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05/07/2012

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“VENTI DI GRECALE”: Alla scoperta del paese - 3° cap. (2)

Clicca per Ingrandire E cosģ č stato. Nei mesi seguenti ho cercato di vedere, di capire meglio, con l’aiuto suo talvolta in compagnia di Rosalba, il paese ancora sconosciuto che avrebbe ospitato Paolo e me per almeno una parte della nostra vita. Le prime perlustrazioni le dedichiamo alla scoperta del borgo medievale. “Cominciano dal borgo: il borgo č il cuore del paese. Lo devi conoscere bene. E poi tu ci abiti!” Zio Raffaele, mentre mi guida, mi parla. La strada principale del borgo, Via Castello, «‘a Včģjė u Kastčllė», scorre lungo la cresta dello sperone tra le due porte ad arco, attraversando il borgo medievale e Piazza Balilla, la piazza pił grande: in realtą tra Porta del Castello e Piazza Balilla, e tra Piazza Balilla e Porta del Ponte, la via si sdoppia in due tronconi, che consentono due percorsi rotatori.

La pił gran parte delle abitazioni signorili del paese si snoda lungo i fianchi della via. Da questa partono, assecondando i declivi dello sperone - lo sperone sembra la schiena di un asino e la via la spina dorsale dell’asino - decine e decine di vicoli stretti, di viuzze, talvolta tanto anguste che una persona ci passa a malapena, incastrate tra case bianche incombenti, che percorrono il paese in senso longitudinale o si tuffano digradando verso il mare, ora ripide, ora in una sequenza precipitosa di gradoni. Via Castello e gran parte dei vicoli sono lastricati di ciottoli, ovoidali, che agevolano la presa degli zoccoli degli animali e delle ruote dei carretti.

L’accesso al borgo medievale, la Porta del Ponte, ha un aspetto decisamente sussiegoso: le mura, nelle quali la porta č ricavata, sono profonde; la Torre del Ponte, una torre massiccia costituita da un corpo a tronco di cono sul quale si innesta un corpo cilindrico, situata su un lato della porta, č testimone di un passato non banale; un’iscrizione latina al sommo della porta riveste di dignitą il contesto. Non so nulla di latino. “«Zėją» - chiedo - che dice?” Ho preso a chiamare «‘zėją’», come si usa qui, tutta la grande quantitą di parenti che mi ritrovo e continuo giorno dopo giorno a scoprire. “Dice che la Porta e la Torre sono state restaurate da Francesco Pinto all’inizio del Settecento. Francesco Pinto, che era figlio di una Caracciolo, č stato principe di Peschici e Ischitella per mezzo secolo: principe mecenate. A Peschici ha fatto parecchie cose: ha restaurato anche il castello e le chiese; e ha voluto ricordarsi con qualche iscrizione latina; pił di una. All’epoca la torre era circondata da un fossato, ed era dotata di un ponte levatoio in grado di isolare la guarnigione che risiedeva al suo interno: per questo si chiamano Torre del Ponte e Porta del Ponte. La guarnigione, al servizio del Signore del castello, doveva svolgere due compiti: controllare l’accesso al paese e, essendo situata in vista della torre di Calalunga, verso Vieste, e della torre di Monte Pucci, verso Rodi, assicurare il funzionamento della catena di comunicazione creata per avvistare preventivamente incursioni piratesche, purtroppo possibili.”

* * * * *

La pianta del Castello appare, in contrasto evidente con quella intricatissima del borgo, estremamente semplice: una cinta muraria protegge l’area intorno alla casa baronale per tutto il perimetro che non strapiomba dalla rupe a picco sul mare. Nella cinta profonda si aprono due porte. “Quella lģ in alto, Porta del Castello, č in corrispondenza del borgo medioevale; quell’altra lģ in basso, la Porta di Basso, «‘a Portė Uąššė», a mezza costa, č nella direzione della Marina.” Le due porte ora restano aperte: l’area cintata č accessibile a tutti. Siamo entrati con zio Raffaele dalla Porta del Castello. Sulla sommitą della porta ancora un’iscrizione in latino. “Qui Pinto dice che ha restaurato casa sua.”

