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21/07/2012

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“VENTI DI GRECALE”: Il dialetto, il mercato… la quotidianità - 3° cap. (4)

Clicca per Ingrandire Sono qui ormai da quasi un anno: ma che lotta con il dialetto peschiciano! Che fatica ho fatto a impossessarmi di parole, di modi di dire, a interpretare e acquisire le cadenze. E io sono pugliese, sono della provincia di Foggia!
“Ma che dicono, «zëjà?» - mi sono sentita costretta spesso a chiedere. E lo zio storico ogni tanto si lancia a briglia sciolta: è difficile contenerlo.
“Il dialetto di qua, hai ragione, è davvero particolare: ha origini decisamente slave. Pure il nome del paese, Peschici, sembra essere di origine slava: la radice ‘pesk’ indica sabbia nelle lingue slave, il termine ‘pjèskuscia’ indica suolo sabbioso; e anche il termine russo ‘peski’ indica suolo sabbioso. Perché di ceppo slavo sono i fondatori di Peschici.”

“Le origini del paese sono di poco prima dell’anno 1000: in quel periodo gli imperatori germanici, che si trovavano a contenere un caos dilagante, stavano cercando di riaffermare in occidente il Sacro Romano Impero, riproponendo il mito dell’Impero Romano e rivestendolo del carisma papale. Mentre da una parte tendevano a mediare tra gli interessi di regnanti e feudatari, dall’altra si trovavano a contrastare l’espansionismo dei Bizantini e la bellicosità dei Saraceni. E così è successo che un imperatore di Sassonia, Ottone I, quello che qualcuno chiama ‘il Grande’, ha reclutato alcuni Schiavoni - chiamavano così le popolazioni slave dell’Istria e della Dalmazia: beh, tu sei stata a Venezia, dove c’è la ‘riva degli Schiavoni’ - per liberare e difendere il Gargano dai Saraceni; e gli Schiavoni sono riusciti a tener lontano i Saraceni dal Gargano; e l’Imperatore li ha ricompensati, assegnando loro due colonie, che stavano nei posti dove stanno oggi Peschici e Vico.

“Poi di fatti ne sono passati tanti. Di tanto in tanto comparivano i Bizantini; su un documento loro si trova per la prima volta il nome del paese: si parla, mi pare di ricordare, di ‘Castello Pesclizo’; e loro chiamavano ‘Castelli’ i centri fortificati minori. Poi sono arrivati i Normanni, che hanno introdotto il sistema feudale: e Peschici è passata da un feudatario all’altro, dal feudo di Lesina al feudo di Monte Sant’Angelo. Poi sono arrivati gli Svevi, che hanno fatto della Puglia una delle loro residenze preferite: e le fortificazioni di Peschici e Vieste, durante il regno di Federico II - lo ‘Stupor Mundi’, che aveva continuamente a che dire con il Papa - sono state prima rase al suolo, poi ricostruite. E appresso sono arrivati gli Angioini. E appresso gli Aragonesi. Mentre i Veneziani dal canto loro continuavano per lungo tempo a controllare le coste dell’Adriatico e i traffici con l’oriente: e Peschici diventava sede di un cantiere navale rilevante, che aveva come clienti anche città della costa dalmata. E appresso sono arrivati gli Asburgo, con la guerra franco-spagnola snervante, e le ricorrenti scorrerie sanguinosissime della pirateria saracena: e Peschici, che si è trovata inserita nella catena di torri di avvistamento costiere, è diventata ‘Terra Baronale’. E appresso sono arrivati i Borboni; e la siccità, che pure è un maleficio di sempre, s’è accentuata; e sono capitate ricorrenti le invasioni di cavallette; e la povertà già grande s’è ingigantita; e l’emigrazione triste è iniziata. E alla fine sono arrivati i Savoia e il Regno d’Italia; e una guerra mondiale, che adesso chiamiamo ‘la prima’; perché ce n’è un’altra; ed è iniziata la riduzione progressiva dell’isolamento secolare del Gargano: e Peschici è stata raggiunta da una strada, la circum-garganica, e da una ferrovia, la Garganica; e, diciamo pure, da un acquedotto, l’Acquedotto Pugliese, che, lo speriamo tutti! prima o poi l’acqua la farà arrivare a sufficienza per tutti. Ma il dialetto, lui, tra tutti questi fatti la sua unicità l’ha mantenuta.”

