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15/08/2012

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“VENTI DI GRECALE”: La Storia vissuta e raccontata dal popolo - 4° cap. (1)

Clicca per Ingrandire 29.09.43 - Oggi č l’anniversario del mio matrimonio. Č il quinto anniversario. Che matrimonio sto vivendo! Paolo ha quasi tre anni e mezzo. E io non vedo Gino, il suo papą, da poco meno di tre anni e mezzo. Gino ha conosciuto Paolo, il figlio unico, a malapena. E Paolo, naturalmente, non ricorda nulla del Padre: per lui ‘Papą’ č quella fotografia che vede a lato del nostro letto, la fotografia che Angela ha posto sulla parete vicino alla sua culla, appena siamo arrivati a Peschici. Quando ho saputo che Gino era prigioniero, prigioniero degli inglesi, ho pensato - era l’inizio del ‘41 - che lo avrei rivisto, sano e salvo, in breve tempo. Si continuava a dire allora che avremmo sbaragliato i nemici in poco tempo, e che avremmo certamente proceduto immediatamente a uno scambio di prigionieri. Ma i nemici non li abbiamo sbaragliati, né in poco tempo, né dopo. Adesso anzi sappiamo che quelli, che sono stati nostri nemici, non sono pił nemici. E la lotta contro di loro č finita. Ed č finita male. Abbiamo perso la guerra. E non dobbiamo pił combattere contro di loro. E Gino, che č prigioniero degli inglesi, č prigioniero di un popolo di cui adesso dovremo, se ho capito bene, coltivare l’amicizia. Lo spero. Anche perché sembra che noi, di prigionieri da scambiare, non dovremmo averne poi tanti.

* * * * *

Paolo, in questo periodo pił che mai, č stato continuamente al centro delle mie attenzioni. Mi pare che cresca bene: sono contenta. Credo che Gino ne andrebbe fiero. E Papą Paolo stravede per il nipotino! Segue con grande attenzione il processo di crescita del nipotino, e la sua salute, e ogni sua conquista: camminare da solo, parlare… Cerca di fare del suo meglio per non fargli avvertire l’assenza del padre. E Paolo lo ripaga con grande affetto. Paolo, compiuto da poco un anno, č in grado di reggersi in posizione eretta, se appoggiato a un qualche sostegno consistente; e Papą si presenta a casa con un girello, acquistato a Manfredonia: “Questo lo aiuterą a imparare a camminare da solo, in poco tempo!” Paolo con il girello si diverte tantissimo: una volta sistemato dentro, comincia a zampettare velocemente, agitando le braccine, rimbalzando come una palla di biliardo tra pareti e mobili, emettendo gridolini eccitati. E Papą se lo rimira compiaciuto.

Finché accade un giorno che Paolo, sistemato nel girello, dopo aver rimbalzato un po’ come al solito, sfugge all’attenzione di Papą, che lo ha in consegna; e frana dal primo gradino della scala di ingresso, quello pił in alto, e atterra sul pianerottolino, pericolosamente vicino al bordo degli scalini restanti, prendendo impaurito a strillare come un’aquila. «Gesł, Gesł, u fėġġjņulė!» urla Papą, scattando per quanto possibile verso Paolo, inciampando su se stesso, cadendo in terra, ma comunque afferrando il girello; e Paolo, sempre pił spaventato dal trambusto, strilla ancora di pił; e Papą, anche lui spaventato, continua a urlare: «U fėġġjņulė, u fėġġjņulė!» finché Mammą e io non accorriamo, riusciamo a estrarre Paolo dal girello, e a rimettere in piedi con l’aiuto di una sedia Papą. Nessuno fortunatamente si fa male; ma Papą, ancora spaventato, apre la porta del ballatoio, solleva il girello, e lo scaraventa nella piazzola, imprecando: «Pa Majčllė, ke stiġġjė jč kuģstė! Kamčinė vattģnnė!» Il girello finisce in pezzi. Papą fa poi installare un cancelletto a protezione della scala d’ingresso.

Paolo prende a camminare da solo vero i sedici mesi; la capacitą di camminare, con la possibilitą di muoversi carponi, gli consente di arrivare dovunque: non puņ in ogni caso essere lasciato solo per via del focolare, quasi perennemente acceso, e degli scalini che si trovano qua e lą per casa. Pił o meno in quello stesso periodo, Paolo comincia a dire le prime parole: ‘Mammą’, ‘Nonnņ’ e Papą Paolo si illumina. “Papą”, e indica con l’indice la foto. E diventa via via pił indipendente, e pił consapevole: quando dice ‘no’, fargli cambiare idea č tutt’altro che facile. “Quando vuoi convincerlo di qualcosa - mi dice Biasino - devi stare attenta soprattutto a essere coerente, se no il bambino avverte l’ambiguitą dei messaggi, e la sfrutta a suo piacimento.” Col tempo il vocabolario di Paolo si arricchisce di termini, spesso pronunciati a modo suo, talvolta fantasiosi. Papą spesso ricorda la volta che, mentre continuava a ripetergli: «U fėġġjņulė dė Nonnņ! Akkąumė cė kjamė u fėġġjņulė dė Nonnņ?» Paolo gli ha risposto, ridendo: «Pallėpąllė!». «Ki si tu?» ha insistito divertito Papą, e Paolo convinto: «Pallėpąllė!» Da allora abbiamo tutti preso a chiamare Paolo ‘Pallopallo’. E Papą, quando gli affonda il volto sulla pancia, per provocare il suo riso, ha preso a dirgli «Pallėpą, mo tė mańė!» E Paolo sta imparando a comunicare il suo affetto. Non solo con le carezze delle sue manine, e con il riso con cui risponde alla carezza del Nonno.

