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30/07/2012

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“VENTI DI GRECALE”: Nascite, morti e nuove speranze - 3° cap. (5)

Clicca per Ingrandire La domenica č giornata di riposo, e di riti. Riti ricorrenti sono la messa, il pranzo, la passeggiata al corso. “La messa č sentita qua come un momento di socializzazione, richiesto dal vivere comune - mi dice zio Raffaele. “Tutti, adulti, giovani, anziani, si lavano al meglio, se serve si sbarbano, si pettinano per benino, vestono l’abito pił bello, le scarpe pił decenti, il copricapo preferito. Ciascuno segue sempre la stessa messa nella stessa chiesa alla stessa ora. Perché si sa chi si incontra, oltre Dio e Don Michele. Ci si va possibilmente insieme con tutta la famiglia; e ci si raggruppa in crocchietti, sul sagrato, prima e dopo la funzione religiosa.”

La messa delle 10 al Purgatorio č la messa dei notabili.

Il pranzo della domenica č il pranzo della festa. Il piatto forte, per quanti possono permetterselo, č ‘maccheroni al ragł’, conditi con formaggio pecorino. E vi č spesso il rito nel rito.

«I mammė» mi racconta Angela, «kuąnnė fannė i makkarņunė, nė fannė vņunė kkjł lonġė dė l’avėtė, kumėġġjątė kė nu fčilė dė rąifa bėjanġė, ke n’ gė vąidė: kuąnnė po, mendrė ke cė mańńė, kualėkėdņunė - nu uańńąunė - ‘u kkappė e c’allamčndė ke jč ttukkątė a jissė, l’avėtė ‘u piġġjėnė pė fessė e ‘u kandėnė apprčssė: ‘Kannarņutė, tu si kannarņutė!’»

La passeggiata della domenica al corso rappresenta il momento di libertą per le ragazze del paese: libertą vigilata naturalmente. Le ragazze vestite di abiti chiari, le calze opache chiare, le scarpe lucide marroni con la fibbia laterale esterna, i capelli scuri, lunghi fin oltre le spalle, sfilano per il corso in gruppi, tenendosi per mano, sorridendo, parlando tra loro a bassa voce, talvolta mormorandosi qualche segreto dietro una mano pudica accostata dinanzi alla bocca, talvolta lanciando qualche sguardo in sottecchi, talvolta arrossendo; e vanno avanti e indietro dalla Porta del Ponte fino all’ultima lanterna a petrolio per ore. Alle loro spalle l’immancabile scorta costituita da genitori o fratelli maggiori che, chiacchierando tra di loro, sembrano costantemente interessati a mostrare di trovarsi lģ per caso.

La passeggiata della domenica č anche il momento di intimitą pubblico per le coppie di fidanzati ufficiali: i fidanzatini passeggiano affiancati, a debita distanza, composti; lui puņ osare qualche sguardo di intesa, lei puņ schermirsi. Lungo i marciapiedi alcuni, quasi tutti uomini riuniti in crocchietti, osservano il continuo andirivieni - lo chiamano «u strčišė» - gli anziani con sguardi indagatori, i giovani con sguardi curiosi, talvolta stupiti, tutti atteggiandosi a un malcelato disinteresse.

* * * * *

In estate la vita del paese subisce un qualche sussulto: č tempo di ritorni. A giugno, terminato l’anno scolastico, tornano in paese i pochi studenti peschiciani che hanno la fortuna di poter frequentare le scuole a Foggia, a Cerignola, o a Bari o qualcuno a Napoli. A luglio e agosto torna, per passare qualche giorno in famiglia, qualcuno degli emigrati. A giugno a casa tornano da Foggia Aldo ed Ettore; a casa di zio Luigi torna da Bologna Mimģ. Aldo ed Ettore, i due figli maschi di «Mammą» Mariuccia, sono diversissimi fra di loro, come pure sono Rosalba e Teresa, le due figlie femmine. Aldo, sedicenne, bassino, occhi neri, capelli scuri, lisci, corti, qualche segno di vaiolo sul viso, ha temperamento evidentemente nervoso, si muove a scatti, sembra aggressivo, anche quando non intende esserlo. Ettore, quattordicenne, alto, occhi azzurri, capelli biondi, lisci, lunghi, si muove con calma misurata, con atteggiamento vagamente sognante.

