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  L'ARTICOLO

09/09/2012

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“VENTI DI GRECALE”: Mare, campagna e Pasqua di guerra - 4° cap. (3)

Clicca per Ingrandire Sono riuscita due o tre volte in giornate di sole a portare Paolo sulla spiaggia. Biasino sostiene, e io ne sono convinta, che gli fa molto bene. Ma sola non ci posso andare. Una volta mi sono potuta aggregare a Papą, che andava controllare le carbonaie; un paio di volte mi ha accompagnato zio Raffaele. Alla Marina, dove c’č un po’ di movimento, mi hanno accompagnato sempre. Č, la primavera, il periodo della preparazione per la stagione della pesca. Nell’aria un odore leggero di pece. Gruppetti di persone lavorano intorno a barche, altri intorno a reti, altri intorno a lampade. Giacomino il Pescatore, quando non sta per mare, sta lģ alla Marina: ha sempre qualcosa da fare. Un paio di barche sono inclinate su un fianco. “Le stanno riparando - mi spiega zio Raffaele, - le stanno calafatando: lavoro di chiodi e di pece, e di pazienza”. Intorno alle reti sono indaffarati uomini e donne. “Le reti sono di cotone di canapa: ci vuole tempo per farle, e per ripararle. I pescatori stanno sempre molto attenti a non romperle, e a conservarle bene: cosģ, quando le calano - la sciabica, in particolare - cercano di evitare ogni ostacolo, soprattutto gli scogli!” Molte reti sono distese sugli spasari: “D’estate, quando la sabbia č bella calda, le reti le stendono anche sulla sabbia”. Alcune donne stanno ricucendo a una rete l’armatura dei galleggianti di sughero. “Li staccano, per evitare che la loro umiditą si trasmetta al cotone della rete”. Mastro Giacomino č indaffarato intorno a una caldaia, appoggiata su un castelletto in pietra, sotto il quale sta ardendo un fuoco. «‘A leńė l’aġġja pėġġjątė o’ Rėnazzė» dice.

“Stanno dando la tintura alle reti - spiega zio Raffaele - per irrobustire il cotone, e anche per rendere le reti scure, meno visibili: bollono l’acqua, ci versano il tannino, immergono le reti nella caldaia, e poi le stendono ad asciugare”. Due ragazzi stanno lavorando intorno a una cesta, che contiene una trave, tanti sugheri e tanti ami. “Č una coffa, Biancł! I pescatori qui, anche se non sono tanti, fanno tanti tipi di rete: sciabica, tramaglio, tonnarella, e altri tipi, oltre la coffa. Anche se ogni rete č costituita sempre delle stesse parti: una parte leggera, galleggiante, fatta di sughero, una parte pesante, che spinge la rete sul fondo, fatta di piombo; e tanti anelli in ferro, in cui possono scorrere cime di manovra. Usano un tipo o l’altro di rete, a seconda che vanno a pescare una specie di pesce o l’altra, con un modo di pesca o l’altro. Pescano il pił delle volte pesce azzurro - sarde, alici, talvolta sgombri, o palamiti - che puņ anche sfondare le reti, se non sono robuste; e qualche volta vanno anche a merluzzi, o a triglie. Pescano spesso sotto costa; dalla parte dello Scalandrone in direzione di Vieste; non si allontanano mai tanto comunque dalla costa e, se lo fanno, lo fanno con pił di una barca”. Un tale č intento ad armeggiare intorno a una lampada. “Servono per la pesca notturna; o per le lampare. Sono a petrolio. Il petrolio viene pompato nella lampada da un serbatoio: pił petrolio si pompa e pił la luce č vivida. Se la luce diventa fioca, il pescatore forse s’č addormentato. Adesso, quando escono con la lampada, debbono avere il permesso dalla guarnigione, di stanza alla torre di Monte Pucci”.

La testata del molo č spesso piena di crocchietti di ragazzini, alcuni dei quali brandeggiano lunghi manici di legno. “Stanno dando la caccia agli sgombri «ku koppė». Vedi, č un anello di ferro con una retina a forma cilindrica, agganciato a un manico molto lungo”. Ogni tanto tra la testata del molo e il Monaco si vede l’acqua ribollire: “Gli sgombri! Eccoli! Stanno dando la caccia alle sardine! Adesso ne possiamo prendere tanti. E possiamo portare forse qualche soldo a casa”.

