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28/06/2012

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“VENTI DI GRECALE”: Il 21 aprile 1941 a Peschici. Gino prigioniero - 3° cap. (1)

Clicca per Ingrandire «Gėggčinė jč vvčivė! Gėggčinė jč salvė!» - andava ripetendo ieri Papą a tutti quelli che trovava a portata di voce. - «Gėggčinė cė jč salėvątė!» E sventolava commosso, con i lucciconi agli occhi, il telegramma del Ministero della Guerra che ci informava che Gino era stato preso prigioniero dagli inglesi a Bardia. «Papą tornė! Papą tornė!» ridiceva eccitato a Paolo, issandolo in alto tra le braccia; e Paolo gli faceva eco, ridendo con le gote rosse.

Oggi a Peschici č festa. Papą ha voluto che tutto il paese festeggiasse lo scampato pericolo di Gino: e ha fatto sapere che avrebbe distribuito a tutte le famiglie del paese una misura («‘a mėsurė»: unitą di capacitą locale, corrispondente a circa 2 litri e mezzo; NdA) di farina, pił un’altra misura per ogni figlio che tengono. L’ha detto lui a quelli che gli sono capitati intorno; l’ha detto Don Michele dall’altare alla messa delle 10; la gente l’ha ripetuto; lo hanno saputo tutti. Papą Paolo, stamani, era raggiante: «Mo je! Joggė so’ kundčndė. Joggė voġġjė ke tanda krėstėjanė anna jessė kundčndė. Mo t’ą vėdč kuąnda krėstėjanė c’anna mėnģ a truą pė sapč dė Gėggčinė.»

* * * * *

La guerra e i suoi eventi sono al centro dell’attenzione del paese. All’inizio della guerra eravamo tutti convinti che sarebbe durata pochi mesi; l’armistizio con la Francia, subito dopo il mio arrivo a Peschici, aveva rafforzato la convinzione nella vittoria imminente e nella fine prossima del conflitto. Poi le notizie, che man mano si sono succedute alla radio, sui giornali, attraverso i carabinieri, hanno lasciato sempre pił intravedere dietro l’ottimismo di facciata una realtą ben cruda. E l’umore di tutti č mutato con l’umore delle notizie. I comunicati radio sono attesi e commentati nei crocchietti, al giornalaio, al bar, dal barbiere, in farmacia, davanti alla caserma dei carabinieri, nei giardinetti di fronte al municipio, nelle piazzole, in parrocchia. I pochi giornali - la Gazzetta del Mezzogiorno, la Domenica del Corriere - che di tanto in tanto arrivano, passano di mano in mano, tra i pochi che sono in grado di leggerli, per giorni e giorni; i comunicati del Ministero della Guerra, affissi alla bacheca esterna alla caserma, trovano sempre un crocchietto di curiosi e ansiosi in attesa, e sono oggetto di processioni continue. Anche i messaggi personali vengono in qualche maniera a conoscenza di tutti: sia che siano lettere dal fronte di figli, mariti, fidanzati e altro - arrivano dopo mesi! - sia telegrammi del Ministero della Guerra - arrivano suscitando grandi trepidazioni. Le une e gli altri recapitati dal brigadiere Lovoglio in persona.

Papą, sapendo bene delle mie ansie, ha cercato di tenermi costantemente al corrente soprattutto su quanto toccava maggiormente la sensibilitą mia e dei paesani. La morte di Balbo in Africa, resa pubblica a luglio contemporaneamente alla nomina di Graziani al suo posto, ha suscitato grande commozione, specie tra alcuni anziani, ex commilitoni della Grande Guerra. Dopo, per qualche tempo, č sembrato che tutto si fermasse, che nulla di rilevante accadesse. E qualche perplessitą č cominciata a insinuarsi anche tra gli assertori della guerra lampo pił convinti. Le trombe degli entusiasmi e delle speranze hanno ripreso fiato a settembre: in Africa Settentrionale le truppe italiane sferravano la tanto attesa offensiva, arrivando a conquistare Sidi-el-Barrani, oltre il confine della Cirenaica, in territorio egiziano; mentre a Berlino l’Italia stringeva con la Germania e il Giappone il tante volte conclamato Patto Tripartito.