Gli antoni della porta, in legno eroso dal tempo e dalla salsedine, aperti, restano addossati alle mura. Subito dopo la porta, lo spiazzaletto mostra il balconcino sul dirupo. “Quella laggił č la casa del Barone, questa qui la balconata di Nardino. Qua č meglio non affacciarsi. Ed č meglio non respirare a pieni polmoni.” La casa baronale, la dimora storica del Signore, č pił avanti, verso sinistra, dopo un piazzaletto lastricato. Si erge proprio all’estremo lembo nord dello sperone, fiera di fronte ai venti dal nord. Intorno alla casa qualche casetta bassa e una chiesetta - sembra disegnata da un bambino - in stato di evidente abbandono.

“Č la chiesetta di San Michele Arcangelo, la cappella feudataria: «mo» tutto č diroccato - «sdrupątė», come si dice qui, una parola che dą tutto il senso della rovina! Offeso dall’incuria e dal tempo. La campana del timpano - elegante vero? - č stata rubata; anche altri oggetti della chiesetta sono stati trafugati. La casa baronale, meno male, č chiusa: cosģ non si puņ rovinare pił di tanto! In un’ala della casa č stata sistemata la caserma dei carabinieri, che č sempre aperta. E quello - vedi? - quello parcheggiato lģ in fondo č il camion dei carabinieri, l’unica automobile che sta a Peschici: č una Fiat, una 621, un modello vecchio. Al castello cosģ ci sta sempre un certo andirivieni: vengono e vanno quelli che si servono del balconcino «du skalandrąunė», e quelli diretti alla caserma.”

Il sole tramonta dietro la casa del barone sul mare. L’aria č pulita. Le sagome dei manufatti disegnano linee scure nel cielo rosseggiante. Grida gioiose di bambini, ridenti, vengono dallo spiazzale del Castello. “Giocano a ‘lippa’, a «mazz’e zippė», come la chiamano qua: lo zippo č un rametto d’albero con le due estremitą appuntite; lo colpiscono, in corrispondenza di un’estremitą con la mazza, un bastone, e lui schizza in alto, lo colpiscono di nuovo al volo sempre con il bastone e lo zippo va lontano; fanno a chi va pił lontano; qualche volta fanno danni!” Un carabiniere infatti dalla soglia della caserma grida: «Uańńł, stitėvė attčndė! K’ata rombė i lastrė!»

S’avverte vivo, presente, il mare, che pure avvolge la rupe un centinaio di metri pił in basso: non č visibile, se non laggił all’orizzonte, ma l’aria č pregna di salmastro e s’avverte continuo il mormorio della risacca che periodicamente sale, sale, produce uno schianto, scema.

* * * * *

La zona moderna del paese si sta sviluppando fuori dal borgo medievale, all’esterno della Porta del Ponte, «dopp’a Port’u Pondė», intorno al corso. Corso Garibaldi coincide con il tratto finale, quello che parte dalla Curva del Frantoio sulla strada rotabile, bianca, polverosa, che collega il paese a Rodi Garganico da una parte e a Vieste dall’altra. Le strade della zona moderna sono meno anguste delle stradine del borgo; e in molte case si nota lo sportello della cisterna, che raccoglie acqua piovana dai tetti. Le case sono sul bianco, ma le stradine... Molte sono lerce. Ma lerce, tanto lerce! Il Corso, Via Castello e il Castello, tanto quanto: ma il resto! Sembra come se il livello di civiltą degradi scendendo dalla cresta del promontorio verso il mare. “«Zėją», ma č orribile! Come possono vivere cosģ?”

“Biancł, tu ti devi convincere (te ne dovresti gią essere resa conto) che la disponibilitą di acqua nelle case č, per essere ottimisti, limitata. Come pure, nelle case, la disponibilitą di servizi igienici č limitata. E la rete fognaria č inesistente.”

“Sģ sģ, «zėją», ma ho visto pure gente, non proprio bambini, che orinano nei cantucci delle strade. E bambini che nelle strade non solo orinano! E gente che svuota pitali dalle finestre! E cavalli, asini, maiali, galline, che certamente si comportano non meglio di certa gente! E tanti, tanti, soprattutto bambini, ragazzi, che camminano a piedi nudi! Pensavo di avere gią visto il peggio ad Alberona, il paese mio: ma lģ almeno sui monti della Daunia, l’acqua alle fontane c’č, e piove; e quando piove i torrentelli che si formano lungo le stradine scoscese portano tutto verso valle e rimettono tutto a lustro. Mentre qui piove cosģ poco!”

