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21/07/2012

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IL DIALETTO E… OLTRE

Clicca per Ingrandire Quando Paolo Labombarda ha scritto “Venti di Grecale” ha cercato di raccontare il passato non solo suo, ma di una comunità intera, quella peschiciana. Ha tentato di farlo con la fedeltà che l’arte - notoriamente infedele e menzognera - consente, traducendo cioè in italiano battute e dialoghi da un dialetto antico, di un popolo di mare, aperto agli scambi e alle avventure di chi sa di discendere da pirati ed è abituato al saccheggio … linguistico.

Suoni slavi, etimologie greche e latine si fondono nell’impasto della musicalità peschiciana che, però, nessuna traduzione - neanche la più fedele - può restituire. In nessun dizionario, d’altra parte, fra i sinonimi di fedeltà compare la parola ‘esattezza’. Del resto tradurre è un’operazione complicata che richiede alte capacità di negoziazione fra traduttore, lettore e autore originario (in questo caso fonti orali) e consiste - osserva Umberto Eco in “Dire quasi la stessa cosa” - nell’esprimere una stessa cosa in un’altra lingua. Ovviamente non si potrà mai essere precisi nel dire ‘quasi la stessa cosa’, tra riformulazioni, passaggi da codici linguistici diversi e pretese sinonimiche.

Nasce proprio dal rischio della rinuncia all’esattezza l’idea di una grammatica peschiciana: perché accettare il compromesso del ‘quasi’ quando, usando il dialetto, si può restituire al lettore l’immediatezza dell’espressione reale? Va anche osservato, però, che normare il dialetto e ‘scientificizzarlo’ attraverso una grammatica può sembrare una sorta di ‘deminutio’ della spontaneità linguistica del peschiciano, che si accompagna peraltro a una fisicità mimico-gestuale che nessun repertorio grammaticale può ricostruire.

A ben guardare - e questo pare appunto l’intento degli autori della “Grammatica peschiciana” (Labombarda, Tedeschi, Ugolotti) - solo creando una ‘koiné’ metodologica, un sistema cioè comune e condiviso di trascrizione del peschiciano si potrà avviare un lavoro di riscoperta e valorizzazione del dialetto di Peschici e delle aree garganiche, come dimensione letteraria. Non è il caso di profondersi sulla indiscutibile difesa del valore estetico del dialetto come lingua letteraria. Anche Pasolini ha sperimentato l’intensità espressiva del friulano nelle sue “Poesie a Casarsa”.

Una grammatica peschiciana, propedeutica alla ricostruzione critica di modi di vivere pensare sentire, può essere una rivoluzione intellettuale: non fotografia del dialetto, ma possibilità di risignificare il mondo, oltre i mortificanti orizzonti esistenziali di nausee sartriane e eliotiane terre desolate. Servirsi del peschiciano per costruire una nuova letteratura che a sua volta sia utile a rifondare la società è un progetto ambizioso. Fare una letteratura che salvi passato, tradizioni, costumi e da questo mondo tragga il meglio, vuol dire riscoprire il senso della solidarietà, della vita comunitaria, della dimensione plurale, della reciprocità, della genuinità delle relazioni umane.

Restituire al dialetto la sua dignità letteraria non è quindi un’operazione solo linguistica: si tratta di un’adesione convinta a un patrimonio valoriale che, attraverso l’individuazione di una grammatica comune e delle sue applicazioni narrative, vuole proporre un’alternativa all’appiattito solipsismo delle esistenze contemporanee. Situarsi nel presente significa leggere il passato e farlo mediante ricostruzioni linguistiche è un passo importante.

