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01/12/2012

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PECCATO VENIALE

Clicca per Ingrandire “Ciao!” disse Andrea al barista. “Buona sera”, guardandolo distrattamente, rispose Francesco. “Non mi riconosci?” domandò il primo, scambiato evidentemente per un avventore di passaggio. Francesco guardò, riguardò, fissò, scrutò, con lo sguardo interrogativo, meravigliato, sorpreso di tanta confidenza. “Vedo che non mi riconosci, che non ti ricordi di me. Eh, sì, sono passati troppi anni e non si può certo pretendere che tutti siano fisionomisti allo stesso modo o che conservino la memoria visiva per tanto tempo… Sono Andrea. Quello che oltre venti anni fa lasciò questo paesino per andare a cercare lavoro altrove. Ricordi che giocavamo insieme quando eravamo piccoli? Ricordi che siamo stati assieme oltre che all’asilo, anche alla scuola elementare? Ricordi che stavamo anche nella stessa squadra di pallone durante la scuola media, che ci ha separati la prima volta?”

“Oddio! - sembrò svegliarsi Francesco, rimasto tutto il tempo a fissare chi gli parlava senza poter capire chi fosse. - Tu sei Andrea, sei Andrea! Aspetta, vengo fuori dal bancone, voglio abbracciarti… Quanti anni! Quanto tempo! Quante cose sono cambiate!” Lascia le tazzine che stava lavando e si precipita verso l’amico, che continuava comunque a guardare come se fosse un redivivo. “Ti vedo bene, ti trovo bene, anche se pure tu cominci ad avere il tuo argentino sui capelli”.

“Sto bene, sì, ma tu non mi sembri meno in forma di me, nonostante la tua pancettina da commendatore. Forse perché svolgi una vita serena, anche se non deve essere facile trattare con i clienti, con le loro abitudini, con i loro capricci, con le loro fisime, tante volte”.
“Dì, ci dobbiamo vedere! Ti va di venire a cena a casa mia sabato sera? Ci porti anche tua moglie, naturalmente!”.
“Non sono sposato”, disse Andrea.
“Non importa, vieni da solo. Anzi, sai cosa puoi fare, chiedi che ti accompagni tua cugina: non ha impegni di mariti e di fidanzati, è persona allegra e gioviale e inoltre pare sia in corrente di simpatia con mia moglie”.
“Va bene, ci proverò, ma non credo che ci venga: tra lei e me non è come tra lei e tua moglie… Ciao, allora. Ti lascio al tuo lavoro. Verso le otto sta bene? Ma, a proposito, conosco tua moglie? E’ nostrana o te la sei presa da fuori?”
“Sì, è forestiera, non appartengo alla setta dei ‘donna e buoi dei paesi tuoi’; è del paesino qui vicino, però: non sono andato molto lontano a sceglierla. La conoscerai sabato”.

Ad Andrea, in verità, l’amico sembrò un tantino misterioso, comunque si dette una scrollatina di spalle e andò a fare un’altra visita. Dopo tanti anni di assenza ne aveva di incontri da fare, innanzitutto fra il parentado. Ed essendo arrivato solo quella mattina, in realtà non aveva ancora cominciato. La chiacchierata non lunga con l’amico, tutto sommato, non era stata negativa: almeno una visita la poteva fare. E, ovviamente, iniziò dai nonni materni che ancora erano viventi. Poi avrebbe continuato con tutti gli altri parenti nei giorni successivi, con calma: aveva disponibili ben due mesi e in due mesi avrebbe potuto anche ripetere il giro.

Il sabato, dopo una bella doccia, si vestì, scese, passò con calma dal fioraio, si fece preparare un bel mazzo di fiori adatti a una signora che non conosceva, passò ad acquistare dei pasticcini e due bottiglie di spumante, una classica e una brut, per non rischiare di scontentare qualcuno, e s’incamminò verso la casa dell’amico. Sua madre gli aveva indicato dov’era e Andrea, non senza difficoltà, alla fine riuscì a trovarla dove, ai suoi tempi, c’era un prato verde che serviva loro da campo di calcio. Con la cugina, nulla da fare: alla sua richiesta, aveva gentilmente ma categoricamente risposto che era onorata dell’invito di Francesco ma che proprio non poteva fargli compagnia.

