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28/12/2012

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PERSO IN QUEL RIGOGLIOSO BOSCO DI FILI SETOSI

Clicca per Ingrandire Si dice che l’erba del vicino è sempre più verde. Ma il più delle volte, come esperienza insegna, non è affatto così. Sono gli occhi dell’indulgenza e, più frequentemente, quelli dell’invidia, malevola o benevola che sia, a vederla di un verde più verde. Ma non ci sono, non ci sono stati mai casi in cui quell’erba sia o sia stata effettivamente più verde? Seguiamo il mio caso personale. Non ho mai amato molto vivere in città e avevo sempre sognato che, se e quando avessi avuto la possibilità di costruirmi una casetta in campagna, lo avrei fatto con tutto l’entusiasmo possibile. Ebbene, la sorte mi ha arriso (è il caso di dichiararlo, senza farmi troppi vanti, di essere stato bravo - o più bravo degli altri, giusto per non togliermi tutti i meriti).

Conseguito il diploma di scuola media inferiore, avevo frequentato alcuni anni di ragioneria, quando la morte improvvisa di mio padre era venuta a togliermi ogni possibilità di proseguire. Così, cercando lavoro - non per lungo tempo - un signore vedovo e senza prole mi aveva assunto come commesso e fiduciario (che coraggio!) presso il suo negozio di abbigliamento intimo per signore. Gli inizi erano stati molto duri ma, mettendocela tutta, ben presto mi resi capace di condurre l’aziendina tutto da solo. Ero puntualissimo, ero accattivante, sapevo vendere. E riscuotevo grande simpatia presso le signore, specialmente quelle più giovani e di una certa classe. Essendo il trattamento economico assai buono (potevo tenere mia madre nell’agio, se non nel lusso), la prima cosa che feci fu proprio quella di realizzare il mio sogno. Acquistai un bel pezzo di terreno fuori città e nel giro di pochi anni riuscii a tirar su una villetta bifamiliare, con il progetto di lasciare una delle abitazioni a mia madre e di utilizzare per me l’altra, nel caso mi fossi sposato.

E così fu. Anzi, nel giro di pochi mesi, al dolore per la perdita di mia madre venne a fare da contraltare la morte del mio datore di lavoro che, non avendo familiari né prossimi né lontani, mi lasciò erede di tutte le sue sostanze: l’appartamentino in cui abitava (che subito vendetti ricavandone un bel gruzzolo) e il negozio, contenuto compreso, che ebbi cura di ammodernare con parte dei proventi ricavati dalla vendita dell’altro immobile. Mi sentivo un re! Ma, essendo un re senza regina, pensai che era anche ora di darmi una compagna fissa. Tra le clienti ce n’era una che faceva al caso mio. Mi stava facendo la corte da qualche anno, ma io le dicevo sempre che ero troppo giovane e non sapevo nemmeno se la mia donna fosse già nata o se dovesse ancora nascere.

Ovviamente, dalla mia espressione lei capiva che celiavo e che lei non mi era affatto indifferente. Io, allora, ero sotto i quarant’anni, lei ne aveva un po’ più di trenta. Era una di quelle che si dicono, ora, donne in carriera. Aveva una personalità forte, volitiva, piena di sicurezza, anche se non disdegnava scherzare. Mi piaceva, come donna, perché era un bel pezzo di… figliola. Ne conoscevo i gusti (relativamente al suo abbigliamento intimo, intendo), ne conoscevo le misure a tal punto bene da riuscire a immaginarla nuda meglio di come io stesso pensassi. I fatti mi avrebbero dato ragione.

Qualche anno dopo mi convinsi (anzi, mi vinsi: dovetti vincere le mie apprensioni sul fatto della sua carriera) e nel giro di pochi mesi la condussi all’altare. Autonoma com’era, non ebbe alcuna difficoltà ad accettare di vivere nella villa fuori città e ciascuno dei due si autogestiva per il trasporto e la pausa pranzo. Dalla sera alla mattina ci appartenevamo completamente: era un vero idillio, il nostro, era un vero portento, lei. Dopo un po’ di anni, non essendo stata allietata da prole la nostra casa, fui preso un pochino da sconforto e da una lunga ondata di pessimismo.

Detti in gestione il negozio e mi ritirai a vita privata: curare il giardino, iniziare un’attività di ortolano. Mia moglie aveva effettivamente fatto carriera: ne era all’apice, ma non aveva alcuna intenzione di scendere dal suo scanno, di venire al mio livello. Anche se aveva perduto alquanto della sua grinta e, per l’aspetto fisico, si era un po’ lasciata andare. Aveva acquistato qualche chilo di troppo - per i miei gusti - e aveva perduto mordente negli incontri intimi. Doveva giocare negativamente, in lei, proprio la mancanza della maternità. Chissà! Io non domandavo, lei non diceva, non si confidava.

Non so se a causa della mia solitudine o se per gioco o se perché speravo di portare nella mia vita una nota del verde che da essa era ormai svanito, pensai di dare in fitto l’appartamentino dove, seppure per poche settimane, aveva abitato mia madre. Mia moglie, con molta apatia, mi aveva dato il suo benestare. E, in capo a qualche settimana, una coppia più giovane di noi venne a farci compagnia (più a me, ovviamente, che a entrambi). Non erano freschi sposi, non avevano figli. Lui lavorava in città, lei usciva spesso, ma era di sicuro casalinga. Era dolcissima, garbata, gentile. Ed era giovane (soprattutto). Contro i miei cinquantacinque anni, ne aveva trentasette. La mia presenza in casa per quasi tutta la giornata non pareva impensierire suo marito. E, per la verità, nemmeno io pensavo che dovesse essere preoccupato.