Zio Raffaele mi ha portato anche al trabucco pił vicino a veder pescare: al trabucco situato subito dietro lo Scalandrone. Il trabucco č una piattaforma in legno, sistemata su palafitte infisse su un costone roccioso, da cui fuoriescono pali pressoché orizzontali, che sostengono una rete da pesca, che puņ essere calata in mare e risollevata. “Sono tipici di queste parti, i trabucchi; perché ci stanno qui migrazioni continue di pesci, soprattutto cefali, dai laghi di Lesina e Varano verso la Testa del Gargano; e migrano sotto-costa per evitare attacchi di predatori: i branchi costeggiano cosģ gli speroni rocciosi, lambiti da acque trasparenti. La rete viene azionata a mano tramite argani e carrucole. E viene issata, quando transitano branchi di pesci. I pali orizzontali, le antenne, sono molto resistenti, di cerro: i trabucchisti avvistano i pesci, restando da sentinelle, anche per lungo tempo su un’antenna”. Quando arriviamo, la rete č calata. Da tre ore ci dicono. Due ragazzini sono su due antenne, uno accovacciato, l’altro in piedi. Č una bella giornata: il sole volge al tramonto.

«‘I vi! ‘I vi!» urlano ogni tanto i trabucchisti. «Prėparė!» e i tre uomini che stanno sulla piattaforma si lanciano sulle braccia dell’argano. E poi: «No, no, aspģ!» Finché finalmente - č passata pił di un’ora - un trabucchista urla: «Včirė! Včirė!» I tre uomini - «Jammė ja’! Jammė ja’» - cominciano a girare in circolo, l’argano richiama le cime, la rete si solleva, si intravedono tra le acque guizzi argentei, la rete esce dal mare, cinque sgombri si dimenano disperatamente.

“Beh, poteva andare meglio! - sorride zio Raffaele. “Per i pescatori, s’intende, non certo per quei cinque sgombri! I trabucchi pescano anche con la luna. La luce della luna, aumentando la visibilitą, provoca un avvicinamento tra i branchi di pesci e l’avvicinamento dei branchi alla costa. Appena appare il primo quarto di luna, le specie iniziano a raggrupparsi; il raggruppamento raggiunge l’apice, quando la luna č piena: č come se nel mare ci fosse una festa. Allora puņ capitare che qualche pescatore realizzi una pesca miracolosa. Qui, a Peschici, nei casi - non sono molti - di pesche davvero miracolose, il mercato dei peschiciani non basta: i pescatori portano il pescato a Rodi, o a Vieste”.

* * * * *

Croce, l’altro podere di famiglia, č nel comune di Vico, tra Monte Pucci e Vico, a mezza costa a un’altezza di due trecento metri sul livello del mare, a quattro cinque chilometri da Peschici - molti dei quali di sentierini impervi - lontano da ogni strada rotabile, in terreno argilloso di quattro cinque ettari. Acqua potabile: zero! Il terreno, circondato lungo tutto il perimetro da un muretto a secco, č coltivato per un terzo a oliveto, per la restante parte a granturco; spaventapasseri di legno e paglia qua e lą nell’oliveto e nel campo di grano. Un manufatto in muratura di circa due metri per tre funge da magazzino. «Patrņ, amma jģ a Krņucė» ricorda Antonio. Qualche giorno dopo Mammą organizza la visita a «Krņucė». Ci va, durante le stagioni buone, pił o meno una volta al mese. A maggio l’ho accompagnata, mentre Paolo č rimasto a casa, con Angela e Teresa. «Bėjanġł, vistėtė pėsandė» mi consiglia Mammą «ke allą po’ fą friddė!» Antonio bussa al portone verso le sei. Mammą e io, gią pronte, scendiamo. Antonio ha con sé Mizar e tre muli. Mizar, con collare e guinzaglio piuttosto lungo, assicurato alla sella di un mulo, appena ci vede, comincia a scodinzolare eccitato, e arriva a dare una leccatina alle caviglie di Mammą. «Jč meġġjė ke cė sta Mёzząrrё kė nnņujė ‘nġasė avessėma kumbrundą kuąlėke ‘nėmala salėvaggė» mi spiega Mammą.