Gli entusiasmi perņ si sono sopiti rapidamente e preoccupazione, ansia, timore sono diventati sentimenti prevalenti. Gią l’attacco sferrato contro la Grecia - “lģ davanti, subito dietro l’orizzonte, dall’altra parte del mare” - era stato accolto con malumore e malcelato pessimismo dai pił. Lo scorno subģto poi dalla flotta italiana, attaccata a sorpresa dall’aviazione inglese nel porto di Taranto - “a due passi” - aveva creato uno sgomento tangibile e le prime notizie trapelate sui successi di una controffensiva inglese in Africa avevano accentuato lo stato di sconforto collettivo.

«Mo anna pņurė missė a nn’avėtė o’ postė dė Badņlėjė!» - aveva osservato Papą. - «Cė vąidė ke kuąlėkė kąusė jč jņutė stortė.»

Dall’inizio di quest’anno poi si č avuta una sequela di informazioni tutt’altro che incoraggianti. Si č saputo dapprima della ritirata delle nostre truppe dai capisaldi predisposti in territorio egiziano, della perdita di Sidi-el-Barrani e della resa nelle mani degli inglesi di contingenti ragguardevoli. Successivamente, dell’imperversare della controffensiva inglese in Cirenaica - «e mo jč zumbątė pņurė Ġrazėjąnė» aveva mugugnato Papą. – Infine, della disfatta della decima armata in Cirenaica, con l’avanzata degli inglesi fino al confine della Tripolitania, ben oltre Bardia, oltre Bengasi.

* * * * *

Con la guerra, anche se lontana, sull’altra sponda dell’Adriatico e in Africa, il livello di vita della gente a Peschici, gią basso in tempi di pace, non č certo migliorato.

«Akkuą i krėstėjanė» commenta Papą «penzėnė škittė a nnu fattė: akkąumė cė po kambą.» - “Come ad Alberona” penso tra me e me, “come in migliaia di paesini in Italia”. - «E, appąinė kualėkedņunė sta nu morsė meġġjė, ke i solėtė ‘i tąinė e sapė akkąumė kambą, a kuģllė, o’ rėkkąunė, tuttė cė kalėnė.»

“Primum supervivere”, ricorda spesso zio Raffaele, il parente erudito. “Deinde philosophari”: lo sosteneva gią duemila anni fa uno, che pensare lo faceva di mestiere” (Seneca, il filosofo latino del I secolo dopo Cristo; NdA). E traduce: “Innanzi tutto sopravvivere, poi magari si riesce pure a pensare”.

La sopravvivenza nel paese č dovuta ai lavori duri dei campi e della marina, e alle attivitą del Consorzio Agrario, rifornito anche dai viaggi dei pescherecci di Papą a Manfredonia, e da qualche rifornimento che arriva tramite la Ferrovia Garganica. Della guerra si avvertono echi lontani, provenienti come da altri mondi: la vita continua come prima, la scuola elementare continua a funzionare come prima, Don Pasqualino - il podestą - continua a diffondere i discorsi di Mussolini con l’altoparlante a batteria alla gente adunata nella piazza del Municipio - l’apparecchio radio sembra un oggetto sconosciuto - e ad alimentare l’amor di patria dei giovani peschiciani, che ha coinvolto nella Gioventł Italiana del Littorio.