Poi, o perché qualche tarlo mi lavorava dentro o per non so quale altra ragione, voglioso di rifarmi di ciò che da anni non avevo più, cominciai a fare accostamenti e paragoni fra le due donne. Mia moglie non era sicuramente più verde e non era, inoltre, nemmeno più tanto dolce (ammesso che veramente lo fosse stata - io non me ne ricordavo più); questa sì che era verde, sì che era dolce. Presi a essere ancora più gentile di quanto già non mi fossi mostrato: le regalavo fiori, le donavo ortaggi, le pulivo le aiuole, facevo tutto quanto fosse nelle mie capacità di fare. Poi le parlai della mia vita, della mia fortuna, del negozio. E qui riuscii un giorno a condurla, per mostrarle la mia opera, la mia creatura (poiché non avevo avuto alcun bisogno di architetti per rendere moderno e pieno di luce l’ambiente). In apparenza. In realtà desideravo tanto farle un regalo che altrimenti non le avrei potuto fare.

“Vedi (eravamo subito entrati in confidenza e il tu era stato accettato di buon grado e contraccambiato), vedi che bei capi moderni, anche se non gestisco più direttamente il negozio? Questo completo sono convinto che ti sta perfettamente bene, sia come taglia che come colore. Non ti andrebbe di provarlo?” - dissi e proposi. Lei, non senza una certa riluttanza iniziale, finì per accettare. Scomparve nel camerino-prova e dopo un po’ ne uscì raggiante, con gli occhi illuminati e un sorriso che pareva più bello di una bella aurora. Le feci fare lo scontrino, non solo per evitare guai con la Finanza, ma anche per non far sorgere strani pensieri nella mente del marito, anche se, come detto, dormiva sonni tranquilli (probabilmente per la mia età) e non mostrava né di essere geloso né di essere preoccupato della fedeltà della moglie.

Rincasati che non era ancora mezzogiorno, ciascuno dei due, dopo un semplice ciao, si chiuse l’uscio di casa alle spalle. Ma non doveva essere trascorso un quarto d’ora che sentii bussare alla porta. Era lei. Era lei in tutto il suo procace corpo nudo, rivestito dei soli capi intimi appena ricevuti in dono. Voleva che li vedessi, che li ammirassi addosso a lei. Entrò come se stesse entrando a casa propria, senz’attendere un invito, senz’aspettare un semplice mio gesto (che sarei comunque stato restio a fare). Si diresse in camera da letto dove, per esperienza femminile, sapeva di trovare un qualche specchio in cui rimirarsi. La seguii. Automaticamente. La raggiunsi che stava pavoneggiandosi davanti al grande armadio, interamente occupato, per tutte le sei ante, da un luminosissimo specchio.

“Sei un mago! Vedi come mi calza bene? Però, non trovi che metta troppo in evidenza le mie forme? E le coppe del reggiseno? Che morbide! Morbide che non mettono minimamente in ombra la morbidezza naturale dei seni! Senti, senti… metti la mano qui… tocca… senti che morbido?” - disse, con naturalezza, come se non si trovasse con un estraneo.

Per quanto lo avessi desiderato, arrossii imbarazzato davanti a tanta scioltezza, a un fare così semplice e naturale. Non sapevo che comportamento tenere. Ma non ci fu bisogno a lungo che mi chiedessi cosa fare… fu lei a fare tutto. Guidò la mia mano destra, mi prese la sinistra, le portò entrambe sui seni, poi le fece scivolare lungo la pancia fino a farsi accarezzare il soffice slip sui fianchi, sulle natiche, sul Monte di Venere. “Mettimi le guance sul petto, senti anche con la faccia che morbida stoffa” -riprese e mentre eseguivo supino ai suoi comandi, il movimento voluto, lei corse con le dita a slacciarsi il reggiseno, perché mi trovassi con la faccia a diretto contatto con i suoi seni candidi, sodi e morbidi nel contempo, somiglianti molto, fatte salve le altre caratteristiche, a seni di capra pregni di latte. I miei occhi si chiusero, la mia bocca si aprì avida su quei capezzoli turgidi, che sembravano non essere mai stati toccati.

Dall’armadio al letto, dal seno alla bocca e poi giù, dalla bocca al ventre e ancora più giù, fino a perdermi in quel rigoglioso bosco di fili setosi - preda accecata da quel diabolico divino Eros. Avevo fatto tante volte l’amore con mia moglie, nei primi anni di matrimonio: non una sola volta avevo provato emozioni e sensazioni uguali a queste! Effetto dell’erba più verde o c’era qualcosa che valicava veramente le mie conoscenze teoriche, la mia stessa fantasia?

Durò, questa tresca: durò molti e molti mesi. Poi, un giorno, Cristina mi disse di essere rimasta incinta e, contemporaneamente, che il marito doveva trasferirsi altrove. Non volle dirmi di chi era la creatura che portava in grembo, non volle dirmi se era mia o del marito. Non volle dirmi nemmeno dove si trasferivano. In fretta in fretta, nel giro di pochi giorni, se ne andarono. Superfluo dire che ci rimasi male, molto male. Specialmente perché non feci in tempo nemmeno a vedere cresciuta la sua pancia, che stava forse alimentando la parte di me che mi sarebbe sopravvissuta, per perpetuarmi. Imprevedibilmente!

Enzo Campobasso

 Redazione

 

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  Commenti dei Lettori:

-- 02/01/2013 -- 19:16:10 -- Paolo

fantastici, Enzo, i tuoi personaggi! E conquistatori! Conquistano una volta immergendosi nel mare del tramonto, un'altra cogliendo cannolicchi, un'altra offrendo mazzetti di ortaggi, ... E guardano stupiti il corso della vita che scorre loro addosso; sembrano talvolta più spettatori che attori di se stessi ...

 
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