Ricordo il pomeriggio che, trovandoci Paolo e io in Piazza Balilla a passare davanti al consorzio, Paolo ha preso a tirarmi per la mano verso il consorzio, ripetendo: “Nonnņ! Nonnņ!” e indicando con l’indice la porta. “Nonnņ! ‘Tolo, tolo’!” Mi sono accostata alla porta e l’ho aperta: Papą era solo, seduto dietro la scrivania. Paolo si č infilato nella stanza, esclamando: “Nonnņ! No ‛tolo tolo’!” ed č corso verso di lui, ad abbracciarlo. Papą ricorda ogni tanto l’evento e gli vengono i lucciconi agli occhi.

Paolo continua a crescere bene. Ho continuato ad allattarlo, dopo la mastite, fino al ventesimo mese: “Mo basta! - impone Biasino - il latte tuo adesso non ha pił il nutrimento che serve a Paolo”. Paolo per qualche tempo continua a chiedere: “Mammą, ninnģ!” Ma io gli rispondo: “Pallopallo adesso č grande. No ninnģ!” E lui dopo un po’ si convince. Io da una parte sono contenta di quest’altra conquista di Paolo sul percorso verso l’indipendenza; dall’altra il fatto che lui non ha pił bisogno del mio corpo, per progredire, mi turba. Decido allora di far dormire Paolo insieme con me nel mio letto matrimoniale, eliminando la culla dalla stanza: lui per qualche tempo, prima di addormentarsi, si accuccia vicino a me con il volto sul mio seno, cantilenando “Mammą, ninnģ!”

All’inizio di quest’anno, perņ, la salute di Paolo mi ha procurato tanta ansia: gli č venuto un brutto ascesso al collo. Noto inizialmente una pustoletta, circondata da un qualche rossore e Biasino mi consiglia sulfamidici, sia per bocca che con impacchi locali. Ma il rossore si allarga, il gonfiore si accentua, la pustoletta inturgidisce, e in pił viene la febbre.

«Bėjasč! Bėjasč!» esplode Papą. «Bastė kė stu Bėjasģnė!» Mette sulla carrozza Paolo, me e Biasino. «C’ą mbarą kuąlėkė kąusė stu Bėjasčinė!» e ci porta a Rodi, da Giggi Russi, il medico di lą. Giggi conferma: “Biancł, hai fatto bene a venire. Non č una cosa bella. Questa infezione ha un’origine banale: č dovuta alla dentizione. Perņ il pus dal cavo orale si č fatto poi strada in basso attraverso le fasce profonde del collo. E puņ arrivare anche al torace. Ed č meglio che lą non ci arrivi. Adesso incidiamo e puliamo. Non č niente, vedrai! Tu, Biasģ, che dici?” Giggi Russi incide, poco pił di una puntura, drena, e pulisce. Dopo qualche giorno passa tutto. Ma che paura!

Ho cominciato a cucire per Paolo la camicia grigio verde da marinaretto fascista. «N’ąvėta fėssarčjė » ha osservato bonariamente Papą. Ma so che lui stima Don Pasqualino; e Don Pasqualino rimarrebbe tropo male, se Paolo non entrasse nel gruppo di marinaretti peschiciani.

* * * * *

Quando potremo Paolo e io riabbracciare Gino? Sto cercando di seguire l’evoluzione della guerra. Faccio grande fatica! La guerra me la racconta Papą, che sa delle mie ansie, perché sono anche le sue. O anche mi intrufolo, a origliare, in qualche discussione dei crocchietti in Piazza Balilla: i pił infervorati sono Don Pasqualino, camerata convinto di vecchia data, Don Vito, il barone, monarchico e cattolico fervente, Biasino, oppositore discreto, zio Raffaele, l’erudito, sempre intento a cercare di osservare le cose con oggettivitą, a cercare di razionalizzarle. Papą, sempre prudente, sempre contrario a ogni forma di azione armata, interviene a tratti. Don Elia Darrigo, il magistrato, difensore della legalitą, e zio Luigi, intento quasi sempre a preparare pozioni, in generale ascoltano.

«Ma vė parė bellė a vņujė?» dice Biasino fin dall’inizio. «Akkuą na’ tėnčimė mezza lčirė pė l’akkuedņttė, pa kurrčndė, pa fońńė, e nņujė amma spennė solėtė, amma mmanną i ggiłvėnė nostrė a murģ jind’i terrė e jind’i pajčisė dė l’avėtė; e nan ząulė a’ Libbėjė, all’Etėjopėjė, all’Erėtrąjė, a’ Somąlėjė, che stannė allundąnė, andņ sta l’Afrėkė, ma pņurė all’Albančjė, a’ Ġrąicė, ke stannė akkuą nnanzė.»