Al citofono rispose una voce femminile (non del tutto estranea alle sue orecchie, ma non sapeva perché). Andrea si presentò e la donna lo invitò a salire, scusandosi per i tre piani che avrebbe dovuto fare a piedi per mancanza dell’ascensore.

“Questo paese è così… - gli disse Giovanna e, mentre gli porgeva la mano, lasciò incompiuta la frase iniziata. - Ma tu… tu sei.… sì, sei tu, sei Andrea… Dio mio, Dio mio!... Cosa facciamo, adesso? Che diciamo?” e intanto non sapeva che fare. Girò le spalle, accennò a ritornare sui suoi passi, poi si rigirò, indirizzando lo sguardo verso terra o verso l’alto, per non incontrare gli occhi di Andrea. E, aspettando una qualsiasi reazione dell’uomo, si fece scorrere davanti agli occhi tutti i fotogrammi della sua vita passata, il periodo in cui si era frequentata con lui, le confidenze di lui a lei, le sue a lui, tutto quello che aveva personalmente vissuto lei, prima, durante e dopo la sua conoscenza.

Andrea era, nonostante le apparenze, un ragazzo molto timido. Era ancora timido da uomo maturo, lo era stato ancor più da ragazzo e da giovanotto. Tutti, al paese, avevano la ragazza; lui, no. A lui pareva una sconcezza fidanzarsi nel paesino, dove tutti, per una ragione o per l’altra, avevano a che fare con tutti. Per esempio, gli piaceva un sacco la sorella di Michelangelo, ma poteva fidanzarsi con la sorella di un amico? E se il fidanzamento naufragava? Andrea non aveva scampo: ovunque posasse gli occhi, vedeva per lui terra proibita: o sorelle o cugine o amiche di sorelle di cugini o di amici e compari. Era più forte di lui. Così, quando non ne potette più di stare senza ragazza, prese la strada del vicino paesino, raggiungibile, fra l’altro, anche a piedi, lungo un tratturo che si snodava per alcuni chilometri tra campi e boschi. E là passeggiava la sera, là andava la domenica mattina, davanti alla chiesa, in attesa che finisse la funzione e che la gente passeggiasse prima di rientrare a casa per il pranzo. Dopo alcune di queste “sedute”, adocchiò una ragazza che gli pareva si addicesse proprio a lui, ai suoi gusti, alla visione che aveva della coppia nel matrimonio.

Era bella, ma molto schiva. E, anche se si copriva il capo con un fazzoletto, le ciocche di capelli biondi che ne uscivano, più o meno fortuitamente, rappresentavano comunque una nota un po’ particolare per non destare attenzione, in una comunità in cui le bionde si potevano contare come mosche bianche. Doveva avere non più di sedici-diciassette anni ma pareva sufficientemente matura e seria. Ad Andrea le sfacciate non piacevano e, dopotutto, lui non si fidanzava solo per avere la certezza di rapporti facili. Il fidanzamento per lui era, anzi, l’anticamera del matrimonio, non la stanza del sesso. Prese a corteggiarla. La domenica mattina, perché in realtà la sera non riusciva a incontrarla per la strada. In chiesa si metteva sempre in piedi qualche fila dopo la ragazza, in modo da non perderla di vista, all’uscita si affrettava verso il limite del piccolo sagrato, ne discendeva i gradini e aspettava il suo passaggio, in silenzio, fino a quando non ebbe il coraggio di sorriderle e poi di avvicinarla.