I tre muli, bardati con sella, capezza, redini, staffe, e un sacco di iuta legato sul fianco destro, non ci degnano di uno sguardo. Mammą ha portato con sé acqua, pane, pomodoro, caciocavallo e, per ogni evenienza, carta per tutti: li dispone in uno dei sacchi. «Ja, Patrņ, nġjanė!» Antonio accosta un mulo, dalla parte del fianco sinistro, alla scala della casa di «zė Rokkė». Mammą, sotto lo sguardo attento di Mizar, sale al terzo gradino, prende le redini in una mano, volta la schiena al mulo e si siede sulla sella, lasciando penzolare le gambe dal fianco sinistro del mulo. Antonio le restituisce una pianella, che le č caduta; e lega la capezza del mulo al didietro della sella di un altro mulo. Sul quale, seguendo l’esempio di Mammą, salgo io; e Antonio lega la capezza del mulo alla sella del terzo mulo, al quale č gią assicurato Mizar. Su questo sale lui stesso, issandosi con agilitą su una staffa. «Jammė ja’!» La carovana si incammina verso la Porta del Castello. La prima luce del giorno si insinua tra i vicoli; i colori sono nitidissimi; l’aria, purificata da tre giorni di grecale, č trasparente; qualche camino, fumando, condiziona gli odori; lo zoccolio dei muli, tranquillo sul ciottolato, crea risonanze. Incontriamo un gruppetto che procede in senso inverso. “Wow! wow!” fa Mizar.

«Kumą Marėjł, kąumė jamė?»
«E kąumė ą jģ, Mėką? Fa friddė!»

Poco prima della Porta, prendiamo sulla destra la scalinata che degrada verso il mare: i muli rallentano lievemente; sbuchiamo sulla rotabile, la seguiamo, percorrendo la Curva di Mastro Matteo, poi prendiamo a destra, lasciando di nuovo la rotabile, per un sentierino che scende decisamente verso il mare. La sabbia soffice rende poco agevole il procedere dei muli. Antonio guida la carovana verso la battigia, dove la sabbia č pił compatta: il cielo č chiaro, luminoso; il mare argenteo č calmo, quasi immobile; un’ondina pigra tenta di scalare qualche centimetro di spiaggia - ‘ma non č mare. Č lago!’ penso - accarezzando le conchiglie sul bagnasciuga; una brezzolina tenue, che viene dai campi, tenta di calmare l’ondina; famiglie di gabbiani giocano nella brezza tra la testata del molo e il Monaco; un paio di pescherecci in banchina, qualche barca in rada, barche tirate in secco; reti stese ad asciugare sugli spasari; una sola persona, vicino a una delle carbonaie, fumante. I muli ciangottano tranquilli sulla battigia; Mizar guarda con la fronte corrugata ogni ondina, le abbaia, si arrabbia, forse perché non risponde, la segue, strattonando il guinzaglio, finché lei non scompare, continua ad abbaiare perplesso alla sabbia, dove č scomparsa. «Me, lassėlė! Fallė jģ!» dice Mammą. Antonio ferma i muli, scende, libera Mizar dal guinzaglio. Mizar guarda Antonio, guarda Mammą, accoccolata sul mulo, accenna una leccatina a una mano di Antonio, si volta, dą uno sguardo alla spiaggia lunga, solitaria, e parte a razzo verso il Jalillo, verso l’estremitą della spiaggia opposta alla Marina: continua a correre sulla battigia, si lancia verso le ondine abbaiando, torna a terra, facendo larghe curve sulla spiaggia, si rilancia verso le ondine. Scompare quasi all’orizzonte. Poi si volta, e torna verso di noi; fa un paio di giri intorno ai muli, abbaia eccitato, e riparte di nuovo a razzo verso il Jalillo; continua a impazzare cosģ una, due, pił volte.

Il sole intanto, spuntato dal mare alle nostre spalle, sta cambiando i colori: il cielo si tinge di celeste, il mare di rosa e di celeste cangianti. Finché noi stessi arriviamo al Jalillo. Lģ, presso una roccia che spunta dalla sabbia, ai limiti della battigia, un uomo, piegato sulle gambe, con un fucile appoggiato sulle gambe, sembra osservare qualcosa sulla sabbia; poco lontano un mulo, con la capezza assicurata a uno spunzone di roccia. Angelantonio ci sta aspettando. «Pėdatė, Patrņ! Pėdatė dė cėńńalė! Assąjė! Ġrossė e pėcėnennė! So’ mmėnutė a bbąivė». Guardiamo le orme senza scendere: Ci guardiamo intorno: nessuno, e nessun animale, se non qualche rondone sul mare verso il trabucco. «Cė nė so’ jjņutė!». Angelantonio lega la capezza del suo mulo alla sella del mulo di Mammą; Antonio rilega Mizar al guinzaglio; la carovana riprende il cammino. Antonio adesso ci guida verso l’interno, costeggiando Monte Pucci sulla destra, e lasciando il mare alle spalle; la sabbia cede spazio via via a un terreno pił compatto, carsico, misto a humus grasso. Dopo qualche centinaio di metri incrociamo nuovamente la rotabile che sale verso Monte Pucci, la attraversiamo e prendiamo un sentierino impervio che inizia rapidamente a salire. I muli rallentano. Mizar innanzi a tutti guida la carovana. Il terreno diventa sempre pił roccioso; inizia la pineta e con essa iniziano odori nuovi - resina, corbezzoli, tamerici - e suoni nuovi - civette, picchi. La strada adesso s’inerpica; i muli hanno qualche difficoltą a seguire la pendenza; noi dobbiamo piegarci in avanti per mantenere l’equilibrio. Antonio e Angelantonio scendono dai muli: Antonio si pone innanzi al primo, guidandolo per la capezza; Angelantonio si pone dietro l’ultimo. Mammą, che č un po’ rotondetta, a un certo punto si arrende.