«E ke n’u sa tu ke mo cė vo nu morsė dė saġrėfģcėjė, po perņ trattąmė nząimė kė kuģllė ke vengėnė. Kučsta jč ‘a pulģtėkė dė Musėlčinė. E jissė avė sembė raggiąunė!» ribadisce Don Pasqualino, e aggiunge: «Tannė ą vėdč akkąumė ješšėnė i solėtė pė ‘vč l’akkuė, ‘a lņucė e i kabbėnčttė.»

E Biasino: «Paskualč, tu l’avģssa sapč ke kuąnnė parlė dė solėtė sta parlannė di kundė ke c’anna pėġġją da kė vengė a učrrė. E sa pņurė ke nu morsė dė saġrėfģcėjė sińėfėkė mortė, giłvėnė mortė, giłvėnė ‘taliąnė mortė, fiġġjė dė mammė e patrė ‘taliąnė mortė. E cė kapiššė! Tu dė fiġġjė nan nė tčinė. E po u buttčinė, kuillė pė te jč u buttčinė! Sonnė kąusė dė vņunė, ke n’avėtė cė piġġjė; ka skņusė certamčndė, dė pėġġjarėcė pajątė i dannė d’a uerrė. Dannė d’a uerrė ke jissė stessė ą fattė.»

«E tu na’ ppinzė ke i ggiłvėnė nostrė ponnė truą ‘a fatčjė jind’i pajčisė nąuė ke nņujė amma kkupątė, mmąicė ke anna jģ sbattčnnė pė pajčisė allundąnė ke k’u sapė po akkąumė ‘i trattėnė ?»

«E pėkkč?I terrė nąuė nan sonnė buttčinė?»

«Ma sė nn’u fa tu u buttčinė ‘u fannė l’avėtė. E po jessė pņurė a dannė tņujė!»

E le discussioni proseguono all’infinito, propagandosi per tutti i crocchietti del paese. L’umore prevalente cambia col tenore delle notizie che arrivano dai vari fronti. Verso la fine del ‘40 sono arrivate, del tutto inattese, notizie di sconfitte prima in Grecia, subito dopo in Africa Settentrionale, in Egitto; e con loro delusione, senso di scoramento, preoccupazioni infinite. E io, e noi in famiglia, con Gino dapprima impegnato sul fronte di guerra, poi caduto prigioniero in Cirenaica, siamo ben coscienti di queste sensazioni. Quando i tedeschi accorrono nella prima metą del ‘41 al nostro fianco, il Patto Tripartito risolleva la testa.

«Mņ l’ata vistė» dice Don Pasqualino «ke stčimė o’ postė giustė. I Tadeskė, ke stann’ all’Afrėkė – u Gėnėralė Rommčllė, emmņ tu skańńė! – i stannė dannė fčilė da torcė e’ nġlčisė e a kuģllė di tanda kolņnėjė ke i nġlčisė pajėnė pė farlė fa ‘a uerrė nząimė kė lląurė; akkuą ‘mbaccė a’ kosta slavė l’anna fattė arrennė ‘a Juġosląvėjė e ‘a Ġrąicė; mņ cė sendėnė n’atettąndė e anna ttakkatė ‘a Russėjė akkąumė nu vėndaġġjė, da tuttė i kuąrtė: da nord anna kkupatė Leninġrądė, da sud anna kkupatė Kėjeffė, da ovčstė stannė arruąnnė a Moskė.»

“Ma non ti rendi conto - zio Raffaele cerca di controbattere - che la molla che li spinge č la cultura della razza padrona? Loro sopra tutti, sopra tutti gli altri: ‘Deutschland über alles’ dicono. E figuratevi adesso cosa pensano di noi. Che siamo degli imbelli. Che non siamo capaci neanche di mettere il naso fuori casa, senza un papą che ci accompagni!” E aggiunge: “Ma come si fa a giustificare tutte queste aggressioni continue ad altri popoli, con la necessitą di cercare spazio vitale per il popolo tedesco. ‘Lebensraum’ dicono, spazio vitale. Ma č mai possibile che un popolo intero, magari pił di un popolo, si faccia ammaliare da una parola, da un’idea come questa?”

«Po jessė majė» sottolinea Biasino «ke a nėššņunė ‘i passė pa kapė ke Lebensraum sėńńģfėkė mortė, mortė pė tuttė kuģllė ke stannė jind’a kuģ postė ke kualėkedņunė vulčssė pė fforzė.»

«Ke u Sėńńąurė cė vo pėnzą Jissė!» ho sentito Papą mormorare. «Musėlčinė ą kkumėnzątė ‘a učrrė kuąnnė ‘a Frangė stąivė accčisė. Na’ ńč ke mo ammąnnė i truppė a’ Russėjė pėkkč mo ‘a Russėjė sta accčisė?» E quando si viene a sapere che Mussolini ha deciso di inviare in Russia, in aiuto ai tedeschi, il Corpo di Spedizione Italiano, l’ho sentito dire, guardando il Cuore di Gesł che domina lo stanzone: «Giasėkrģstė mčjė, kuģstė cė nė jč jņutė de kapė!»