È affascinante zio Raffele: la fa rivivere la storia.

“Lo sai, «zëjà», che adesso dopo un anno il dialetto peschiciano penso di capirlo abbastanza bene? Mi piacerebbe saperlo scrivere pure!”
“Eh, Biancù, scrivere il dialetto! Il dialetto è tramandato per via orale, non scritta. Ci ho provato io a cercare una maniera di scriverlo; ma non ho trovato molti seguaci. I peschiciani d’altra parte, quei pochi che sanno leggere, sanno come leggere le parole scritte in dialetto, comunque le trovano scritte.”
“Io, «zëjà», ci ho provato a scrivere qualcosa in dialetto tante volte, ma mi sono impantanata. M’insegni tu?”
“Insegnarti a scrivere il dialetto? - ride divertito. - Beh, ti posso dare l’alfabeto che ho proposto io.”
“Un alfabeto? Un alfabeto peschiciano? Perché non l’alfabeto italiano?”
“Perché il dialetto peschiciano non è la lingua italiana. E ogni lingua, e ogni dialetto, pretende l’alfabeto suo.”
“E come è questo alfabeto peschiciano tuo?”
“Ho cercato di mantenerlo il più simile possibile all’alfabeto italiano. È comunque necessario aggiungere qualche suono che in italiano non ci sta: la vocale neutra, per esempio…”
“La vocale neutra?”
“Sì, sì, la vocale neutra; come in «bellë». L’avverti, no?”
“Sì, certo, lo sento! Ma questo suono ci sta pure nel dialetto del paese mio, di Alberona… Non ci avevo pensato mai.”
“In quasi tutti i dialetti meridionali ci sta; e pure in tante lingue.”
“E cos’altro suggerisci con il tuo alfabeto?”
“Poco, poco di più. Mah sì, qualcosa, forse… perché ho cercato di proporre un alfabeto fonetico, più fonetico dell’alfabeto italiano.”
“Fonetico? Un alfabeto fonetico? E che è?”
“È un alfabeto che a ogni suono vocale fa corrispondere un solo carattere grafico, e viceversa, a ogni carattere grafico fa corrispondere un solo suono.”
“E l’alfabeto italiano, «zëjà», pure fonetico è, no?”
“No no, Biancù, non lo è. Se ci pensi un pochettino, te ne rendi conto.”
“Ma com’è che t’è venuta questa idea?”
“Ho notato che le persone che non sono italiane fanno una grande fatica a pronunciare ‘Peschici’ così come pronunciano gli italiani, e naturalmente i peschiciani. Se trovassero scritto «Peskëcë» con il cappa, oltre che con la vocale neutra, saprebbero benissimo come pronunciarlo.”
“È vero! Su, «zëjà», me lo porti l’alfabeto tuo?”

* * * * *

La giornata nel paese scorre con ritmi che si ripetono sempre uguali a se stessi. La notte è avvolta generalmente in un silenzio profondo, rotto periodicamente dai tocchi dell’orologio del Purgatorio; a meno che il furore del grecale non crei, incuneandosi tra i vicoli, risonanze ruggenti; o che il fragore dei marosi, che aggrediscono lo sperone, non si inerpichi fino alle case del paese. I primissimi chiarori dell’aurora riscoprono il paese avvolto in una luce nitidissima: l’aria qua all’estremità del Promontorio, protesa nell’Adriatico come la prua di una nave, è sempre pulita, trasparente. Il risveglio graduale alle attività si avverte dai suoni che arrivano dalla piazza, dalle strade, dai vicoletti: i primi canti di galli, le prime voci, i primi ragli; poi i primi passi umani, i primi scalpiccii di zoccoli, i primi rotolii di ruote di «traìnë» e di carretti; ogni suono nella rottura del silenzio echeggia intenso. La cadenza affrettata di passi e scalpiccii è sintomo di fretta: sono uomini, e anche donne, che vanno a lavorare nelle campagne, nelle bisacce un tozzo di pane e un cestino, che si spera di riempire di rape, di cicoria, o di quant’altro.