«‘Ndņ! Mo nan denġė kjł u gčnėjė! Famma ššennė!»
«Me, Patrņ, aššinnė! E ‘ttakkėtė a’ kąudė a’ ciłccė.»

Antonio ci fa scendere con l’aiuto di uno sgabellino che estrae da uno dei sacchi. Mammą si attacca alla coda del mulo; io faccio altrettanto; riprendiamo la marcia. Continuiamo cosģ per una mezz’oretta. ‘Come sono pazienti!’ mi dico, riconoscente verso il mulo, che mi aiuta. Finché la salita si placa e il sentierino prende a snodarsi in falsopiano. Rimontiamo sui muli. Mi volto e vedo Peschici, sul promontorio alle nostre spalle, al di lą della Valle degli Olivi. Poi, subito dopo un dosso, scompare. D’un tratto Mizar sul limitare della pineta prende ad abbaiare, dando strattoni al guinzaglio; i muli si piantano; un fruscio sale dal sottobosco. «Me, Jangėlandņ, piġġjė ‘a škuppčttė!» consiglia Antonio. «I leprė! I leprė!» esclama Angelantonio. Ma non fa a tempo a impugnare il fucile che gli animali spariscono, saltellando rapidamente nel sottobosco ricco della pineta. Ci lasciamo la pineta alle spalle; il sole adesso inizia a essere caldo. Cominciano gli oliveti, a perdita d’occhio. Finalmente arriviamo: tre ore.

Giulietto il Vicaiolo sta potando un olivo. Giulietto č il contadino che si occupa di Croce. «Jissė sta fąurė, avvucčin’a Včikė» mi dice Mammą. «Assģstė avėtė fondė akkuą ‘tturnė». Č bassino e rotondetto; ha occhi vispi; maglia di lana grossa, calzoni pieni di toppe, calze di lana grossa, scarpe grosse, sbrindellate, baschetto. «I vulčivė dė Krņucė so’ kkjł dė dujėcendė arbėlė» mi spiega Mammą. «Mo akkuą i vulčivė nan c‘addakuėnė e cė kungimėnė pąukė, ma a spruą c’anna spruą. Tuttė l’annė, nu parė dė volėtė all’annė. Giuliettė ‘a tąinė ‘a facčnnė!» Seguo Mammą nell’oliveto tra gli ulivi: lei li guarda, ne ispeziona alcuni con occhio esperto. «Giulič, včinė akkuą» gli dice. Giulietto le si avvicina, il baschetto in mano. Lei gli parla.

«E ą pņurė assistė u ġranė, Giuličttė, ke, ‘u vģ, na’ ńč tanda pikkulė. Kjł dė tre ettėrė! Jissė kuąnnė servė cė fa ‘jjutą de’ kumbąńńė sņujė». Il campo appare attraversato da solchi ordinati, tra loro paralleli. «‘U vi, Bėjanġł, mo u tėrrčinė jč prondė pė sumėndą. Giuliettė l’ą prėparątė: prčimė du vernė l’ą ‘ratė ki mņulė, l’ą pulėzzątė kė l’erpėcė. E kuąnnė cė fatčjė ki mņulė, t’ą ruspėġġją timbrė pė farlė mańńą, e ą kkumėnzą a fatėją ‘a matčina subbėtė. Mofaląnnė amma pņurė kungėmatė, auąnnė n’ gė nė parlė propėjė. Fra pąukė cė sumendė. E kučstė jč opėrė di femėnė: menėnė ‘a sumendė jind’i sulėkė a vņunė a vņunė, andņ jč ggiłstė, e po passėnė u rastčllė p’akkumėġġjąrlė. A mmąitė, tu ‘u sa, cė mąitė ‘a statčjė.»

