; - li rivede tutti insieme con Aldo e con Paolo. E Paolo è tutto contento di andare in giro col suo Papà: lo ha presentato pure, il suo papà, a tutti i compagnetti suoi. E fa visita, Gino, al cimitero; lì con lui andiamo Angela e io; lì Gino vede per la prima volta la tomba di Nonnò, e quella di Ettore, e quella di Peppinillo.

Per trovare, Gino e io, un po’ di intimità, ci rifugiamo sulla terrazza nell’ora del tramonto, oppure ogni tanto la mattina facciamo una passeggiata con la carrozzella e Moro fino al Pino di Calenella, o fino al Jalillo. E parliamo. Io gli dico dei miei sei anni con Paolo a Peschici. E leggiamo insieme i miei appunti. E Gino parla, parla della sua guerra, parla della sua prigionia; racconta. “Quello che vi ho scritto, amore mio, è quello che era consentito scrivere. Si potevano scrivere solo cose non contrarie a chi controllava gli scritti: fino a che combattevo, la censura fascista; durante la prigionia, la censura inglese. Non potevo scrivere di regole, di mancanze, di punizioni, di ingiustizie, di frustrazioni, di vergogne, di tragedie, di speranze, di disperazioni.”

Ci godiamo dalla terrazza il tramonto, talvolta appoggiati alla balaustra, talvolta seduti sui coppi dei tetti, che ricoprono le volte a crociera delle stanze. Il sole tramonta dietro il trabucco di Monte Pucci, che compare fra la terrazza di Biasino e il timpano delle campane del Purgatorio.

“Siamo partiti, tu lo sai, eccitati, entusiasti: pensavamo di sbaragliare tutto e tutti in pochi mesi. E poi, lì, abbiamo trovato comandanti del carisma di Balbo, Graziani, Bergonzoli … La morte di Balbo ci ha colpito tutti enormemente: era di quei tipi, sai, che la truppa ritiene immortali! E abbiamo pure capito presto che l’organizzazione nostra di acqua ne faceva tanta. Quando ci è arrivata, ricordo, una partita enorme di scarpe, ma solo per il piede destro, l’abbiamo presa a ridere e abbiamo capito che la guerra non è quella che ci raccontano nei libri di storia! … L’Italia da lì sembrava lontana, tanto lontana; molto più lontana di quello che appare sulla carta geografica.”

“Ci arrendiamo a Bardia. Da eroi? Lottando strenuamente col nemico? Fino all’ultima goccia di sangue? Magari! È successo… sai come? Il presidio mio, lo sai, fa parte della “Guardia alla Frontiera”; è dislocato poco fuori Bardia sulla costa; abbiamo con noi alcuni cannoni Skoda cecoslovacchi. Verso novembre cominciano ad avvicendarsi notizie su movimenti di truppe inglesi: sbarcano in Egitto un gran numero di mezzi corazzati; iniziano manovre per accerchiarci; bloccano la via Balbia, a ovest del nostro presidio, isolandoci dal resto dell’armata italiana. Gli inglesi iniziano allora a sparare dal mare e dal cielo, scatenando su Bardia e dintorni un inferno di ferro e di fuoco. I bombardamenti dal mare, da più di venti chilometri di distanza, ci riempiono di rabbia impotente, e di frustrazione: le navi sono fuori dalla gittata dei nostri Skoda, che sembra siano un residuato della guerra contro i Turchi del 1911. Proviamo anche a sparare contro le loro navi, ma i nostri colpi finiscono tristemente … ploff! ploff! … in acqua; i colpi dei cannoni di grosso calibro delle navi sono invece tremendi: quando esplodono, le schegge micidiali sembrano una pioggia rovente, impazzita. Di tanto in tanto, a rincarare la dose, arrivano squadriglie di aerei della Royal Air Force … Ah, quelle ali, una bianca, l’altra nera! … Rimanere indenni sembra davvero un caso! Quando avvertiamo l’arrivo di un ordigno, cerchiamo di ripararci dietro trincee approssimate che abbiamo messo insieme con le poche pietre rintracciate nei paraggi e qualche sacchetto di sabbia. A me è capitato di restare sepolto quasi completamente dal terriccio sollevato dalla fortissima deflagrazione di una bomba esplosa lì vicino: ho avuto paura di non vedervi più. Il Natale lo abbiamo passato così, sotto le bombe; col pensiero rivolto al nostro mondo lontano, col mio pensiero rivolto a te, a Paolo. I bombardamenti il Natale non lo rispettano. Bergonzoli poi, dopo aver fatto gli auguri a tutto il presidio, riunisce gli ufficiali e informa che non c’è da sperare in aiuti che vengano dall’esterno, che le possibilità di resistere al nemico sono scarsissime, che rischiamo alla prossima offensiva del nemico di finire prigionieri tutti. Noi, ufficiali del presidio, capiamo che Graziani ci lascia al nostro destino.