Aldo non č uno studente modello: ha ripetuto la terza ginnasiale, prima di conseguire la licenza; anche quest’anno non ha superato la quarta ginnasiale; a Peschici passa il tempo fra il bar, a chiacchierare coi fannulloni del paese, la Marina, a curiosare sui pescherecci di Papą, e il Renazzo, a fare scorpacciate di frutta. «Dėddčinė tąinė ‘a kapa freškė» si lamenta Papą con «Mammą» Mariuccia. «Nan tąinė gčnėjė dė fatėją!»

Ettore quest’anno ha conseguito la licenza ginnasiale, sicché il prossimo anno frequenterą la stessa classe di Aldo, il quale dovrą ripetere. Ettore fa parte dell’Azione Cattolica Giovanile e lą partecipa a varie attivitą di gruppo: stanno cercando di organizzare la rappresentazione di alcuni pezzi teatrali; stanno cercando di mettere insieme alcuni giovani interessati a musiche da camera, ed Ettore ha iniziato a studiare il mandolino a Foggia alla Scuola d’Archi Umberto Giordano. Sia Aldo che Ettore invitano spesso loro amici a casa. Se ne vanno in terrazza, Aldo e i suoi amici a farsi grandi mangiate di olive e alici salate, e grandi bevute; Ettore e i suoi amici a cercare di strimpellare insieme qualche aria napoletana.

«Mammą» Mariuccia si sforza di mostrarsi equanime con tutti i figli. Papą Paolo ci riesce di meno: lui punta su Ettore per la continuazione delle attivitą di famiglia.

«Marjł» dice, «Ettorłccė je nu bbąunė uańńąunė! A vėdé».

Mimģ, un bel giovanottone alto e slanciato, č ritenuto un ragazzo in gamba: sta frequentando con profitto la Facoltą di Farmacia a Bologna, dove sembra conduca una vita non propriamente monacale, creando angustie e provocando infinite lacrime a Teresa. La quale comunque, quando Mimģ č a casa, č felice: «Bėjanġł, ji ‘u sendė ke mė vo bbąinė.» E passa quasi tutto il tempo sulla terrazza, che č un tutt’uno con la terrazza di zio Luigi. Anche Mimģ passa molto tempo sulla terrazza.

* * * * *

A settembre c’č stato a casa un nuovo arrivo: Pola ha dato alla luce Rosetta. L’evento, anche se previsto, č avvenuto in anticipo, cogliendo impreparato a Milano Nicolino. Il parto, come tutti gli altri eventi del genere a Peschici, č presieduto da Viinduccia, l’ostetrica. «Vėjėnduccė, ‘a vammąnė» qua č un’istituzione: tutte le ragazze la conoscono, le chiedono consigli, la rispettano. Tutte vogliono al parto la presenza sua, non quella del medico condotto: quasi tutte motivano la cosa dicendo che del medico si vergognano; ma in realtą si fidano solo di Viinduccia. Lei, su alcune regole, non transige: luce bassa, soffusa, intima; presenza esclusivamente di donne, due al massimo, oltre lei, e solo di donne che la partoriente sente affettivamente vicine; preparazione di qualsiasi cosa utile, acqua calda, asciugamani, quant’altro, in ambienti non visibili alla partoriente; carezze, carezze, carezze, parole dolci, incoraggiamenti continui, durante il travaglio. E cosģ č nata Rosetta.

Pola č sdraiata sul letto di Papą, data la vicinanza al focolare: le porte della stanza sono chiuse, dal lucernario filtra il chiarore di una sera di luna, una candela accesa č sul comodino, un’altra sul comņ; nella stanza con Viinduccia solo Angela. “Voglio solo Angela, con me - ha detto Pola. - Č lei che mi ha fatto veramente da Mamma”.

«Mammą» in cucina armeggia con pentole, conche, bacili e asciugamani; Rosalba, Teresa e io ci industriamo a dare una mano; Papą in salotto tiene a bada Biasino, la cui presenza č comunque tranquillizzante. Il suono della voce amorevole, suadente, di Viinduccia filtra di continuo attraverso la porta chiusa; si avverte qualche sospiro e qualche gemito di Pola, che si sovrappone; e qualche andirivieni affrettato di Angela e «Mammą». Poi i primi vagiti; e un pianto.

«Jč femėnuccė» comunica dopo un po’ Angela, aprendo uno spiraglio della porta. «Mammą, l’ąkkua kavėdė!»

“«Mo» potete entrare - comunica ancora Angela qualche decina di minuti pił tardi. - Pola vi aspetta, e pure Rosetta”.