Mammą percorre qualche solco, chinandosi pił volte, raccogliendo manciate di terra e lasciandole ricadere, verificandone la consistenza tra le dita. Mangiamo una fetta di pane con pomodoro, sotto un olivo maestoso - Mammą e io, insieme, non riusciremmo ad abbracciarlo - che sta lģ davanti alla casetta.

«‘U sa, Bėjanġł, Paulłccė kė st’arbėlė parlė, ‘u ‘bbraccė, ‘u kkarčzzė, kualėke volėtė cė mettė kuąsė a kjańńė. Dčicė ke c’arrėkordė ‘a passiąunė dė Giasėkrģstė jindė č’ vulčivė du Getzčmėnė; e i traggčdjė ġrossė di ndčikė d’a Ġrąicė.»

Ho cercato di resistere il pił possibile. Ma non ce l’ho fatta. La pipģ naturalmente si fa all’aperto. Chiedo a Mammą di mantenere gli uomini sotto l’olivo con lei. Lei annuisce e mi porge un po’ di carta. Mi porto dietro la casetta e mi accoccolo, cercando di utilizzare al meglio la gonna lunga, che tengo, e cercando di sottrarmi per quanto possibile allo sguardo curioso dei muli, e pure di Mizar, che sono parcheggiati lģ vicino. Ripartiamo verso le tre, almeno cosģ mi pare, guardando la posizione del sole. Riformiamo la carovana. Quando ci muoviamo, Giulietto č su un olivo a potare. Il falsopiano adesso soleggiato č caldo: decine di lucertole sembrano apprezzare. La pineta risuona di cicale. Quando, al di lą di un dosso, Peschici ricompare in lontananza, appare, rosea sullo sperone roseo, invasa dal sole, che č iniziato a calare. Il mare, sempre calmo, appare celeste azzurro; e Mizar, lasciato libero, si scatena ancora. Il tramonto ci accompagna, mentre risaliamo verso Peschici.

* * * * *

L’atmosfera della Pasqua inizia ad avvertirsi nella settimana precedente la ‘Domenica delle Palme’. La celebrazione della morte-resurrezione si svolge solenne, sentita, nei giorni del triduo pasquale, che č vissuto dalla comunitą con commozione intensa. “La commozione - sostiene zio Raffaele - ha sulla gente un effetto positivo di catarsi, di purificazione. Anche se poi la gente non la sopporta a lungo la commozione. Prima del triduo, la ‘settimana delle palme’, l’atmosfera č allegra, gioiosa; dopo il triduo, a Pasqua e Pasquetta, l’atmosfera č di nuovo quella della festa”. Č un periodo di lavoro intenso per Don Michele, e per Angela, e per tutte le comari dell’Azione Cattolica. Ed č anche periodo di ritorni: Aldo, Ettore, Mimģ sono a Peschici; zio Raffaele č a Peschici. Angela prende in mano le redini della famiglia e la conduce passo per passo a una partecipazione consapevole agli eventi. La settimana delle palme prevede per tradizione due riti casalinghi: le grandi pulizie di casa e la risistemazione dei materassi e dei cuscini di lana.

«‘A pulėzzčjė» ricorda Angela «jč dėsėderėjė dė pulėzzą tuttė kundė, da jind’e da fąurė. Tuttė c’amma prėparą pa sėttėmana sandė, jč ‘a sėttėmanė ke vņunė ą sta kkju kująitė, ą pėnzą, ą prėją nu morsė dė kkjł fčin’a ke Gesł rėsorgė.»

Angela, Teresa e io impieghiamo tre giorni per fare le pulizie di casa; e ammucchiamo in uno sgabuzzino della terrazza tutto quanto puņ essere destinato a finire nel falņ di Natale. Altri tre giorni li impieghiamo per risistemare i materassi e i cuscini: li scuciamo tutti, estraiamo la lana, laviamo le federe, facciamo cardare la lana - Mattiuccio il Pecoraio si destreggia tra una casa e l’altra, - aggiungiamo la lana che serve, rimettiamo la lana nelle federe, ricuciamo.

‘Sabato delle palme’ - Č giorno di allegria, preparatorio della domenica. Bambini e ragazzi sciamano a stormi per gli oliveti a cogliere rami di ulivo. Ettore e Mariolina ne portano a casa una quantitą; Teresa poi li raggruppa in mazzi, ingentilendoli con qualche violetta.