Via via che il sole nella direzione della Torre di Calalunga si alza dal mare - qualche volta mi sono goduta il miracolo dalla terrazza - i suoni diventano più continui e consistenti: ante di porte che si aprono sulle strade, finestre che si spalancano, sedie che si posizionano, pronte a socializzare, davanti le porte, voci che diventano vocii, saluti che si incrociano.

«Kumà Rusënè, akkàumë jamë?»
«‘Mba Karlèì, stattë bbàunë!»

Molti passano comunque la giornata in paese. Molte donne - solo donne - spendono la mattinata nelle faccende domestiche. Molte prendono a spazzare diligentemente il tratto di strada davanti la propria abitazione e raccolgono la spazzatura in attesa di Nardino; spazzano, ma non lavano: l’acqua è sacra; si lava in terra solo con l’acqua del bucato, ma solo dopo il bucato, che non si può fare, e non si fa, spesso.

* * * * *

Comincia il mercato.

«Akkuà, Bëjanġù, u mërkatë na’ ñè akkàumë a Ràumë» mi spiega Rosalba. «I krëstëjanë nan vannë o’ mërkatë, sonnë pàukë kuillë ke vannë ‘a putàikë dë kuìllë ke tènënë ‘a rrobbë. Tandë cë skunfìdënë. Kualëkedòunë po’ - i vekkjë, ke stannë spissë da sòulë, allëttàtë - nan gë ponnë propëjë jì pi stratë du pajàisë. Komùnġë cë fa akkàumë cë jè sembë fattë: sonnë kuìllë ke tenënë i kundë da vennë ke vannë da ki c’i kkattë e kuistë, ke dë solëtë në tenënë pàukë e nnendë, vonnë jessë attëràtë.»

Il più mattiniero è Francesco il Fornaio: lui compare ogni giorno alla stessa ora con il quadernino orecchiuto che gli spunta dal gilè; arrivano poi un po’ alla volta quelli che hanno qualche prodotto da vendere o servizio da proporre: l’acquaiolo, i vignaioli, i pescatori, l’arrotino, «Failùcc’u Skarpàrë», «Karlùcc’u Sanapëjàttë», «Karlèin’u Staññàrë», altri. Fanno tutti lo stesso percorso: la Via Castello, percorrendo all’andata un troncone, e al ritorno l’altro troncone. Tutti propongono la loro offerta a gola spiegata; e la voce serpeggia alta nei vicoli, e si frammischia alla voce di altri - ‘sembrano salmodie di Muezzin, che riecheggiano nella Casbah’ ricordo che Gino mi diceva. Le prime volte quello che urlavano mi sembrava del tutto incomprensibile, ma un po’ alla volta ho imparato a capire: sono stati certamente loro a insegnarmi gran parte del mio peschiciano. Tutti lungo il percorso fanno sosta nelle piazzette principali del borgo.

Giovanni l’Acquaiolo passa ogni giorno: Giovanni guida per la capezza un mulo, che è il primo di una catena di quattro o cinque muli, ciascuno caricato con quattro barilotti contenenti acqua, la capezza dell’uno legata alla coda dell’altro. Il servizio dell’acquaiolo è vitale per tante persone nel paese.
“Qua sullo sperone non ci sta una fontana, un filo d’acqua” mi ricorda zio Raffaele. “Qua più che altrove la Puglia è - come diceva già un poeta latino - assetatissima. L’acquedotto pugliese, lo aspettiamo dall’inizio del secolo; da quando sono state stanziate le prime somme rilevanti per costruirlo; da quando intorno al ’15 a Bari l’acqua del Sele è cominciata a sgorgare dalla prima fontanella, da quando intorno al ’25 è arrivata nel Tavoliere, e nel ’30 nel Salento. Ma qua, sull’ultimo lembo del Promontorio, l’acqua dell’acquedotto la aspettiamo ancora. E adesso, con la guerra! Qua sullo sperone c’è solo l’acqua piovana, quando c’è, raccolta in cisterne, tanta quanta è, cioè poca, buona quanto è. Nella valle, è vero! ci sono acque sotterranee; di pozzi ce ne sono diversi: in alcuni l’acqua è buona, fresca, e copiosa. Ma bisogna scavarli i pozzi sperando di trovarla l’acqua, e che l’acqua risulti potabile, e poi andarci, riempire barilotti e portarla a casa. E questo, non a tutti è possibile.”