“Sģ, piove poco qui! Qualche acquazzone in primavera e in autunno. Quando la pioggia arriva, č vero, il panorama muta completamente: anche qui i torrentelli trascinano verso il mare tutto quanto trovano lungo i pendii. E allora si riscoprono colori nuovi, e odori nuovi! Ma l’igiene, il senso dell’igiene, č a dir poco approssimativo. Nardino un paio di giorni la settimana dą una ripassata alle strade principali del paese - il Corso, Via Castello, il Castello - e agli spiazzi di fronte alle chiese. Ma le viuzze lungo i declivi, niente… o quasi! Ogni tanto qualche tratto di marciapiede o qualche piazzola appaiono tutti puliti: opera di qualche massaia o gruppo di comari particolarmente giudiziose! Ma in generale - «va vąaa!» - in generale qua e lą l’aria č pregna di odori non proprio esaltanti; soprattutto nelle giornate di scirocco, e all’alba, e al tramonto, quando mosche e zanzare si affollano per rifocillarsi! Ma vicino al forno, o al frantoio, o ai comignoli accesi, ci sono sempre effluvi di pini, di resina, di sansa di olive, di salsa, di spezie.”

* * * * *

La vita in paese si svolge prevalentemente all’aperto: le case sono spesso anguste, inospitali; strade, piazzole, cortiletti, balconi, terrazze, sono i luoghi della vita: la gente sta generalmente in comune, in gruppo; generalmente in gruppi di soli maschi o sole femmine; spesso in compagnia di animali, che fanno gruppo anche loro. All’aperto, quando non piove, si lavora, si gioca, si chiacchiera, o semplicemente si attende che il tempo passi; all’aperto lavorano il sarto, il calzolaio, le massaie che sferruzzano, ricamano, cardano la lana, preparano verdure e frutta da conservare. All’aperto si fa il bucato, si stendono i panni ad asciugare; all’aperto mamme e nonne, sedute sul limitare, cercano di arginare l’assalto dei pidocchi, snidandoli con pazienza tra i capelli dei pazienti, accoccolati ai loro piedi, con il capo reclino sulle loro ginocchia: li scovano e li uccidono, schiacciandoli tra le unghie. Maschi e femmine vivono vite parallele.

«Maskulģkkjė e fėmėnuccė ‘i sėparėnė da pėcėninnė» mi ha detto Rosalba. «I mąskulė akkumčnzėnė a jģ a skąulė e po’ kuąsė tuttė c’affčrmėnė, appąinė c’anna mbarątė a kanņššė i lettėrė, a’ sėkņndė elemendąrė, a nąuė dąicė annė vannė a fatėją; i femėnė aiłtėnė e’ mammė o a fa i suvrģzėjė o a bbadą i fratė kjł pģkkulė. E subbėtė dėvendėnė omėnė e femėnė ġrossė. E fannė dņja včitė dėversė. Parlėnė dėversė. Akkąumė sė fossėnė dė munnė dėversė.»

A Rosalba piace uscire. Teresa al contrario č relegata a casa dal suo amore per Mimģ. A Rosalba piace uscire ancora di pił da quando č venuto a Peschici Antonio Cirillo. Antonio vive a San Severo e lavora al Consorzio Agrario: cura i rapporti tra il Consorzio di San Severo e quello di Peschici. Č un signore molto distinto. Sta facendo una corte evidente, ma molto discreta, a Rosalba. E a Rosalba Antonio piace; e lei allora fa di tutto per farsi incontrare, uscendo di casa appena si presenta una scusa, e passando e ripassando davanti al Consorzio, dove Antonio sta discutendo, con Papą.

«Rosą, mo jč! Stattė kująitė!» continua a raccomandarle ogni volta Papą.