«Ji n’o saccė akkąumė amma fa» continua a sostenere Biasino «a mandėnč tanda suldątė nostrė sbėjatė sąup’a tuttė sti frondė! Akkuą non gė sta nč akkuė e nč lņucė: allą c’anna putč majė sta, na’ ddčikė l’armė, i makėnąrėjė, u karburąndė, ma almąinė kundė pė mańńą, ąkkuė, vėstčitė, skarpė, tendė?»

All’inizio di dicembre arriva la notizia della resa definitiva delle armate italiane in Africa Orientale, di fronte agli inglesi. «Povėrė uańņunė, l’avrannė pėġġjatė sėkuramčndė pė famė, pė strakkučzzė, pė vvėlėmčndė» sostiene Papą. Qualche giorno dopo si viene a sapere del blitz dei giapponesi a Pearl Harbour; poi della dichiarazione di guerra degli Stati Uniti al Giappone; poi della dichiarazione di guerra dell’Italia, quale membro del Patto Tripartito, agli Stati Uniti. Ho visto Papą, inginocchiato davanti al Sacro Cuore, battere ripetutamente la fronte sui piedi del Cristo e mugolare con voce soffocata: «Učrrė a tuttė vannė: Eurņpė, Afrėkė, Asėjė, jind’u Pacifėkė. Uerrė e’ frangčisė, e’ nġlčisė, e’ ġrąicė, e’ slavė, e’ russė, e’ mėrėkanė. Giasėkristė mčjė, cė manġė sņulė k’amma fa ‘a učrr pņur’a Tte! O stčimė aggią ‘n gučrrė kė Te?»

Segue un breve periodo di speranze, a causa delle operazioni condotte in Africa Settentrionale da Rommel; e questo, si dice, deve aver spinto Mussolini a rinforzare, finanche con gli Alpini, il Corpo di Spedizione in Russia, che č diventato un’armata, l’Armata Italiana in Russia: ‘Armir’. Ma il sollievo dura poco, molto poco. Arriva quasi contemporanea la notizia della sconfitta dei giapponesi alle isole Midway. “Gli americani, la sorpresa di Pearl Harbour se la sono legata al dito” sostiene zio Raffaele. Qualche mese dopo si sa della resa definitiva in Africa Settentrionale, a El Alamein, delle forze italo-tedesche. Qualche tempo dopo arrivano notizie della controffensiva dei russi, che ha respinto tedeschi e italiani, costringendo l’Armir a una ritirata rovinosa. Poi si rifą vivo, dopo due anni di silenzio, Mussolini. “Uno come lui, che per due anni non si fa sentire! - osserva contrariato zio Raffaele - e quando si fa sentire č solo capace di tracciare il bilancio della guerra al momento, in termini di costi sostenuti, di caduti, di prigionieri, di dispersi, e di tuonare che inglesi e americani pagheranno tutto molto caro. Ha portato pił sconforto, nella gente, e malinconie, che semi di entusiasmo”. E a Natale, nel discorso tradizionale, il Papa Pio XII parla come al solito di bontą e di speranza. “Ma davvero non c’era altro da dire? Non poteva dire altro?”

Č un periodo di grandi tragedie e di grandi tristezze: di morti tantissimi, di morti italiani tanti! Migliaia, si dice, in Africa Settentrionale, decine di migliaia, senza contare i congelati, e i dispersi, in Russia. I commenti seguono i commenti.

«Ma ke c’akkņkkjė u Giappąunė? Kuģllė sta ‘llą, nņujė stimė akkuą!»
«Ma ke cė jamė a ffą a’ Russėjė? I vėstčitė, i skarpė, ‘i tėnčimė?»
Don Pasqualino č la voce di Mussolini: «Kuillė, u Giappąunė, vo mettė a postė l’Asėjė, akkąumė nņujė ki tadčskė vulčssėmė sėstėmą l’Eurąupė… Nņujė a’ Russėjė c’amma jģ! Ki tadčskė! E amma fa kuillė ke manġė Napulėjąunė ą sapņutė fą. E c’amma krąidė, l’amma fa sta učrrė, akkuššģ l’Itąlėjė po javėzė ‘a kapė e cė po fą kanņššė pė kučllė ke jč sembė statė.»

E zio Raffaele argomenta: “Il Giappone nel Pacifico si trova a contrastare, oltre che gli Stati Uniti, anche il colonialismo dell’Inghilterra e della Francia. Per questo ha aderito al Patto Tripartito … Quello, il Giappone, ha cominciato a fare ‘lebensraum’ gią dal ‘31, quando ha iniziato le sue avventure sulla terraferma asiatica, invadendo la Manciuria. E ha continuato a invadere Paesi. Qualche volta per il ‘lebensraun’; spesso per mire, non rivelate, su terre che si pensano ricche di petrolio … Le guerre, le maledette guerre, si fanno per l’ambizione di pochi e la fame di tanti! E poi si cerca di nascondere le ruberie dietro altarini di legalitą! … E sempre le fonti di energia si rubano. Una volta si deportavano gli schiavi, adesso si insegue il petrolio, ovunque sia, o il gas, e si cerca di controllare le vie del petrolio e del gas. Che ci sono andati a fare i giapponesi in Indocina, o gli inglesi in Medio Oriente, o i tedeschi in Russia, che ci stanno a fare gli inglesi a Suez, e a Gibilterra?”