«Bellë ggiù, l’àkkuë» avverte Giovanni, «je rruàtë l’àkkuë!» Ed è preso subito d’assalto da parte dei paesani.

I vignaioli passano con il carrettino che porta verdure e ortaggi, qualche volta frutta, trainato da muli volenterosi e pazienti: loro, seduti su un braccetto del carretto, la schiena appoggiata al mulo, le gambe penzoloni, le redini tra le mani, intonano le loro litanie.

«Kummà, mo jè! Jè ‘rruàtë u viññaròulë» e segue la litania dei prodotti offerti.

I pescatori pure passano con mulo e carretto, ma più raramente, e la loro offerta è generalmente limitata.

«Kummà, mo jè! U peššë friškë!»

Il calzolaio, il sanapiatti e lo stagnaro passano con un mulo con due ceste sui lati, in cui raccolgono oggetti riparati e oggetti da riparare. L’arrotino invece porta lo strumento del mestiere a dorso di mulo, e lavora sul posto. Il banditore, che si muove a piedi, non si limita a Via Castello, ma gira per gran parte delle vie del paese, fermandosi ai crocevia e annunciando quel che deve, dagli avvisi comunali a qualche offerta di vendita speciale.

“Il banditore” mi spiega zio Raffaele “è l’unico mezzo per parlare con tutti, per comunicare, per fare una qualche pubblicità: la più gran parte dei peschiciani non sa leggere. E poi i manifesti, se pure li fai, quei pochi che sanno leggere non ci badano neppure!”

* * * * *

La piazzola, sulla quale si affaccia la finestra della mia stanza e della cucina di casa Laberi, è un crogiuolo di vita! Ci abitano tre famiglie, oltre noi: zio Faustino e zia Marietta, entrambi anziani, esili come fuscelli, canuti, entrambi con qualche difficoltà motoria, con tre figlie più o meno della mia età; «zë Rokkë» e zia Rosina, anche loro anziani, canuti ma robusti, con la figlia, e la loro osteria stipata di botti enormi come quelle della cantina di casa, e di tavoli e panche in legno, che spande nell’intorno l’odore aspro del vino; Mariuccio con Loreta, la moglie, e i figli, Ciccillo e Nunziatina, e la sua edicola sistemata subito all’ingresso della sua casa! E poi ci sono quasi sempre in libera uscita gli abitanti della stalla di Mariuccio: un paio di asini, un paio di maiali, qualche coniglio, una decina di galline; e Vega e Mizar, che di tanto in tanto vengono in visita!

Cucina e bucato sono attività naturalmente femminili, rigorosamente in comune per il popolo della piazzola! I maschi più anziani, «zë Faustèinë» e «zë Rokkë», presenziano, seduti sulle sedie di stretta competenza, le gambe accavallate, i maglioni in lana a più colori, il cappello, la pipa raramente fumigante, l’atteggiamento assorto vagamente assopito: ogni tanto dicono bonariamente cose inutili!

La cucina è rito giornaliero: si inizia a cucinare di prima mattina. Ogni famiglia cucina per sé, nella propria cucina; ma la piazzola è luogo di scambio di informazioni, di consigli, di spezie, di convenevoli, talvolta di viveri, o di cibo: e l’odore dei cibi sale dalla piazzola, mescolato all’odore del vino dell’osteria di «zë Rokkë»!

Il bucato è rito settimanale del lunedì! Le donne dispongono tre o quattro tinozze, ciascuna con il proprio lavatoio di legno e un panetto di sapone, a semicerchio al fondo della piazzola; Antonio e Moro, sulle spalle quattro barilotti, portano acqua dal Renazzo; asini, maiali, conigli e galline vengono segregati nella stalla; una minima parte dell’acqua viene utilizzata per dare una pulita alla scala, esterna, che porta al secondo livello della casa di Mariuccio; gli indumenti da lavare, suddivisi in gruppi, per consistenza e per colore, vengono disposti lungo la scala; l’acqua di un paio di tini viene scaldata nel camino acceso di Mariuccio, che è quello più vicino alla piazzola; la tinozza colma di ceneraccio è in attesa sulla pedata del camino; e le ragazze prendono a lavorare di braccia sui lavatoi. E lavano, e chiacchierano, e pettegolano, e ridono, talvolta cantano: qualche volta prendendo in giro Ciccillo - «‘U vi, ‘u vi, ‘u vi, kë mo cë në vàinë, ka sëkarèttë mmokkë va facènnë u ššàimë; kuàndë jè bellë u prèimë ammàurë, u sëkondë jè kjù bellë anġàurë» - qualche altra cercando di tranquillizzare Paolo - «Oi ninna ninna ninna, ninna nanna, stu fiġġjë cë vo’ ddurmì, vo’ fà la nanna …». Il bucato termina con lo sciacquo a ora tarda.