Strade, piazzole, anfratti, sono teatri di giochi di bambini, almeno dei bambini che possono permetterselo. Giocattoli non ce ne sono davvero; ma la fantasia dei bambini - si sa! - non ha limiti. Maschietti e femminucce appaiono divisi anche nei giochi. Le femminucce in genere giocano a «Mamm’e fiġġjė»: le pił grandi, che fanno la parte delle mamme, fanno la spesa, cucinano, accudiscono le pił piccole, le curano, le strillano talvolta, le pił cattivelle le picchiano. I maschietti, pił scatenati, si esibiscono con maggiore varietą. «Stannė sembė ‘n muumčndė, fujėnė e jokėnė» ride Rosalba «e jokėnė, jokėnė, jokėnė: a mazz’e zippė, kuąsė sembė o’ Kastčllė; ka ndraulątė, appąinė trovėnė n’arbėlė pė ppennėlė; a moskaciąkė, o a jattammłccė kuąnnė trovėnė nu ląukė pė jukuą; o ku strummėlė kuąnnė nė trovėnė vņunė.»

«Pi uańńņunė ke jokėnė ‘a mėserėjė nann esģstė e manġė i malatčjė. I uańńņunė sapėnė škittė ke ‘nna sta kundčndė: i ġrčidė na’ ffėniššėnė majė.» E inducono qualche tentativo, spesso non molto convinto, di reazione. «Uańńł m’ata ‘mmupņutė!» prova a dire, evidentemente distrutta, un’anziana canuta, nerovestita, accasciata sulla soglia di casa. «Uańńł, stitėvė cittė: a Mammą ‘i fa malė ‘a kapė!» incalza una signora, brandendo i ferri con cui sta sferruzzando.

Altre parti del paese appaiono immerse in un silenzio totale, irreale: di fronte alla chiesa madre, all’inizio della Via Porta di Basso, «‘a Včijė ‘a Portė Uąššė», che poi dirada gradatamente a mezza costa, parallela alla Via Castello, fino alla Porta di Basso, un gruppo di case tutte bianche, con scale ripidissime che portano a un secondo livello, č abitato solo da anziani: giovani non ve ne sono, sono emigrati, fanciulli non ve ne sono, non ne sono nati. Gli anziani passano gran parte delle loro giornate seduti su gradini impervi, la pelle rugosa riarsa, senza parlare, apparentemente muti, con lo sguardo perso, fisso innanzi a loro: gli uomini con il gilč scuro, il cappello, talvolta con la pipa generalmente spenta; le donne con la gonna scura fino ai piedi, la camicia scura, il fazzolettone scuro intorno al capo: molte pił donne che uomini, solo qualche coppia. Quando mi capita di vederli, mi tornano in mente i bassorilievi di alcune lastre sepolcrali, che Gino mi ha mostrato a Roma sull’Appia Antica.

* * * * *

Ho preso confidenza, oltre che con le strade, anche con le case del paese: ho conosciuto molte persone, ho fatto visita a molte. La casa delle gemelle Mamiani, Lisetta e Lisuccia, maestre della Scuola elementare, colpisce particolarmente: pur posizionata in un sito dimenticato da Nardino, alla Via Porta di Basso, č uno specchio, un’oasi di nitidezza assoluta: lo spiazzaletto dinanzi casa č spazzato e lavato giorno dopo giorno, le tende di porte e finestre, come le coperte, i centrini e altro, sono il risultato di abili e pazientissimi lavori di uncinetto. Il panorama che si gode, di lą come dal balcone principale del salotto, č splendido: al di sopra dei tetti digradanti pił in basso, lungo il declivio verso la Marina, sono lģ a un passo da una quantitą immensa di mare, la spiaggia intera dalla Marina fino a Monte Pucci, una gran parte della valle degli ulivi, che si protrae nella direzione di Vieste. Dall’altra parte dello spiazzaletto c’č la casa di «Marčj’a Roššė». Maria la Rossa ha la passione dei gerani: le pareti esterne bianchissime della casa di Maria sono costellate di vasi di gerani, con fiori rossi, rosa, bianchi, disseminati ad altezze varie in vasi inferiti in supporti in ferro.

