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14/08/2012

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ITALIA IMMOBILE... QUAL PIUMA AL VENTO

Clicca per Ingrandire Tornano da una breve vacanza in Italia e sono le prime parole che mi buttano addosso, con un sorriso agrodolce: “Ma sapessi che bel sole che ho trovato in Italia... era solo il sole, però”. Con questo si dovrà capire tutto. Marisa, invece, di ritorno a Londra, ti investe: “Lì da noi la musica è sempre la stessa, non cambia nulla!” Un’altra simpatica ragazza di Piacenza, nella città del Tamigi da quattro anni, è stata laggiù dai suoi. “Ho dato un saluto alla mamma, poi dopo solo tre giorni sono scappata via.” Continuava a dire loro: “Ma qui è sempre tutto uguale, non si muove niente”. Tornano i giovani e fanno la faccia di chi abbia incontrato un mondo che non cammina. Ingessato. Antico. Anche se le insegne, a volte, sono modernissime.

Un missionario venuto dal Brasile, che incontravo casualmente nell’anticamera del vescovo, mi confessava: “Sai, la nostra diocesi è proprio immobile!” Un altro giorno fortunato incrociavo un vescovo emerito piemontese, sguardo sereno, profilo ascetico, tratto dolcissimo: “Siamo senza uomini di visione, sai - ti fa con una malinconia interiore che commuove, - “uomini che sappiano guardare avanti, all’orizzonte. È la solita gestione”. Sembra il tramonto di un mondo. Forse il contraccolpo di un’era. Cullata per decenni da benessere, televisioni private che imperavano con pseudo-valori, voglia folle di divertirsi e stare bene, sfilata di veline. ‘Panem et circenses’: mangiare e divertimento, come antichi dèi romani. Si era assorbito un interesse ossessionante. “L'uomo è ciò in cui crede” ricordava Anton Cechow.

E ci si chiede come mai la nostra terra abbia questo destino oscuro, quasi come in una tragedia greca, di rendere infelice la sua parte migliore, i suoi giovani, la sua gioventù. Di vederseli sfuggire di mano, sfiduciati, con un male nascosto. Proprio come la marea di italiani di sessant’anni fa. Emigranti. Partiti alla disperata. Un pezzo di storia che per noi non è mai entrato nella storia, non ha mai fatto storia. Quasi un braccio amputato di un corpo. Ma la loro lezione resta, tuttavia. Quella di non saper scommettere sull’avvenire, sulla ricerca, sui giovani. Di non decidersi a partire insieme per una lunga marcia contro i mali profondi della nostra terra. Di non vedere la casa che brucia, mentre egoismo sociale e suoi eroi negativi imperano. Dove corruzione, evasione e illegalità rendono irrespirabile l’aria, gli orizzonti dei nostri giovani.

Non si ha la fortuna di avere dei visionari, uomini di visione e di entusiasmo, che sappiano intravedere un avvenire grande coi passi di oggi. Ma solamente dei gestori. Gestire il presente, semmai sensibili al tornaconto, al potere, alla condiscendenza della propria cerchia. Nell’incapacità di portarsi ‘supra partes’, superando uno spirito feudale che separi i bianchi dai neri, i guelfi dai ghibellini, il nostro mondo in corporazioni. “Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi!” cantava una volta il nostro Giorgio Gaber. Così, vista dall’estero, la nostra terra appare come un mondo antico che perde i suoi giovani, fatica a sentirsi patria comune, incapace di spirito generoso, lungimirante, nell’integrare lo straniero.

Ricordava Charlie Chaplin: “Non troverai mai gli arcobaleni se continui a guardare in basso!” ovvero al nostro spazio che rinchiude, al nostro feudo. Il senso del tempo ricorda invece che si sta costruendo insieme, a più mani, una storia nuova, un’avventura originale e collettiva, con altri. Il senso dello spazio, al contrario, con chi lo adora, cristalizza e disumanizza i rapporti: lo straniero è ridotto a un ospite mal sopportato, l’altro si impanca da padrone di casa. “L'importante non è dove sei nato, ma dove ti senti a casa!” richiamava un grande autore.

Un fatto nuovo si osserva, ultimamente, nel successo di London 2012: i giovani inglesi. L’Olimpiade è stato un motore, uno stimolo potente per la gioventù inglese di tutte le razze nel coltivare lo sport. Dappertutto un logo ne indicava il senso: “Inspired generation”. Un motore nella vita di milioni di giovani stranieri di ogni origine che vivono in Gran Bretagna. Ispirati, invitati come per un grande ideale, a coltivare il corpo, il talento, il confronto e il “to be proud” (essere fieri). Già le migliaia di giovani volontari ai Giochi si rivelavano un challenge particolarmente riuscito, dando slancio all’emulazione, alla sfida del vivere-insieme, all’essere “fieri di sé” come lo sono gli atleti-medaglia-d’oro inglesi. Questi non riceveranno 140 mila euro di compenso, come i loro colleghi italiani. Solo il sorriso della regina. Saranno unicamente fieri, in fondo, delle loro abilità, in un mondo dai tanti volti, dalle tante culture differenti. “Inspired generation”.

Renato Zilio


 Redazione (foto di voiomanoposo, libero.it)

 

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  Commenti dei Lettori:

-- 14/08/2012 -- 15:56:15 -- vincenzo

Tutto ben detto, tutto ben esposto, tutto ben centrato, Zilio! Solo, non mi convincono queste ultime proposizioni: "Questi non riceveranno 140 mila euro di compenso, come i loro colleghi italiani. Solo il sorriso della regina. Saranno unicamente fieri, in fondo, delle loro abilità, in un mondo dai tanti volti, dalle tante culture differenti. “Inspired generation”.". Sicuro che basterà (od è bastato, visto che London ha chiuso i battenti dell'Olimpiade) il sorriso della regina? La G.B. si è appoggiata sulla gioventù di tutto il Commonwealth. Come ha preparato i giovani, affidandoli alle povere nazioni ancora sfruttate? E il valore veniale delle medaglie rimane (è rimasto) nelle mani dei vincitori o è andato alla corona? Non so. Io indagherei (ma non è mio mestiere).

 
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