‘Domenica delle palme’ - «Jč u jurnė ke i krėstėjanė adduąirė akkumbąńėnė a Gesł kuąnnė trašė a Gerusalčmmė kė tand’avėtė krėstėjanė, ke fannė festė.»
«Papą, joggė a’ messė ą jģ pė forzė» Angela ha un tono imperativo, inusuale. «Joggė Dommėkąjlė leggė u Passėjė.»

Papą annuisce con un sorriso. Angela ci guida alla messa di Sant’Elia. La processione per la ‘benedizione delle palme’ parte verso le nove dal Purgatorio. Apre la processione il crocifisso astile, tenuto da un chierichetto; segue Don Michele, avvolto nel piviale sorretto da altri due chierichetti; poi l’ampolla con l’acqua santa e l’aspersorio, portati a mano da un altro chierichetto; e poi in due file parallele bambine e ragazze, e bambini e ragazzi, festanti, con rami, mazzi e serti di olivo; poi donne con qualche bambino; infine qualche uomo. La processione esce dal borgo antico, percorre il corso e si ferma alla Curva del Frantoio, dalla quale lo sguardo spazia tra il mare azzurro, tanto, il mare dei pini su Monte Pucci, e il mare degli olivi, che si inseguono in direzione di Vieste o si inerpicano lungo le dorsali verso Vico. Qui Don Michele si inginocchia, alzando le braccia al cielo; e tutti si inginocchiano, alzando rami e mazzi verso il cielo; e Don Michele li benedice. «Bėnėdčicė u sumėndątė, i vulčivė e tuttė l’atė arbėlė» sussurra Angela. La processione ritorna in un’atmosfera tuttora festante alla Chiesa madre per la messa solenne della ‘Passio’. Č la fine della gioia ed č l’inizio della celebrazione del dramma della morte di Cristo e del mistero della resurrezione. L’atmosfera della messa č resa altamente drammatica dalla interpretazione recitativa della passione, alla quale Don Michele presta con una cura particolare. Lui interpreta Cristo, Caruso interpreta San Pietro che rinnega Cristo, Mimmo il Sacrestano interpreta Giuda che tradisce Cristo, Biasino interpreta Pilato che giudica Cristo, il coro della Confraternita della Morte, schierato dietro l’altare, interpreta il popolo di Gerusalemme chiamato a decidere sulla condanna da infliggere a Cristo. Le letture sono in latino. Non le capisce, credo, nessuno; anche se su qualche messale sono riportate traduzioni in italiano, che solo alcuni comunque sono in grado di leggere. Ma sono tutti commossi: molte donne con il fazzoletto tra le mani si asciugano le lacrime. Quando il coro grida ‘Crucifige! Crucifige!’ dalla navata gremita, tra un mormorio di disapprovazione generale, si alzano vari «Noo! Nooo!» sdegnati. E quando Cristo esala l’ultimo respiro, e ‘il velo del tempio si squarcia’, il coro, pestando i piedi sulla pedana, produce improvviso un fragore crepitante, seguito da un silenzio palpabile, rotto da qualche singhiozzo. L’atmosfera di commozione pervade anche la cerimonia «d’a Veja Krąucė» guidata da Don Michele nel pomeriggio: tanta, tanta gente segue Don Michele nel percorso doloroso lungo le quattordici stazioni, le tappe di Gesł nell’ascesa al Golgota, distribuite tra le Chiese del paese.

Nei tre giorni seguenti le pie donne dell’Azione Cattolica, guidate da Angela, sono indaffaratissime per la preparazione del sepolcro di Cristo. Io, forte dei ricordi della mia fanciullezza ad Alberona, dņ volentieri una mano. Il sepolcro viene preparato a un altare laterale della Chiesa madre: ai piedi dell’altare č appoggiato un piano in legno inclinato, ricoperto totalmente di fiori e di petali multicolori che, giocando con i colori, delineano forme di ostie o di calici; vasi e vaschette, disposti tutt’intorno, contengono semi di grano prossimi a germogliare.

‘Giovedģ santo’ - Č il giorno del sepolcro. Nel pomeriggio - «all’ąura nąunė, akkąumė dčicė u vangiąilė » ricorda Angela «akkumčnzėnė i tre jurnė d’a passiąunė» - viene celebrata nella chiesa madre la ‘missa in cœna Domini’, che ripercorre l’ultima cena di Gesł, nella quale Lui ha istituito l’eucaristia ed erudito i discepoli al comandamento dell’amore. Viene ricordato anche l’episodio della ‘lavanda dei piedi’. Don Michele lava i piedi dei membri pił anziani delle Confraternite. Alla fine della messa, Don Michele depone la pisside, contenente il Santissimo, nel sepolcro. Il tabernacolo dell’altare maggiore, vuoto, resta aperto; Croci e statue di Santi vengono ricoperte con drappi viola; le campane di tutte le Chiese vengono legate.