“Ciao, mi chiamo Andrea. Possiamo fare due passi insieme?”
“Veramente, mi devo affrettare a rientrare, devo andare ad aiutare mia madre in cucina - cercò di schermirsi la giovane. - Mi sta bene così, ti accompagno”.
“Non fino a casa, però. Va bene?”
“Va bene, mi basta, per ora”.
Accompagnandola, Andrea si dichiarò. Nel fatto, non disse altro che quello che la ragazza si aspettava… e già sapeva.
“Ti ho notato, sai? Non ci voleva la zingara per indovinare quello che volevi o che ti trovavi là per me. Non tenevi occhi per altri, tanto meno per altre. E devo confessarti che non mi sei indifferente, che sono contenta della tua attenzione. Rimane solo da sapere qual è la tua intenzione aggiunse la ragazza, appositamente sottolineando la parola.
“La mia intenzione è buona. Io sono una persona seria - sottolineò a sua volta Andrea - e ti chiederei su due piedi di sposarci se non ci fosse il problema del lavoro che dalle nostre parti è difficile trovare. Finora tante promesse che nessuno ha nemmeno ancora finto di voler mantenere. Né posso continuare ad aiutare mio padre in campagna, un lavoro che non mi piace molto, una campagna che non saprei far produrre, così come non saprei metter su e amministrare un’azienda. Mi avesse mandato in officina, in falegnameria, da un ciabattino, da una parte qualsiasi a imparare un mestiere quando ero ragazzo; no! Mio padre ha voluto che studiassi, ma del mio diploma, che diploma non è, non so che farmene, dal momento che non desidero andare all’università, e probabilmente anche perché non ne ho le forze. Cosa che, fra l’altro, rinvierebbe il problema del lavoro e della relativa soluzione di una quantità di anni pari a quelli della frequenza. Devo decidermi. Ho bisogno di un po’ di altro tempo. Intanto, possiamo conoscerci. Sei molto giovane ancora e potresti anche essere la mia ispiratrice, la mia consigliera nella decisione di quel che ti piacerebbe che io facessi”.

La timidezza, questa volta, non lo aveva tradito: era andato in fondo al suo discorso, come un direttissimo. La ragazza, per giovane e immatura che fosse, pure carpì, dal discorso di Andrea che, a parte la teoria, un che di ben determinato doveva comunque albergare nella sua mente. E si convinse che presto la decisione sarebbe venuta, pure senza troppe pressioni da parte sua che, per la vita, non voleva se non un compagno onesto, qualunque lavoro dovesse fare. E gli disse che accettava quella che pareva una sorta di sfida. Andrea, pienamente soddisfatto del primo incontro, non vedeva l’ora di andar via, per godersi intimamente la gioia della conquista, del successo. Aveva tanta fretta che non si peritò nemmeno di sapere come si chiamava la ragazza. Una ragazza di cui non sapeva assolutamente null’altro se non ch’era bella. Si ricordò di chiederglielo all’incontro successivo, che era riuscito a ottenere per la sera di martedì.

A quell’epoca, l’unica distrazione per i giovani era il cinema. Ed era anche il luogo dove era possibile scambiarsi qualche effusione, di quelle che non fossero comunque troppo ardite. Per fortuna, il paesino aveva il suo locale, un locale che, ai nostri giorni, con l’imperante televisione, sarebbe chimera perfino sognare. E lì si rifugiarono Giovanna e Andrea quella sera e per i primi incontri successivi. Poi cominciarono a essere notati e la voce corse, corse, fino a incontrare le orecchie della madre di lei. La quale chiamò a sé la figlia e le chiese ragione di quel che si diceva. La ragazza, anche se non si era subito confidata con la madre, non essendo avvezza a dire bugie, non ebbe alcuna difficoltà a raccontare quel che stava avvenendo. Finito il racconto, arricchito, a richiesta della madre, degli altri dati relativi all’attività, alla posizione sociale e ai progetti (in realtà, semplici voti, desideri) di Andrea, ciò che seguì, non del tutto inatteso, fu il caldeggiamento della genitrice a una presta presentazione del giovane in famiglia, “per non far parlare la gente”. Cosa che poi avvenne nel giro di non molti giorni. Con una grande liberazione - bisogna dire - dell’anima di tutti. Specialmente dei giovani che, come puntualmente avveniva in quei tempi, sarebbero stati più liberi nella prigione delle mura domestiche che non per la strada o dietro qualche siepe lontana da occhi indiscreti.