Anche attraverso l’uso letterario del dialetto può passare un messaggio utile alle nuove generazioni, assuefatte ormai a quello che Galimberti chiama ‘l’ospite inquietante’, il nulla, il vuoto. Scoprire invece che esiste ‘altro’ rispetto al niente è la sfida di una riscoperta del dialetto come veicolo di valori, non solo confinabili nel passato. D’altra parte una lingua, ogni lingua che usiamo, ci definisce e ci identifica come singoli, come popoli, come storia. “Tutto può cambiare, ma non la lingua che ci portiamo dentro, anzi che ci contiene dentro di sé come un mondo più esclusivo e definitivo del ventre materno” (Italo Calvino, “Eremita a Parigi”).

Teresa D’Errico

 Redazione

 

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  Commenti dei Lettori:

-- 21/07/2012 -- 18:52:20 -- Paolo

Chapeau, Teresa! Chapeau! Patty, Rocco e io abbiamo provato a configurare una grammatica peschiciana. Tu decisamente vai 'OLTRE'.

-- 23/07/2012 -- 08:20:32 -- vincenzo

Mi pare di dedurre che Teresa abbia, alla fine, commesso un errore, abbia, come dire?, fatto un USTERON-PROSTERON. Pare che, per lei, tutto il mondo storico, sociale, letterario ecc. (di Peschici, in questo caso), debba partire da una grammatica (USTERON), che è, invece, il risultato di studi eseguiti sul reale, sulla pratica (PROSTERON). Io credo che gli egregi Autori abbiano fatto proprio questo lavoro(che, però, diventa propedeutico ad un vocabolario [che pare essere in fieri od ancora a livello di pura idea]- che, a mia sommessa opinione, doveva venire prima, subito dopo le famose "ricerche sul campo", da Paolo concretizzate nei VENTI DI GRECALE). Sono in errore? Io parto dal vocabolario, anche se infarcito, in qualche modo, di note grammaticali (come risultanze e non come punti di partenza).

-- 23/07/2012 -- 08:51:32 -- Teresa

La grammatica, ogni grammatica, è solo uno strumento di lavoro. Averla scritta è segno di un desiderio, quello di una retrospettiva non autoreferenziale.

-- 23/07/2012 -- 12:29:28 -- Paolo

Vincenzo, Teresa, il progetto “Tatëtatë”, il nostro progetto, prevede: 1. analisi degli scritti in peschiciano pubblicati (effettuata), 2. pubblicazione di ‘A Ġrammàtëka Pëskëciànë versione 1a (effettuata) (ci sembra il primo strumento indispensabile a monte di ogni altro nostro scritto in dialetto), 3. pubblicazione di Paràulë dë Pëskëcë, lemmario peschiciano – italiano – inglese (in fase di realizzazione avanzata, prevista nel 2013) (ci consentirà, insieme ad altre iniziative, di verificare gli asserti di ‘A Ġrammàtëka Pëskëciànë, apportando possibili miglioramenti), 4. pubblicazione di ‘A Ġrammàtëka Pëskëciànë versione 2a (prevista nel 2013 - 2014). Ritengo risulti arduo definire nel nostro caso una consequenzialità netta Usteron – Proteron; propenderei per una sequenza (senza fine?) Usteron - Proteron - Usteron - Proteron ……

-- 23/07/2012 -- 18:06:14 -- vincenzo

Non è che stia serpeggiando un qualche spiritello che fa ingarbugliare le lingue e ci fa fare la fine dei costruttori della Torre di Babele? Ho detto che gli Autori della Grammatica hanno fatto ricerca,poi hanno pubblicato la grammatica. Mi era parso che Teresa avesse plaudito a quest'ultima opera come necessaria (il PROSTERON, che invece dovrebbe essere l'USTERON, il dopo) per pervenire ad un vocabolario o lemmario che dir si voglia (che dovrebbe rappresentare il PROSTERON, il prima, insomma, non il dopo). Nemmeno da Paolo sono riuscito a farmi felicemente capire. Importante è che la nuova "torre" sia portata a termine...

-- 23/07/2012 -- 18:17:09 -- vincenzo

AGGIUNGO: questo argomento si sarebbe ben attagliato al 1° FORUM del 17/7, persosi nei rivoli della pura (NON VOLUTA, certo) incongruità.

 
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