«L’ą dėvčisė» mi spiega Papą «akkąumė ą ditt’ u Ġran Kunzģlėjė, i maskulė pi maskulė e i femėnė pi femėnė a sėkonda d’a jėtą. I pėcėcėninnė cė kjamėnė i ‘Fiġġjė d’a lņupė’, i uańńņunė fčin’a kuattņrdėcė annė cė kjamėnė ‘Balillė’, kuģllė anġąura kkjł ġrossė cė kjamėnė ‘Avanġuardģstė’. I pąukė uańńņunė femėnė sonnė a partė e cė kjamėnė ‘Giuvėnė ‘Talėjąnė’. ‘I rėkkoġġjė jind’a skąulė ‘lemendąrė, ‘i kkondė kuąlėke fattė ġrossė du faššismė, ‘i fa kandą ‘Giovinčzzė’ e ‘Faccčtta Nąirė’. E’ mąskulė, e sąulė a ląurė, ‘i fa fą nu morsė dė gėnnastėkė, e rrėjalė a tuttė kuąndė na bella fellė dė panė. Po’ kuąnnė kapėtė, mbarkė i mąskulė sąup’a pustąlė, ‘a korriąirė, e ‘i portė, vėstņutė da marėnarčttė, a kuąlėke parątė a Rąudė o a Vvestė, akkušģ cė sendėnė kjł vunņutė ki giłvėnė kamerątė di pajčisė avvucčinė e ponnė sėndģ i traskursė ‘nobili, eloquenti, alati’.»

Don Pasqualino continua a essere di aiuto, esempio e sprone alla gente, come ha sempre fatto. Come quando cerca di spiegare a tutti il funzionamento della carta annonaria e convincerli che, per la farina e per il pane, č proprio necessario utilizzarla. Qualcosa comunque riporta alla realtą della guerra: una trentina di giovani di famiglie del paese sono al fronte - tra di essi Gino e Peppinillo, il figlio maggiore «du spėzėjąlė». - Una guarnigione dell’esercito si č insediata, in concomitanza con l’invasione della Grecia, nella Torre di Calalunga. I ragazzi della guarnigione, un sottotenente veneto biondino e cinque o sei soldati, tutti calabresi o campani, si fanno vedere ogni tanto all’osteria di «zė Rokkė».

«So’ bonė uańńņunė» osserva Papą. «Cė kėmbortėnė tuttė da krėstėjanė fatt’a krėstėjanė, dėsturbė na’ nė dannė. ‘I po skappą na kandątė, sė c’anna bivėtė nu bukkąirė dė kkjł. Ma po’ kuąnnė passėnė nnanz’u Prėjatņrėjė, cė fannė u seńń’a krąucė e kuakedņunė dčicė pņurė n’uraziąunė. E ‘a dumčnėkė spissė venėnė pņurė a messė. E po’ ki pruvvģstė dė rrobbė da mańńą ke tenėnė, nan gė skordėnė di puverčttė, akkąumė facčimė nņujė o’ kėnzņrzėjė.»

I militari hanno socializzato con la gente.

«Zė Rokkė dčicė ke parlėnė spissė du pająisė ląurė» racconta Papą, «di famģġġjė ląurė allundąnė. D’a učrrė nan parlėnė pėnnčndė, ‘kąumė sė nan fossė nu fattė ląurė, dicėnė ke stannė allą, sąup’a kostė, p’avvėstamčndė, dicėne ke l’ordėnė venėnė do’ kumąndė ke ą missė i tendė a’ Forčsta Umbrė, avvucčin’a Vvčikė. Vannė spissė sąupė a Vvčikė e kuąlėkė volėtė kuģllė dė llą venėnė pņurė akkuą, a’ kasčrmė i karbunąirė, a parlą ku brėjatąirė.»

I paesani si sono abituati a vederli: le madri del paese li guardano con tenerezza, le fanciulle spesso con tenerezza ancora maggiore. Guardano soprattutto l’ufficiale biondino, che si chiama Marģn - ma loro lo chiamano Biondģn. - E qualcuno talvolta lava la loro biancheria.

Dopo le prime battaglie vere cominciano ad arrivare notizie di italiani caduti - tanti! - dispersi - tantissimi! - prigionieri - un’enormitą! pił di centomila! - E si conoscono nomi di caduti, di prigionieri, di dispersi. E si viene a conoscenza di caduti del paese: tre giovani, due figli di contadini, un terzo che stava studiando da avvocato. Don Michele per ciascuno dei caduti celebra una Messa funebre: ogni volta č tanta la gente che partecipa, vengono anche soldati della guarnigione. E la guerra, pure lontana, sembra avvicinarsi fino alle porte di casa e il paese prende a viverla intensamente con continuitą. Soprattutto i tanti che vivono, come noi, oltre la guerra di tutti, una storia tutta propria; soprattutto le famiglie che hanno loro cari al fronte. Noi in famiglia abbiamo continuo il pensiero di Gino lontano.