E Papą bofonchia: «L’imbąirė! L’imbąirė nąuė! Senzė na škuppčttė akkąumė cė dąivė! E senza manġė i skarpė! Vąaa va! … Mo, sė c’anna pėġġjatė a kavėcė jģnd’u kņulė a tuttė i vannė ‘ndņ sčimė jņutė, Eurąupė Afrėkė, vu vėdč ke cė venėnė a fą na bella mazzėjątė pņurė jind’a kasa nostrė? … U Rre, ma ‘ndņ sta u Rre? E nan jč u stessė Rre dė l’ata učrra mondiąlė, ke l’amma pņurė vindė? E mmņ ke fa u Rre o’ pizzė andņ l’ą missė Musėlčinė? Jč mmupņłtė? … E Musėlčinė ke ffa? Sta cittė pė dņujė annė e po parlė! E ‘kkąumė parlė? Parlė da Doucė? Vąaa va!» e aggiunge spesso, alludendo ai ragazzi al fronte: «Povėrė uańąunė!»

* * * * *

Quest’anno la situazione precipita: non c’č mai il tempo per assuefarsi a una cattiva notizia, che ne arriva un’altra peggiore. “La vita sociale č in ebollizione - spiega zio Raffaele. - Persino le fabbriche del nord, che dalla guerra hanno potuto trarre grandi vantaggi, sono scosse da scioperi ripetuti contro il governo, e contro la guerra”. E poi la guerra stessa arriva in Italia, sulla nostra terra! “Da qualche mese a oggi č accaduto l’impensabile: americani sbarcati in Sicilia; Roma sconvolta da bombardamenti degli alleati; Mussolini sfiduciato dal Gran Consiglio fascista, costretto alle dimissioni, arrestato per ordine del Re, imprigionato, dicono, sul Gran Sasso; il Maresciallo Badoglio preposto alla guida del governo; e appena Badoglio ha proclamato: ‘La guerra continua’, scontento popolare, con manifestazioni continue nelle piazze, represso nel sangue; Milano, e altre cittą del nord, bombardate ripetutamente dagli alleati; Sicilia sotto il controllo degli americani”.

Questo mese poi! L’8 settembre!

Papą nel pomeriggio arriva a casa trafelato, e incolla l’orecchio alla radio.

«‘U sa ke dicėnė mo ke u Gėnėralė Eisėnąuer, u mėrėkanė, ą mannątė a dčicė da Algiąirė ke l’uffėciąlė ‘talianė anną fėrmatė aggią l’armėstģzjė a’ Sėcilėjė. Fėssarčjė! Jč propaġandė, propaġandė dė učrrė!»

Poco dopo, mentre noi stiamo in cucina davanti al focolare, recitando il rosario, Papą ci raggiunge scarmigliato, rosso per l’emozione. «Jč uąirė! Mo mo l’ą dittė pņurė Bbadņlėjė dall’EIĄRR. Ą dittė ke nendė kjł attąkkė kondrė i nġlčisė o i mėrėkanė». Poi, sovrappensiero: «E mo cė l’avrąnna dittė e’ tadčskė e e’ giappunčisė ? O c’u stannė dėcennė mo ‘kkąumė c’u stannė dėcennė a nņujė?» Č l’inizio del caos. Qui a Peschici decine e decine di persone si catapultano alla caserma dei carabinieri; anche Papą. «U Brėjatąirė na’ sapė nendė dė kkjł: pņurė jissė l’ą sapņutė da’ radėjė.»

Il giorno dopo arriva, non si sa come, la notizia che il Re, con la famiglia e i collaboratori pił stretti, ha lasciato Roma, e si sta spostando a Brindisi, salpando da Pescara; e qui a Peschici decine e decine di persone, quasi tutte donne, vanno a pił riprese a scrutare il mare, ad attendere il passaggio del convoglio reale – vogliono, soprattutto, incutere coraggio a Yela – incuranti della presenza della guarnigione tedesca alla torre di Calalunga.

«U Brėjatąirė jč rrumąstė akkąumė nu fessė: ‘kuģllė ke kummąnnėnė na’ m’anna dittė nendė’ continua a ripetere a tutti. ‘Na’ dannė sėńalė’.»

Nei giorni seguenti altre notizie si avvicendano a raffica. “Alleati sbarcati in massa a Salerno - ricorda zio Raffaele. - Tedeschi padroni di Roma; tedeschi straripanti nel centro-nord a far razzia di militari e civili italiani, centinaia di migliaia, di armi e di materiale bellico italiani; Mussolini liberato dai tedeschi sul Gran Sasso, e trasferito in Germania; Mussolini che preannuncia da Monaco di Baviera con un proclama radiofonico la costituzione nel nord Italia di una Repubblica, la Repubblica Sociale Italiana, e l’istituzione del Partito Fascista Repubblicano; il Re che proclama il Regno del Sud, con capitale Brindisi”. I commenti della gente diventano vieppił insofferenti nei confronti degli eventi e delle istituzioni. Don Pasqualino, mantenendo per quanto possibile una certa prudenza, appare sempre pił contrariato.