«Akkumčnzė u tembė ke vņunė penzė e prąjė. I krėstėjanė a Gesł jind’u sėbbulėkė n’o lassėnė majė sņulė. Nņujė, i femėnė dė l’Azziąuna Kattņlėkė, facčimė a turnė a sta nnanz’a vėtarė du sėbbulėkė.»

Si forma subito dopo una processione. Innanzi a tutti guida la Croce, coperta dal drappo; segue poi Don Michele con due chierichetti; poi i membri delle confraternite, che, issando lampioni con all’interno ceri accesi, intonano ripetutamente il ‘Miserere’. La processione si snoda tra le stradine del paese. “Questo Don Michele lo fa per tutti quelli che non possono, o non vogliono, andare in Chiesa: se loro non vanno da Gesł, Gesł, che non si dimentica di nessuno, va da loro”. Rientrati nella Chiesa madre, Don Michele, indossando solo la stola viola, sale sul pulpito, e ripercorre ancora i momenti della passione di Gesł. Gli occhi di molte mamme diventano lucidi. Quando Don Michele esclama ‘Donna, ecco tuo Figlio!’ compare, uscendo dalla sacrestia, portata a spalle da confratelli, la statua della Madonna Addolorata con le braccia tese, interamente vestita di nero. Don Michele poggia il crocifisso sulle braccia, tese, della Madonna; e la Madonna, con il Crocifisso tra le braccia, viene riaccompagnata, tra le invocazioni delle donne, nella Cappella dell’Addolorata.

«Jč tuttė pa dėvuzėjąunė a’ Madņnnė, pu dėląurė k’ą passątė sott’a Krąucė , a’ Mammė ke pņurė kė tanda dėląurė, cė piġġjė ‘a krąucė d’a mortė dė Kuģllė ke jessa stessė ą fattė naššė.»

Le donne dell’Azione Cattolica restano in adorazione dinanzi al sepolcro per tutta la notte. Angela ricompare a casa verso l’ora di cena; dopo un breve riposo, rinvigorita da una fetta di pane e cacio, ricorre al sepolcro da Gesł.

‘Venerdģ santo’ - Č il giorno del dolore. Angela alle tre del mattino, rientrata dal sepolcro, sveglia tutti: «Joggė jč u jurnė d’a Krąucė, n’ gė stannė messė e kumėnėjąunė e ną’ sonėnė manġė i kambąnė». Ci guida a Sant’Elia; Paolo resta a casa con Antonia. La ‘processione del Miserere’ inizia alle quattro. La processione, gremita di gente, ripercorre le quattordici stazioni della Via Crucis: le preghiere a ogni singola stazione terminano con l’implorazione della misericordia: ‘Miserere nobis!’ A mezzogiorno il suono scoppiettante, gracchiante «di trčnėlė», agitate dai ragazzini per le stradine del paese, sostituisce il suono delle campane. Nel primo pomeriggio viene celebrata «‘a Messa pazzė», la funzione dedicata all’adorazione della Croce. La Croce, tra ripetute prostrazioni di Don Michele, bocconi in terra, viene scoperta dal drappo in tre movimenti successivi, intercalati da preghiere e implorazioni. Al termine della Messa vengono riscoperte tutte le statue. Sul far del tramonto iniziano dalla Chiesa madre le ‘processioni della Madonna Addolorata’. La prima č guidata da fanciulle vestite da suora, «i munakčllė», che, ordinate su due file, intonano ripetutamente il canto ‘Stava Maria dolente’; seguono la statua della Madonna nerovestita, portata a spalle da membri della Confraternita del Sacramento, Don Michele con la tunica nera, e le donne, anch’esse nerovestite, che seguono il canto delle monachelle. La processione percorre la Via Castello per un lato, arriva fino alla Porta del Castello, e ritorna per l’altro lato della via a Piazza Balilla; lungo il percorso fanno ala sulla porta di ogni casa candele e candelieri.