* * * * *

Siamo stati tanto preoccupati per Gino. Tutti! La prima lettera sua arriva a fine agosto da Bardia; lettera scritta a fine giugno di un Gino entusiasta, ottimista. Racconta di essere stato assegnato alla piazzaforte di Bardia, uno dei capisaldi della scacchiera italiana in Cirenaica, a due passi dal confine con l’Egitto e dice - oltre che d’amore, di nostalgia, e ancora d’amore - della decima armata dislocata in Africa Settentrionale, della piazzaforte, dei commilitoni, della simpatia dirompente del generale Bergonzoli, ‘barba elettrica’, che la comanda, del carisma di Italo Balbo, che fa il governatore in Libia, dell’entusiasmo delle truppe, della fiducia diffusa di travolgere gli inglesi e arrivare ad Alessandria entro l’autunno. Quando la lettera arriva, si sa gią a Peschici della morte – ‘eroica?’ si discuteva - di Balbo a Tobruk.

«Ke u Sėńńąurė ‘i pozzė abbėnėdčicė!» ho sentito mormorare, scuotendo il capo, Papą, dopo aver scorso la lettera. «Jissė parė ke sta bunarčllė, ke tąinė spėranzė. Ma va a kapģššė ‘a drettė, kualė jé ‘u ggiłstė: sekuramčndė leggėnė e kėndrollėnė tuttė prčimė dė fą partė na nutizjė do’ frondė. ‘A cenzņurė sta a tuttė i pizzė, affėjłrėtė sąup’i fattė du frondė!»

Altre due lettere di Gino arrivano, a poca distanza una dall’altra, a fine settembre inizio ottobre: in esse lui appare sereno, tranquillo. Sembrano lettere di un giovane ufficiale in servizio di leva, non di un tenente al fronte a migliaia di chilometri dalla famiglia. La quarta lettera, arrivata un mesetto dopo, č grondante di entusiasmo per i successi riportati dalle nostre truppe in Egitto. Lui si dice ormai certo: arriveranno ad Alessandria in un battibaleno e torneranno a casa ben presto. Dopo, pił niente, per mesi e mesi: un lungo, lunghissimo, sconfortante silenzio. Anche se io continuo a scrivergli spessissimo. La mancanza di notizie dirette - l’ultima lettera di Gino č scritta a fine settembre! - provoca angosce sempre crescenti, a me e alla famiglia. Papą č divenuto pił tenero che mai con Paolo: gioca pił spesso con lui, lo accarezza, gli parla.

«Stattė tranġuģllė» gli dice. «Papą mo ą mėnģ. Tu stattė tranġuillė akkuą, kuestė jč ‘a kasė dė Papą. Diccėlė pņurė ’a Mammą ke stessė tranġuģillė pņurė jčssė: jč ‘a kasė dė Papą, andņ tuttė aspettąmė a Papą. E kuąnnė vąinė, tuttė kuandė amma fa na festa ġrossė o’ Rėnazzė. Stattė tranġuillė, korė dė Nonnņ!»

E sorride, con gli occhi umidi di lacrime. Io per conto mio ho cominciato a sentirmi sperduta. Ho rinunciato ben presto alla speranza di riavere Gino con me nel volgere di pochi mesi. Temo talvolta il peggio. E non č stato difficile per Papą convincermi che non vi era posto, dove Paolo e io avremmo potuto attendere il ritorno di Gino, pił sicuro e pił confortevole di Peschici. Poi ieri il telegramma. Papą non me lo ha detto ieri che il Brigadiere aveva un telegramma per me. Lo ha aperto - Dio sa con quale stato d’animo: un telegramma del Ministero della Guerra puņ essere foriero di notizie terribili! - Se lo č letto da solo.
Lo ha letto e ha emesso un grido di gioia. «Jč vvčivė! Jč salėvė! Gėggčinė cė jč salėvątė!» Č corso davanti al Sacro Cuore, ha piegato per quanto poteva un ginocchio e si č messo a singhiozzare come un bambino.