Mentre alcune ragazze stendono i panni sulla terrazza di zio Faustino che, tra quelle assolate, è la più a portata di mano, altre utilizzano l’acqua del bucato per dare una bella strigliata alla piazzola e, se avanza, alla parte più prossima di Piazza Balilla.

* * * * *

Le ore pomeridiane dopo il pranzo e dopo il riposino sono molto più tranquille: tutti cercano per quanto possibile di non lavorare se non per faccende domestiche, molti ci riescono; le donne si riuniscono davanti le porte delle case per fare cose loro, gli uomini si riuniscono nei loro posti di ritrovo per chiacchierare. L’atmosfera di Piazza Balilla - che viviamo spesso affacciate al balcone del salotto, ravvivata dai crocchietti che si formano davanti all’osteria di «zë Rokkë», alla bottega di Bastianino il Sarto, al Consorzio Agrario, o alla vetrina di Carlino il barbiere - è vivacizzata dai suoni che si diffondono dal portale del Purgatorio: talvolta ci sono lezioni di catechismo per i bambini; talvolta Caruso all’organo si allena o istruisce cori di fedeli.

Le lezioni di catechismo le tiene Angela nello spazio alle spalle dell’altare: dispone i bambini, qualche volta solo maschietti, qualche volta solo femminucce, seduti sul corale ligneo sotto la statua della Vergine con Bambino; e là li educa, insegnando loro anche l’italiano, facendoli ripetere e ripetere in coro le preghiere, o le domande e risposte del catechismo. E dal portale della chiesa escono in coro le voci dei giovinetti: “Io credo in Dio Padre Onnipotente, Creatore e Signore del cielo e della terra … Io sono il Signore Dio tuo ... non avrai altro Dio all’infuori di me ...”. Tra un coro e l’altro si percepisce la voce di Angela. Insieme a Caruso invece ci stanno o, seduti al corale, i membri delle confraternite, la Confraternita della Morte e la Confraternita del Sacramento, o, in piedi lungo la navata, qualche donna che frequenta l’Azione Cattolica Femminile: Caruso canta lui prima sprazzi di brani, poi li intona, e partono gli altri, chi prima, chi dopo, e poi qualcuno si ferma, e qualcuno ricomincia.

«Amma tënè ‘a spëranzë ke Gesù na’ ssendë!» s’è lasciata scappare ridendo Angela.

Avvicinandosi il sole al tramonto, sul mare nella direzione della Torre di Monte Pucci, il portale del Purgatorio ormai vuoto viene serrato, i crocchietti si disperdono: tutti tornano nelle case per la cena. Il silenzio riavvolge gradatamente il paese. Qualcuno sta già cenando, quando nel crepuscolo si sentono passi, lenti, trascinati, appesantiti, misti a scalpiccii di zoccoli, a rotolii di ruote di carri e di carretti: è l’ora del ritorno per quanti hanno passato la giornata nelle campagne. Qualcuno porta con sé cicoria, o rape, o quant’altro: è il cibo per la cena.


(4.5 cont.)


NB1. Per seguire meglio la narrazione, elenchiamo di seguito i link delle puntate precedenti.

Cap.1
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5363
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5369
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5410
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5435

CAP. 2
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5487
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5523
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5559
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5628
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5656

CAP. 3
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5709
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5734
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5751


NB2. Si può facilitare la lettura dei periodi idiomatici tenendo a portata di mano la tabella dell’Alfabeto Peschiciano scaricabile da www.puntodistella.it/public/file/periodici/alfabeto_pds.doc

 Redazione

 

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