La seconda processione lascia la Chiesa quando la prima č a Porta Castello. In testa č la statua del Cristo morto, portata a spalle da membri della Confraternita della Morte, che intonano ripetutamente il canto ‘Stabat Mater’ con toni piuttosto improbabili, in un latino a volontą; seguono soli uomini tutti con qualche addobbo nero - camicia, fazzoletto, baschetto, bottone all’occhiello - guidati da Mimmo il Sacrestano e dai chierichetti. A Piazza Balilla si verifica tra la commozione generale l’incontro tra la Madre e il Figlio morto. Don Michele, che nel frattempo si č portato sul balcone di casa Laberi, sulla cui ringhiera Angela ha appoggiato a mo’ di paliotto un drappo granata con la frangia dorata, ripercorre da quel pulpito i misteri dolorosi e i temi che angustiano con continuitą la mente dei peschiciani: la guerra, le morti, i prigionieri, gli emigrati. Č sera ormai, quando la Madre e il Figlio tornano insieme a Sant’Elia.

‘Sabato santo’ - Č il giorno del lutto. «U Sabbėtė Sande jč l’unėkė jurnė dė l’annė senza funzėjąunė dė kjesėjė: nendė messė e kumėnėjąunė, i tabbernąkulė senz’u Sandģssėmė stannė apertė, vakandė, i vėtarė senza tuąġġjė e senza fėjņurė, i kannąilė stutątė, propėjė akkąumė kuąnnė vņunė sta a lluttė». Ma č lutto, sembra a me, non disperato: č lutto consapevole della veglia di Pasqua prossima. La veglia si celebra dopo il tramonto. All’approssimarsi della mezzanotte, le Chiese del paese si riempiono di fedeli. Alla mezzanotte le campane slegate suonano a festa; e tutti inneggiano il ‘Gloria’, che annuncia la resurrezione di Gesł, la vittoria della vita sulla morte, della virtł sul peccato. Dalle stradine arriva il suono scoppiettante «di trenėlė». I ragazzi corrono in lungo e in largo eccitati.

‘Domenica di Pasqua’ - Č il giorno della resurrezione. Don Michele celebra a Sant’Elia la Messa solenne. Ha gią somministrato migliaia di ‘atti di dolore’ alla lunga fila di penitenti che si č presentata, fin dalle prime ore del mattino, al confessionale; una lunga fila infoltita dagli innamorati non ufficiali, tra i quali Teresa e Mimģ, ai quali Don Michele fornisce compiacente un servizio di scambi di messaggi. Le confessioni qualche volta sono ‘lampo’, soprattutto per i penitenti allergici all’olezzo che emana da Don Michele, dotati di capacitą di apnea limitata. Alla Messa partecipano in tantissimi: č l’occasione per alcuni di mostrarsi generosi, portando in sacrestia doni per chi ha meno. Il pranzo č ricco per quanto possibile. Il tempo del digiuno, la Quaresima, č alle spalle; e gli agnellini di Mattiuccio il Pecoraio ne fanno loro malgrado le spese.

‘Lunedģ dell’Angelo’ - Č il giorno dell’annunciazione del mistero della resurrezione. «Cė kjamė akkušģ» rammenta Angela «pė rėkordė dė l’Angėlė k’anna truątė Marėja Mataląinė, Salomč e Marėjė dė Giąkumė nnanzė o’ sėbbulėkė vakąndė dė Gesł. Jč festė a Paskuarčllė, akkąumė ‘a kjamąmė nņujė, ma na’ jjč dė precčttė. I krėstėjanė ‘a passėnė kė parčndė e kumbąńńė, ki cė fa na skambańńątė o’ fąurė sņuė, ki o’ vuskettė dė Kalėnė, ki a’ Madonn’Určitė, ki ku trajčinė, ki ku ciuccė, ki a pąidė, e cė mańńė assajė, prčimė dė tutt’a frėttatė.»


(3.5 cont.)


NB1. Per seguire meglio la narrazione, elenchiamo di seguito i link delle puntate precedenti.

Cap.1
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5363
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5369
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5410
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5435

CAP. 2
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5487
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5523
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5559
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5628
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5656

CAP. 3
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5709
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5734
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5751
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5779
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5811

CAP. 4
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5851
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5882


NB2. Si puņ facilitare la lettura dei periodi idiomatici tenendo a portata di mano la tabella dell’Alfabeto Peschiciano scaricabile da www.puntodistella.it/public/file/periodici/alfabeto_pds.doc




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  Commenti dei Lettori:

-- 17/09/2012 -- 19:27:56 -- vincenzo

Day Gilles Trinh Dinh avrebbe tante tele da dipingere, un poeta tante ispirazioni per comporre poesie. Questa, finora, č la parte di mia predilezione: colori e versi, non a contrasto, ma a scambiarsi bellezza... Alcune inesattezze, sono subito scomparse abbagliate dalla luce emanante dalla meticolosa ed appassionata descrizione di luoghi e fatti...

 
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