«Ma Musėlčinė ke va facčnnė? ke va dėcennė?» gli chiede Biasino. «Anġąurė c’amma akkundą le ‘virtł guerriere della stirpe’? Akkušģ po sėġond’a jissė nėššņunė c’ą putč pėrmettė dė fa nu passė kkjł nnanzė du ‘bagnasciuga del suolo sacro della Patria’, akkąumė dčicė jissė?»

Il giorno seguente l’arresto di Mussolini, Don Pasqualino rimane rinchiuso tutto il giorno nelle stanze dell’amministrazione comunale. «Jč da stammatčinė ke parlė e parlė ka Konsultė» racconta al solito crocchietto di amici «e mo aġġja dėcčsė ke bastė, mė dėmettė da Pudėstą, mė nė vakė.»

Zio Raffaele, che si trova a Peschici, lo invita a riflettere. “«Paskualč, na’ facčnnė muparčjė!» Tu non sei stato nominato da Mussolini, ma dal Re. Ed č il Re adesso che ha voluto riprendere in mano le redini del Paese, liberandosi di Mussolini. Qua a Peschici gią non si capisce pił niente. Mo, se tu ti dimetti, «ke ą succąidė»? … Quello - dice poi, alludendo a Mussolini, - quello s’č illuso. S’č illuso coi primi successi facili in Etiopia. Ma quali virtł, quali virtł belliche italiche? Pure i Romani, per difendere l’impero, sono ricorsi a guerrieri barbari! Il Papa addirittura fa ricorso alle guardie svizzere! E i Comuni, e il Papato stesso, si sono sempre guardati dall’imbarcarsi in grandi guerre. Hanno sempre fatto ricorso alla politica. … «Vėdčitė, uańńł», i tedeschi! Quelli decidono di invadere l’Italia, e, presto fatto, in pochi giorni riversano in Italia centinaia di migliaia di soldati, e catturano qualche centinaia di migliaia di italiani pił o meno allo sbando. Decidono di liberare Mussolini, e in un battibaleno Mussolini č libero, si fa per dire, in Germania.”

«Me, uańńł» - osserva Biasino - «kuillė ‘a tėnevėnė prondė da prčimė d’a učrrė ‘a ndėnziąunė dė piazząrėcė akkuą … ‘A lėbbėrazzėjąunė dė Musėlčinė! Fėjurėtė kuąnda mbroġġjė avrąnna fattė! Kė ki? E ‘u dčicė pņurė? Ku Rre, e kė kuģllė ke stannė aprčss’o Rre, e ‘kkušģ cė so’ lluątė stu sortė dė pčisė da nġollė.»

Don Pasqualino a metą settembre riparla di dimissioni; ma poi, dopo la notizia del Regno del Sud, con il Re a Brindisi in Puglia, ha smesso di parlarne.

* * * * *

Dopo il telegramma del Ministero della Guerra, che ci informa che Gino č prigioniero degli inglesi, non si sono pił avute sue notizie per diversi mesi. “Ma non ti devi preoccupare - cerca di tranquillizzarmi zio Raffaele. - L’Inghilterra č un paese civilissimo, che ha aderito alla convenzione dell’Aja e alle convenzioni di Ginevra, quelle per il trattamento dei prigionieri di guerra. Gino sarą trattato bene. … Certo, non possiamo aspettarci tante informazioni. Ci sarą una censura severissima. … Tu puoi scrivergli; ma, mi raccomando, solo informazioni sulla famiglia, sulla salute”. La censura infatti č severissima, e organizzatissima. Le informazioni che abbiamo avuto, arrivate sempre tramite il Ministero della Guerra e Lovoglio, sono state spedite o dallo stesso Ministero tramite telegramma, o direttamente da Gino, tramite cartoline prestampate. “Guarda tu, come sono organizzati - si č meravigliato zio Raffaele, che un po’ di inglese lo conosce. - Il prigioniero, che scrive, puņ solo barrare qualche casella su didascalie prestampate; pure se le didascalie sono in un italiano strano: saranno la traduzione letterale di modi di dire inglesi…”

Siamo comunque riusciti a seguire, anche se in maniera schematica, le vicissitudini di Gino. Gino č caduto prigioniero insieme a migliaia di commilitoni intorno a Bardia. Sono stati portati tutti a Suez, che č controllata da un presidio militare inglese. Lģ sono stati imbarcati su piroscafi inglesi per l’India, che č colonia inglese. La navigazione č durata una quindicina di giorni. Sono sbarcati in India, a Bombay. All’uscita del porto di Bombay si vede un grande arco, chiamato ‘la porta dell’India’. Zio Raffaele ha tradotto i termini inglesi. Bombay č una cittą molto grande, molto trafficata da tram, da autobus, da automobili. Ha una grossa stazione ferroviaria, frequentata da tanti treni sia elettrici che a vapore. A Bombay non si sono fermati. Sono stati fatti salire su una tradotta militare a vapore. Sono stati portati a Bangalore, in uno Stato indiano che si chiama Mysore. Il viaggio č durato tre giorni e due notti.