Lisetta e Lisuccia sono nubili, hanno deciso di restare nubili da sempre; e hanno riversato il loro amore materno su Giulia, una ragazza di una quindicina d’anni - che ha pure i suoi genitori, presso i quali vive e studia, lontano da Peschici - di cui Lisetta e Lisuccia sono state madrine di battesimo e cresima. Giulia, appena puņ, viene da loro a casa loro, a stare con loro: č innamorata di Peschici, e vuole bene a loro. Giulia - capelli nerissimi, occhi verdissimi, sguardo sognante, sorriso vago, che ricorda quello della Gioconda - č di una bellezza intensa, morbida, calma; č seduta quasi sempre spesso sola sui gradini davanti alla porta d’ingresso delle maestre, a scrutare in direzione del mare. Mi viene fatto talvolta di ripensare ai miei sogni di fanciulla, sogni di fanciulla di paese; e allora mi torna in mente l’immagine di Giulia, con lo sguardo dei suoi occhi verdissimi sperduto in tanto mare, tra gerani che colorano un paesaggio di coppi, comignoli e muri bianchissimi.

La casa di «‘Ndonėj’u Kavąllė» pure colpisce: per l’essenzialitą sua e della padrona di casa, Santina. Ci sono andata la prima volta con Rosalba: Rosalba, che intendeva mostrare il Renazzo ad Antonio Cirillo, voleva chiedere ad Antonio di accompagnarci con il calesse. La casa č in un vicoletto ripido che si distacca dalla Via Castello: ci si arriva dopo aver attraversato un arco, sul quale č appoggiata una casa che si sviluppa trasversalmente rispetto al vicoletto. La stradina č ragionevolmente pulita. Davanti alla casa una donna sta stendendo panni, estraendoli da una tinozza di legno, su una corda tesa tra due pertiche d’olivo, con un’estremitą biforcuta come una mazzafionda, incastrati nell’angolo tra strada e parete.

«Jč Sandčinė, ‘a mėġġjąirė dė ‘Ndonėjė. »

Pił in lą un ragazzino di cinque sei anni, in piedi su uno sgabello, sta strigliando con uno straccio umido un asinello, assicurato con una corda a un anello incastrato nel muro.

«Sandčģ, akkąumė jamė?»
«Kumą Rosa’, kumą Bėjanġł, mo jč! Akkąumė jč kė stčitė akkuą?» Le diciamo il motivo della visita; il marito non č in casa: lei glielo riferirą.
«Ja, Sėńńą, traščitė, pėġġjatėvė na prėkąukė» e, mentre ci guida: «Nėkulčģ, mittė a kapčzzė o’ ciłccė!»

La porta in legno grezzo a due battenti č divisa trasversalmente, come molte altre del paese, in modo che, lasciando chiuse le due ante inferiori, puņ fungere anche da finestra; a un lato della porta sono accatastate fascine di legna; una tenda in ciniglia di cotone subito dietro la porta fa da schermo alla curiositą dei passanti e all’invadenza degli insetti. L’interno della casa č costituito di un solo vano di una quindicina di metri quadri: sulla parete opposta alla porta una finestrina minuta; il pavimento ricoperto di calce battuta. Odore misto di fumo e, leggero, di orina. Il letto matrimoniale largo, molto alto, attira subito l’attenzione. Č in gran disordine: un cuscinetto solo, minuscolo, lenzuola di canapa, ciancicate, un materasso sottile, che si intravvede, di iuta - fuoriesce qua e lą qualche filo di paglia, - lo spessore delle tavole di appoggio, due cavalletti di legno a sostegno del tutto. Sulla parete sopra il letto un’immagine della Madonna col Bambino, infilata in un chiodo, e un paio di rosari appoggiati ad altri chiodi. Sotto il letto tra i cavalletti, ceste, cestini, sacchi rigonfi. Ai piedi del letto un materassino steso in terra.

«Allą c’addņrmė ‘Ndņnėjė; jģ e i fėġġjņulė - ke so’ kuąttė - durmčģmė sąup’u lettė, ki a kkapė, ki a ppąidė.»

Sotto la finestrina una cassapanca, ricoperta da un telo, con sopra mucchietti di mandorle e fichi secchi. In un angolo della parete opposta al letto un camino piccolo, crepitante, con pedata e mensola in pietra e a lato, lungo la parete, un sedile anche lui in pietra: mensola e sedile affollati di barattoli, ampolle di vetro, scatole di cartone; sulla mensola un lume a petrolio; di fronte al camino un tavolino basso e tre o quattro sgabelli in legno grezzo. Nell’altro angolo della parete una tenda: immagino che nasconda il cantaro. Due carte moschicide pendono, nere di vittime, dal soffitto.