«Vėjėnduccė» ha pulito per benino la bimba, che ha gli occhi chiusi, ha rassettato Pola, che sorride orgogliosa, ha eliminato i segni del travaglio. Mi capita un’oretta pił tardi di restare sola con Pola: č tranquilla, rilassata. La cosa un po’ mi sorprende: io, quando ho avuto Paolo col cesareo, ho sofferto tantissimo.

“Biancł - mi confida, - avevo una paura! Ma č stato tutto cosģ bello. Mentre Viinduccia mi parlava, e mi parlava di Nicolino, che mi stava vicino, e di Rosetta, che stava venendo alla luce, e Angela mi accarezzava, io sentivo Nicolino vicino a me, che mi abbracciava, e mi abbracciava, e Rosetta che usciva; e pił Rosetta usciva, pił forte Nicolino mi abbracciava; e poi lei č uscita tutta, ho sentito il suo pianto, e Nicolino era qui con me, a tenermi stretta stretta, a darmi tanti baci dolci.”

Nicolino č arrivato trafelato da Milano un paio d’ore pił tardi.

Viinduccia! Gran donna!

Cosģ, da settembre a casa ci sono stati due bimbi: Paolo mio e Rosetta di Pola. A tavola con loro eravamo in dodici: e Papą era tutto soddisfatto, quando ci vedeva seduti tutti insieme intorno al tavolo, intorno a lui. Paolo continuava a crescere regolarmente; anzi, forse un po’ tanto. E io continuavo ad allattarlo tre volte al giorno. Lui mangiava pappine, e mangiava me: mi aggrediva vorace. Finché m’č venuto un dolore al seno tremendo, accompagnato da qualche linea di febbre; e Biasino ha diagnosticato la mastite. Sono rimasta in dubbio per qualche tempo su cosa fare: essendo convinta che le mamme debbono allattare i figli il pił a lungo possibile, desideravo fortemente continuare ad allattare Paolo, ma avevo qualche ragade, che l’aviditą di Paolo davvero non risparmiava, e i dolori erano tali che non riuscivo a consentire a Paolo di vuotarmi la mammella, come Biasino consigliava.

Pola, che stava allattando Rosetta, ha convinto me e anche Biasino che la soluzione migliore era che lei allattasse anche Paolo, mentre io potevo attendere un po’ di tempo per riprendermi. E cosģ per qualche mese, fin quando dopo Natale Pola e Rosetta non sono partite per la loro casa a San Remo, Pola ha allattato sia Rosetta che Paolo. E Paolo, mentre io sotto sotto nutrivo grande gelosia, non si č fatto davvero pregare! A Papą la cosa č piaciuta molto: «Mo cė so’ fattė fratė i kunzėprčinė, fratė dė lattė!»

* * * * *

«A cėmėnąirė», il focolare della cucina, ben grande, č sempre al centro della vita della casa. Nei periodi autunnali e invernali poi, quando le folate fredde dal nord e le vampate umide dal sud mettono a dura prova la resistenza degli organismi, č certamente vitale. Il focolare č acceso in continuo, alimentato con rifornimenti frequenti e consistenti dai viaggi di Antonio e Moro. Anche la fornacetta sempre, e la stufa spesso, sono di grande utilitą. E la sera, prima di andare a letto, alimentano gli scaldaletti; altrimenti l’umidiccio delle lenzuola potrebbe diventare difficilmente sopportabile.

«Uańńł, stitėvė attčndė» raccomanda sempre Papą «ke cė nė jamė jind’u fąukė!»

Natale purtroppo non č stato un Natale allegro. Anche se a casa era il primo Natale coi due bimbi. Anche se i ragazzi, che studiano, erano tornati di nuovo a casa. Gią era presente, sordo, continuo, il pensiero di Gino lontano. Ma poi qualche giorno prima di Natale all’improvviso «Nonnņ» ci ha lasciato per sempre. Č accaduto durante il sonno, nel silenzio della notte.

Il pomeriggio precedente si č abbattuto sullo sperone un grecale furioso, che si incuneava tra i vicoli, ululando e squassando porte e finestre malferme; poi dopo qualche momento di calma relativa e di silenzio inquietante verso sera il vento č girato a scirocco e ha portato sul paese coltri di nubi fosche.

Dopo cena siamo tutti come al solito raccolti intorno al fuoco; due ciocchi enormi ardono nel focolare; la lampada č spenta; Angela, che ha gią serrato il chiavistello del portone, si č come al solito addormentata, la testa appoggiata allo stipite del focolare; e anche «Nonnņ» s’č addormentato. D’un tratto una saetta illumina la scena, e un tuono, scoppiato sembra a due passi, crepita fragoroso tra i vicoli, e cascate d’acqua cominciano a scrosciare. E poi altre saette, e altri tuoni. Angela si desta spaventata.