Infatti, quando Giovanna e Andrea stavano in casa, spesso la mamma trovava la buona scusa per andare una volta dalla vicina di casa, un’altra dalla sorella, un’altra al negozio per prendere questa o quell’altra cosa necessaria per la cena da preparare. E l’assenza non era mai di “qualche minuto”. Volendo, i due fidanzati avrebbero avuto tutto il tempo disponibile per prendersi. Solo che questo non avveniva e non sarebbe mai avvenuto. Giovanna si chiedeva perché Andrea non andasse oltre le carezze e i palpeggiamenti, più o meno profondi, ma non lo chiese mai ad Andrea. Si rispondeva che Andrea era rispettoso delle tradizioni, era rispettoso di lei, innanzitutto, e che voleva conservare intatta l’illibatezza di lei, da godere poi appieno la prima notte di nozze.

Le cose, in realtà, stavano diversamente. E Giovanna, ancora allora, in quel momento in cui stava seguendo i fotogrammi che si succedevano, velocissimi, nella sua mente, non sapeva che la verità era tutt’altra da quella da lei immaginata. Una verità che avrebbe appresa solo allora, subito dopo che il filmato della sua vita fosse giunto a termine. Andrea, rimasto davanti all’uscio, lui stesso impietrito, senza sapere cosa dirsi, cosa rispondere, cosa suggerire a Giovanna per Francesco, si riebbe.

“Nulla dobbiamo dire. Non c’è nulla da dire, se tu non hai già detto. Perché turbare la vostra felicità, la vostra vita? Io non ne vedo la ragione. Non rimarrò molto al paese. Anzi, siccome nessuno mi obbliga a rimanerci due mesi, posso sempre anticipare il mio rientro in Australia al momento che io vorrò. Se proprio fosse necessario giustificarmi con i parenti e gli amici, posso sempre dire di essere stato richiamato dalla mia ditta. O no?” riuscì a dire Andrea, come in un soffio, parlando sottovoce, per paura di essere sentito da Francesco che, in realtà, in quel momento, non era ancora rientrato dal suo turno di lavoro, per un fortunoso ritardo del collega “montante”.

“Entra, Francesco è in ritardo. Vediamo se riesci a dirmi perché sei sparito senza dirmi nulla, come un ladro che fugga da un appartamento. Quanta pena, quanto dolore, quanta disperazione! Tutto ciò che ero riuscita a sapere, qui, al tuo paese, dai tuoi genitori, è che ti avevano chiamato urgentemente per lavoro all’estero e che di te non sapevano più nulla, tanto che erano intenzionati a rivolgersi all’ambasciata o al consolato… ora non ricordo più a chi dissero… per avere tue notizie. Notizie che molte volte sollecitai nei mesi successivi e che rinunciai poi a pretendere, pensando che era meglio per me considerarti morto. Per dimenticarti, mi fu molto utile il corteggiamento, il fidanzamento e il matrimonio con Francesco. Anche se, in me, il segno del tuo passaggio nella mia vita non si è mai del tutto cancellato”.