Non mi ero mai resa conto di quanto grande fosse la Terra. Zio Raffaele mi ha fatto seguire i percorsi di Gino sull’Atlante De Agostini: “«U vi», Biancł, da Peschici a Suez ci stanno duemila chilometri, da Suez a Bombay ci stanno via mare sei settemila ottomila chilometri, da Bombay a Bangalore ci stanno mille chilometri. L’India č grossa, č grossa dieci volte l’Italia! E gli indiani sono venti volte di pił degli italiani! Parlano centinaia di lingue diverse. Perņ c’č una lingua molto diffusa, l’hindi, la lingua viva pił vicina al sanscrito, che lģ č la lingua madre, come qui il latino. Ma l’inglese č lingua ufficiale: la parlano in molti. L’India č la patria di civiltą e di religioni antichissime. Anche Bangalore č una cittą antichissima, pił antica, pensa, di Roma. Ed č pił grande pure di Roma! Sta su un altopiano a quasi mille metri di altezza. E meno male che il clima č temperato, mentre in quasi tutta l’India il clima non deve essere sempre molto gradevole. Anzi!”

A Bangalore ci sono tanti campi di prigionia pieni di italiani; in ogni campo ci sono molti prigionieri. Gino č stato assegnato al campo di prigionia numero 9, ed ha un numero di matricola, il numero 321321; quando si vuole comunicare con lui, č necessario indicare questi numeri. Ciascuno dei POW - ‘Prisoners Of War’, ‘prigionieri di guerra’ traduce zio Raffaele - ha la sua matricola, con la quale viene identificato. Gli alloggi dei prigionieri e i servizi (mensa, bagni, cappella) sono buoni. Spesso arrivano i monsoni, che portano piogge torrenziali. Gino talvolta fa da interprete tra prigionieri e guardiani: lui conosce benino l’inglese, che ha studiato in Accademia.

A luglio del ‘42, dopo un tempo relativamente lungo di assenza di notizie, un telegramma del Ministero della Guerra ci comunica - Gino non ci ha preavvertito - che Gino č stato trasferito a Yol, in un altro stato indiano, che si chiama Punjab.

«Ke jč stu Yollė?» si č chiesto Papą.

«Saccė ji!» ha risposto interdetto zio Raffaele. Qualche tempo dopo č tornato trionfante con l’Atlante sotto il braccio: “«‘U vi», Biancł! «‘U vi, Pavėlł!» Yol sta qui ai piedi dell’Himalaya, che č la catena montuosa pił elevata della Terra, con montagne, guardate, alte il doppio del Monte Bianco; sta su un altopiano a pił di mille metri di altezza: deve far freddino lģ! Č lontano da Bangalore. Saranno pił o meno duemila duemilacinquecento chilometri. Pił o meno la distanza tra Suez e Roma. E sono due cittą dell’India, dello stesso Paese. Mi hanno detto che č una specie di ‘cittą-prigione’: perché di per sé č un paesetto piccolino, di poche migliaia di abitanti, ma ospita campi di prigionia enormi. La chiamano cosģ, Yol, come acronimo di ‘Young Officer Lane’, che significa in inglese ‘Sentiero del Giovane Ufficiale’.”

Il trasferimento da Bangalore a Yol č durato sei giorni: in treno fino a Nagrota; in camion da Nagrota a Yol. A Yol sono concentrati molti ufficiali italiani. Gino č stato assegnato al campo numero 26; e ha mantenuto il numero di matricola che gli era stato assegnato a Bangalore. A Yol si dą grande importanza agli esercizi ginnici. Le notizie ricevute sono molto scarne. Ma sufficienti a dirci che Gino č vivo. E che č in sé. Io gli ho inviato lettere, sempre molto brevi, con notizie su Paolo, su di me, sulla famiglia; mai sulla guerra in Italia, o sulla situazione a Peschici; meno che mai sui nostri stati d’animo.

* * * * *

L’impatto della guerra sulla vita di ogni giorno a Peschici, con l’andar del tempo e l’avvicendarsi degli eventi, č divenuto pił pesante. Fin quando la guerra č rimasta al di fuori del ‘sacro suolo della Patria’, le sue conseguenze sono rimaste circoscritte - caduti a parte! - alla diminuzione di braccia, di braccia giovani, non pił disponibili per i lavori dei campi e della marina. La situazione č andata deteriorandosi a seguito delle operazioni militari in Africa e Russia, le quali hanno indotto il governo a richiamare alle armi anche classi di giovanissimi. Don Pasqualino č arrivato a contare pił di novanta peschiciani al fronte. E Don Michele durante le messe raccomanda a tutti di ricordare nelle preghiere quei ragazzi. Nel frattempo Papą si č visto costretto a diminuire la frequenza dei viaggi a Manfredonia, causa la disponibilitą limitata di carburante e la borsa nera arrembante. Mentre Don Pasqualino ha cercato di convincere la gente a usare la carta annonaria, oltre che per il pane e la farina, anche per l’olio e il latte. Le donne del paese stanno cercando di supplire con le loro forze, fin quanto possibile, alla lontananza degli uomini.