Santina č donna piacente sulla trentina, robusta, pienotta, occhi neri, pelle chiara levigata, seno prorompente, fianchi generosi; veste camicia marrone, gonna nera lunga, abbondante, calze marroni, pianelle abbondanti, fazzolettone marrone legato intorno al capo. Ha lo sguardo perennemente atteggiato al sorriso. I quattro figli sono tutti maschi. Ci invita a sedere sugli sgabelli di fronte al camino, ci offre i suoi «kulącė» e le sue «prėkąukė ku spirėdė»; ha fatto la prima elementare; gestisce la casa, i suoi cinque maschi eppure - «K’ą fą: amma kambą!» - aiuta a casa di «Bastiančin’u Sartė». Ci racconta molto della sua non certo facile vita quotidiana con la pił grande serenitą: semplice, diretta, fiera, si gestisce con padronanza assoluta, senza nessun atteggiamento ossequioso e nessun complesso di qualsivoglia natura; esprimendosi in modo da non provocarmi grossi disagi. La mia ancora scarsa attitudine al dialetto peschiciano non mi impedisce infatti di capire quasi tutto di quello che dice.

La casa di Don Michele sembra la tana di un orso. Č vicina alla Chiesa Madre all’inizio della Via Porta di Basso. Ci vado con Angela, che porta alcuni indumenti lavati. Don Michele non c’č. La porta in legno grezzo a due battenti č divisa trasversalmente. L’interno č costituito di un vano di una decina di metri quadri: non ci sono finestre; il pavimento č ricoperto di calce battuta; un camino esiguo si apre in una parete. L’aria č ferma: l’odore penetrante č un misto di chiuso, di sacrestia, di orina, e quant’altro. Il letto strettissimo, accostato a una parete, svolge anche la funzione di divano; una cassapanca č addossata alla parete opposta; in un angolo la solita tenda. Le pareti sono costellate di chiodi sporgenti: un chiodo sorregge un crocefisso; un altro un rosario; ad altri chiodi sono appesi un pantalone, una camicia, una tonaca, un asciugamano. Sul tavolinetto un breviario, una bottiglia, un bicchiere, un pettine. Sulla cassapanca cianfrusaglie ammonticchiate.

Angela coglie una qualche perplessitą nel mio sguardo. “Lui vuole vivere cosģ. Dice che a Peschici c’č gente che vive peggio. Ed č vero! E dice che cosģ potrebbe risparmiarsi qualche secolo di Purgatorio.”
“Ma, «Lėnł», quest’odore!”
«Eh, ‘a ddąurė! Sąup’a ddąurė, Bėjanġł, nan gė sta nendė ke ffa: Dommėkąilė ‘a tąinė fčin’a jind’a l’ossė. U sapėnė tuttė. U sendėnė tuttė, pņurė Vąiġė e Mėzzarrė. Ląurė, pņurė sė stannė mezz’addėrmņutė, appąinė sendėnė ke Dommėkąilė cė trąuė da sti kuartė, na’ rrėsistėnė, c’avvucģnėnė, movėnė ‘a kąudė, e zombėnė atturnattłrnė, arrėnzillėnė, addņrėnė i pąidė e tuttė u restė. Mammą, kuąnnė Dommėkąilė vąinė a kasa nostrė a farėcė visėtė, fa fokė e fėjąmmė pė purtarlė sąup’u balėkąunė.»

(2.5 cont.)


NB1. Per seguire meglio la narrazione, elenchiamo di seguito i link delle puntate precedenti.

Cap.1
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5363
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5369
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5410
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5435

CAP. 2
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5487
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5523
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5559
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5628
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5656

CAP. 3
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5709


NB2. Si puņ facilitare la lettura dei periodi idiomatici tenendo a portata di mano la tabella dell’Alfabeto Peschiciano scaricabile da www.puntodistella.it/public/file/periodici/alfabeto_pds.doc

 Redazione

 

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  Commenti dei Lettori:

-- 08/07/2012 -- 11:29:56 -- vincenzo

... e mi son gustato anche questo paragrafo del 3° Cap!

 
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