“Posso chiederti perdono, posso mettermi in ginocchio, ma, a parte la vigliaccata di essere sparito insalutato ospite, non posso del tutto rimproverarmi di averti lasciata. Adesso siamo abbastanza adulti e, facendo finta che tu sia il mio confessore, posso dirti finalmente quello che non ebbi la forza di dirti prima di sparire. Io ti amavo, ti amavo quanto tu non hai mai saputo, quanto probabilmente non ti ama nemmeno il tuo Francesco che ti ha resa madre. Ma non potevo sposarti. Sposarti, sicuramente, avrebbe significato renderti infelice. Io non avrei potuto darti i figli che ti ha dato Francesco, io sono… impotente. Questa è la verità, la dura verità, non solo per te. Tu sai che i nostri rapporti da fidanzati non hanno mai valicato certi limiti. Tu, probabilmente, giustificavi il mio comportamento e lo ritenevi da galantuomo, di uno che rispettasse la tua persona e le nostre antiche tradizioni. La verità era, invece, che quando stavo con te, a parte un turbamento superficiale che mi faceva comunque piacere, altre reazioni in me non se ne verificavano. Anche quando insistevo ad accarezzarti le parti intime, il mio ‘lui’, che non mi aveva mai dato l’impressione di non valere, rimaneva inerte, pareva che dormisse o che qualcuno lo avesse stordito con il cloroformio. Che vita sarebbe stata la mia, che vita la tua, innanzitutto? Se fossi stato in grado di avere erezioni e poi ci fossimo accorti che la mancanza di figli fosse da addebitare a me, una soluzione ci sarebbe sempre potuta stare. Quanti bambini rimangono soli al mondo perché la guerra ha falcidiato gli adulti e ha fatto morire tanti genitori? Quanti genitori muoiono di fame? Quanti bambini li seguono nelle tombe? Uno, almeno uno, lo avremmo potuto salvare. E avremmo salvato il nostro matrimonio, avremmo salvato il nostro amore, avremmo salvato innanzitutto me stesso… almeno moralmente e socialmente. Ma senza la gioia di rapporti che ci facessero sentire l’uno dell’altra e viceversa, senza la materializzazione del nostro sentimento, materializzazione che è poi il sale del matrimonio e dell’amore, che vita sarebbe stata? Tu mi rimproveri di essere sparito. Hai ragione, da un punto di vista formale e delle buone maniere, ma non è del tutto giustificato, se è vero che ‘il fine giustifica i mezzi’. E la mia vergogna? Sì, tu mi puoi dire che non sapevi e che, non sapendo, eri come un cieco che brancola nel buio. Ma io non ce la facevo, non ce l’avrei mai fatta a confessarti, allora, quella mia debolezza, anzi, quella mia grave menomazione dovrei piuttosto dire, che non si coniugava affatto bene, non si coniugava per niente, con i miei vent’anni. Venti anni che dovevano essere anni da leone. Venti anni che dovevano essere di fuoco! Non perdonarmi, se ritieni che io non lo meriti, ma l’inferno che ho vissuto dentro al cuore è un inferno che mi ha tanto punito che la punizione può ben equivalere a un perdono”.

E qui tacque, Andrea. Non aveva veramente null’altro da aggiungere. Poteva solo inveire una volta ancora contro la sua sorte, che gli aveva fatto incrociare di nuovo la strada di Giovanna, ma non poteva umanamente fare null’altro. E lui, se non era un maschio, era però pur sempre un uomo; non era un santo, non era soprattutto un dio.

Gli argomenti di Andrea finirono per far breccia nel cuore e nella mente di Giovanna.

“Ti perdono - disse la donna. - Per quanto ti ho amato, non potrei non perdonarti. E non potrei non perdonarti nemmeno per quello che hai fatto, che è stato sicuramente un elevato atto di amore e di gentilezza. Facciamo come se ci fossimo conosciuti un momento fa. D’altra parte, il peccato di aver nascosto a Francesco la nostra relazione quasi innocente, credo che possa essere considerato un vero piccolo peccato veniale, tenuto conto anche della mia giovanissima età di allora. E lo sbocciare di un nuovo sentimento, quello dell’amicizia, può essere gratificante per entrambi. Pace fatta, dunque”.

“Pace fatta. Grazie. E che il cielo te ne renda merito e ti dia tanta felicità, da non sapere come custodirla”, chiuse Andrea, con le prime parole che gli vennero alla lingua e lui trovò così ben attagliate da sentirsene perfino fiero.

Neanche il tempo di prendere posto nel divano e Francesco, usando le proprie chiavi, entrò in casa e si affacciò nel soggiorno. Poco dopo, dalle proprie camerette, fecero la loro apparizione i giovani, la prima di circa diciotto anni, che pareva la fotocopia della madre di tanto tempo addietro, il secondo, di circa quindici, di somiglianza indefinibile. Cenarono allegramente, si salutarono con affettuoso calore ma Andrea, mettendo in atto il proprio proposito, non ritornò mai più a essere ospite e, trascorse un paio di settimane, passò in fretta e furia dal bar, per salutare Francesco, con la scusa di aver ricevuto l’ordine di rientrare immediatamente a Perth.

Enzo Campobasso


 Redazione (foto medicinalive.com)

 

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  Commenti dei Lettori:

-- 08/12/2012 -- 16:37:32 -- vincenzo

Ringrazio tutti coloro che si dispongono alla lettura dei miei racconti. Amerei, però (non pensate di me in senso narcisistico) che esprimessero la propria opinione relativamente al loro contenuto e al mio modo di esporre i fatti (immaginati o reali che siano). Grazie.

 
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