Quando i tedeschi hanno accentuato la loro presenza nei Balcani, una loro guarnigione si č posizionata, al posto di quella italiana, nella torre di Calalunga, e la guarnigione italiana si č spostata nella torre di Monte Pucci. La frequentazione di militari, italiani o tedeschi, talvolta insieme, all’osteria di «zė Rokkė» si č accentuata.

«Kuģllė vonnė ‘a bbirrė» racconta zė Rokkė «ma nņujė n’a tėnčimė. E cė bevėnė u včinė. E cė mbrėjąkėnė a ciłccė!»

Ed č aumentata anche la presenza, intorno ai tavoli dell’osteria, di gruppetti di ragazzini, vestiti di stracci, scalzi, sudici, con il volto smagrito, ma allegri, in cerca di gallette e zucchero. Ed č anche aumentata - e di molto! - l’attenzione con la quale ragazzini e ragazze vengono seguiti dai parenti. Ma non sono successe cose brutte: solo qualche chiassata a ora tarda. La maggiore vicinanza della guarnigione italiana a Peschici non deve essere dispiaciuta al tenentino biondo; e neppure a Giulia.

«‘I vąikė spissė nzčimė, assėttątė nnanz’a kasė, Giłlėjė e u Bėjundčinė» mi ha confidato Maria la Rossa, «ma ssėttatė akkąumė cė dąivė, e llą parlėnė, ma no’ assajė. Spissė ridėnė kjanė kjanė. E uąrdėnė tutt’e dņujė allundąnė, o’ kuąrt’u marė.»

Quando la guerra arriva in Italia, dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia e i primi bombardamenti su cittą italiane, il senso di cameratismo che aveva accomunato militari tedeschi e militari italiani sembra appannarsi. «Zė Rokkė» dice che non stanno pił insieme all’osteria: gli italiani, quando gią ci stanno i tedeschi, si girano dall’altra parte e se ne vanno; i tedeschi, quando gią ci stanno gli italiani, li ignorano, si siedono a un altro tavolo e spesso, quando diventano brilli, prendono a schernirli; fin quando, dopo un po’ - meno male! - gli italiani si alzano e se ne vanno. Non sono accadute comunque tragedie come altre, in altre parti d’Italia, di cui si sono avute notizie. “Dev’essere - riflette zio Raffaele - la posizione geografica di Peschici, cosģ lontana da centri vitali del paese, isolata, povera, che ci aiuta a stare fuori dalla mischia.”

Le formazioni di caccia d’alta quota, in perlustrazione lungo la costa, inizialmente seguite con grande apprensione dalla gente del paese, sono diventate con il tempo familiari. Alcuni episodi hanno destato un certo scalpore. Dopo un viaggio a Manfredonia, sulla via del ritorno, due aerei tedeschi si sono abbassati sui tre pescherecci in rotta verso Peschici, e sono ripassati una, due volte, senza comunque nessuna conseguenza. «Mastė Giakumčinė», che era a bordo, č arrivato a Peschici tutto sconvolto: «Patrņ, i uańńņunė cė so’ škandątė! E purė ji mė so’ škandątė!» E Papą ha subito deciso di sospendere, almeno per qualche tempo, i viaggi a Manfredonia. Un’altra volta Don Pasqualino ha confidato: «Mo jč! M’anna dittė k’anna fattė na rėtatė dė bbrąjė a Manfrėdņnėjė, na kuarandčinė dė krėstėjanė! L’anna rrėstatė dė nottė, l’anna karkątė sąup’a nu trąinė e cė l’anna purtątė! … Pa Majčllė! Akkuą dė bbrąjė nan gė nė stannė. Meġġj’akkušģ!»

Dopo l’armistizio con gli alleati, intorno alla metą di settembre, qualche giorno fa, la guarnigione italiana ha abbandonato Monte Pucci. «Zė Rokkė dčicė k’anna ‘vņutė l’ordėnė ke c’anna rrėkoġġjė tuttė kuąndė nząimė o’ kumąndė dė Umbrė» ha detto Papą.

«Mo Giłlėjė tąinė mendė sčmbė allundąnė mmezz’a mmarė; ma na’ ttąinė kkjł kuą fąccia bbčllė surrėdčndė, kom’a kučllė ke tėnąivė prčimė» mi confida Maria la Rossa.

Don Pasqualino intanto č arrivato a contare una quindicina di caduti peschiciani sui vari fronti. Quante tragedie!


(1.5 cont.)


NB1. Per seguire meglio la narrazione, elenchiamo di seguito i link delle puntate precedenti.

Cap.1
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5363
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5369
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5410
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5435

CAP. 2
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5487
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5523
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5559
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5628
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5656

CAP. 3
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5709
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5734
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5751
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5779
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5811


NB2. Si puņ facilitare la lettura dei periodi idiomatici tenendo a portata di mano la tabella dell’Alfabeto Peschiciano scaricabile da www.puntodistella.it/public/file/periodici/alfabeto_pds.doc

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