«Nonnņ» dischiude gli occhi, volge lo sguardo verso la finestra, come stupito dalla forza della natura, osserva sorridendo: «Pa Majčllė! Akkuą ndrąunė! E ‘kkąumė ndrąunė! Jamėcė a kukuą!» E va a dormire, accompagnato da Angela. Non s’č svegliato pił.

Continua a piovere e tuonare per tre giorni di seguito. Piove e tuona mentre «Nonnņ» č ancora a casa nello stanzone, esposto per l’ultima veglia, coi piedi orientati verso il portone, all’ultimo saluto di quanti - e vengono in tanti - vogliono e possono portarglielo. Piove e tuona per tutto il giorno e la notte seguenti, mentre lui resta composto nella bara, il viso sereno, i baffoni bianchi pettinati, vestito come piace a lui - lo ha vestito Angela - con camicia bianca e nocchetta sotto il gilč scuro, con cappello, pipa e bastone appoggiati a lato, e un crocifisso sul gilč.

Piove e tuona durante il funerale, celebrato al Purgatorio col portale ornato di grandi tende nere, da Don Michele, con l’abito da cerimonia nero, assistito da sei chierichetti, mentre le campane ripetono i loro rintocchi lenti e soffocati, e Caruso intona a gola spiegata una marcia funebre, cercando di superare il fragore del temporale. Piove e tuona durante il percorso verso il Cimitero sul serpentone che si snoda, protetto da ombrelli ondeggianti: innanzi a tutti un crocifisso astile, a seguire Don Michele e i chierichetti, poi «Nonnņ» sul carretto di Michelino la Macchina, ricoperto con drappi neri e da corone di fiori, protetto da un grosso ombrello, poi la famiglia, guidata da Papą e da «Mammą» Mariuccia, poi membri delle Confraternite della Morte e del Sacramento, vestiti di tuniche bianche, gli uni con mantelline nere, gli altri con mantelline rosse, disposti su due file, poi il gruppo delle donne con qualche bambino per mano, poi il gruppo degli uomini, con qualcuno che, ogni volta che tuona, accenna col capo alla bara, e sorride, con gli occhi lucidi. E tutt’intorno lungo il percorso porte, balconi, finestre serrati, dietro i quali si indovinano sguardi curiosi.

Piove e tuona durante la sepoltura, nella cappellina di famiglia, nel loculo, da lui prescelto, sovrastante il loculo che gią ospitava Nonna Angelina.

«Akkušģ sta vvucčinė a’ mėġġjąirė, akkąumė jč giłstė ke ą jessė» dice commosso Papą.

Č piovuto e tuonato per tre giorni e tre notti di seguito come in Gargano non capita praticamente mai. Finché nuove folate di grecale allegre, prepotenti, hanno riportato un azzurro splendente.

* * * * *

A metą gennaio Pola č tornata a San Remo, portando orgogliosa Rosetta nella sua casa vera. Paolo deve aver captato qualcosa: prima che Pola varcasse il portone di casa, mentre io baciavo Pola, e Pola teneva Rosetta tra le braccia, e io tenevo Paolo tra le braccia, lui ha stretto con le sue le manine di Rosetta, e non voleva lasciarle. Quando poi il portone s’č chiuso alle loro spalle, č scoppiato in un pianto dirotto.

Qualche settimana dopo la stanza di «Nonnņ» č stata riassettata: č diventata la stanza di Teresa. Papą Paolo ha fortemente voluto che Teresa si sistemasse vicino allo stanzone.

«Mo jč» l’ho sentito dire a Mammą Mariuccia. «Mo vąinė Paskuė, ą mėnģ Mimģ: e Sėnellė nan g’ą sta sembė sąup’a l’askėtrė.»

E oggi finalmente a casa a Peschici č festa: Gino č vivo! Gino č salvo!


(5.5 fine)


Cap.1
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5363
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5369
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5410
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5435

CAP. 2
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5487
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5523
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5559
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5628
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5656

CAP. 3
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5709
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5734
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5751
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5779

NB2. Si puņ facilitare la lettura dei periodi idiomatici tenendo a portata di mano la tabella dell’Alfabeto Peschiciano scaricabile da www.puntodistella.it/public/file/periodici/alfabeto_pds.doc

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