“La nuova offensiva degli inglesi si scatena all’inizio di gennaio dal mare, dal cielo, da terra. Anche i mezzi blindati si avvicinano e noi, noi non riusciamo a opporre nessuna resistenza: i nostri Skoda non possono sparare ad alzo zero! Abbiamo il fisico segnato dalla battaglia e dai lunghi giorni d’assedio, le divise logore, la polvere da sparo impoverita dalla sabbia. Qualche ufficiale propone di resistere da eroi. Qualchedun altro ricorda che i Paesi felici gli eroi non li vogliono. Io ho la mente presa da te e da Paolo. Il nostro capitano, che parla un po’ d’inglese, decide: ci arrendiamo … Sono australiani quelli che ci fanno prigionieri, al comando di un ufficiale inglese. Entrano coi mitragliatori puntati nel nostro presidio; ci impongono di alzare le mani; ci raccomandano subito di obbedire agli ordini senza discussioni; ci requisiscono le armi portatili - moschetti, pistole, - ci fanno sedere per terra; ci perquisiscono: oggetti di valore - orologi, penne - vengono sequestrati. Noi, l’italico valore, siamo lì disfatti, seduti in terra nella sabbia, alla mercé di un nemico in fondo sconosciuto, pieni di vergogna, umiliati, timorosi.”


(3.5 cont.)


NB1. Per seguire meglio la narrazione, elenchiamo i link delle puntate precedenti relativi ai capitoli del romanzo già pubblicati (coi titoli originali) e da pubblicare.

Cap.1 - Rifugio a Peschici - Gino e io. Italia in guerra. Gargano. Arrivo a Peschici. (18.06.1940)
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5363
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5369
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5410
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5435

CAP. 2 - La Famiglia - La casa. La famiglia. La giornata. Primi incontri. (23.06.1940)
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5487
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5523
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5559
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5628
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5656

CAP. 3 - Il Paese - Peschici. Guerra in Africa. Gino prigioniero. (21.04.1941)
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5709
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5734
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5751
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5779
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5811

CAP. 4 - Echi di guerra - Guerra in Italia. Gino in India. Ciclo delle stagioni. Brani di vita. (29.09.1943)
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5851
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5882
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5919
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5962
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5992

CAP. 5 - Echi di caos - Caos in Italia. Gino sull’Himalaya. Brani di vita. (29.06.45)
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=6017
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=6054
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=6079
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=6102
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=6113

CAP. 6 – Ritorni - Pace in Italia. Gino a casa. Brani di vita. Partenza da Peschici. (19.05.46)
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=6150
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=6172

CAP. 7 – Tra le stelle


NB2. Si può facilitare la lettura dei periodi idiomatici tenendo a portata di mano la tabella dell’Alfabeto Peschiciano scaricabile da www.puntodistella.it/public/file/periodici/alfabeto_pds.doc

 Redazione

 

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  Commenti dei Lettori:

-- 01/02/2013 -- 08:59:52 -- vincenzo

Che dire? Ho letto con trasporto!

 
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