* * * * *

Adesso so di certo che dovrņ attendere a Peschici il ritorno di Gino dalla prigionia. Ma Gesł mi dice che comunque prima o poi tornerą. Mi spiace tanto che Gino non possa vivere la prima infanzia di Paolo e temo tanto che Paolo, iniziando a fare paragoni con altri bambini, possa avvertire la mancanza del Papą. Io sto cercando e cercherņ di dargli tanto, tanto affetto, ma lui č primo figlio e temo di non avere esperienza a sufficienza. «Mammą» Mariuccia perņ ne ha tanta. E poi Biasino Fisichella, il medico condotto, č amico di famiglia e abita qui davanti.

“I bambini piccoli sono tutti esseri unici - mi ha istruito Biasino. - Nei primi due anni di vita acquisiscono capacitą nuove con rapiditą sorprendente: ogni giorno imparano cose nuove e mostrano comportamenti nuovi. Tu, «Biancł», devi imparare a capire il comportamento di Paolo, sapendo che ogni bambino, come ogni uomo, avverte per istinto desiderio di indipendenza, e ansia nei distacchi, e gelosia.”

Al nostro arrivo a Peschici, Paolo, che mantenevo fasciato giorno e notte, era appena in grado di interagire con l’ambiente: si guardava le manine, cercava di afferrare cose, cominciava ad agguantare oggetti leggeri con movimenti ampi delle braccia e delle mani. Ho vissuto con grandi emozioni e con gioia ogni sua conquista successiva. Non appena ho preso a lasciarlo libero dalle fasce durante il giorno, lui č stato gradatamente in grado di stare eretto da solo, quando in braccio a qualcuno o sul seggiolone. Ha imparato a cambiare posizione da solo, ha preso a fare prove di balbettii, ha acquisito la capacitą di stare seduto, e quella di mantenere la posizione eretta in presenza di un sostegno, e quella di stringere oggetti tra indice e pollice. Si č riempito di capelli, ha sviluppato i primi incisivi da latte, ha iniziato a prendere gusto a partecipare, ad avvertire la differenza tra le intonazioni - all’intonazione del ‘no’ atteggia il musetto al pianto, - a dare significato alle prime parole, come ‘Mamma’, ‘Papą’, ‘Nonnņ’; a correre carponi o strisciare con grande mobilitą.

Ho avvertito fin dai primi mesi il fascino speciale che la mia figura, la figura materna, esercita su di lui: la mia voce, le mie carezze, i miei abbracci, il contatto col mio corpo, quando gli faccio il bagnetto, quando lo vesto, o lo svesto, quando lo allatto. Cercherņ di allattarlo il pił a lungo possibile, fin quando il seno me lo consentirą. “Il latte materno č il migliore dei nutrimenti per i bambini” mi ricorda Biasino. E a lui, a Paolo, il mio latte piace. Si avventa sul mio seno con una sorta di furore, e lo palpa, e lo sugge. E quando sono spuntati i primi dentini, non si č certo placato!

Quando ho avuto per qualche tempo la mastite, e Biasino mi ha consigliato di non allattarlo, mi sono sentita davvero in difetto. Come mi sento in difetto, come se ne avessi colpa, quando, dicendo qualcuno la parola ‘Papą’, Paolo allarga le braccine come a dire “non c’č”, e guarda la fotografia di Gino a lato del letto. Paolo č amato e coccolato da tutti. E lui sa farsi voler bene: ride spesso con gusto. La notte č tranquillo. Papą Paolo č innamorato perso del nipotino. Corre spesso a vederlo, a toccarlo anche in ore di lavoro, gli piace tanto stare lģ quando viene vestito o fa il bagnetto. Ogni momento č buono, perché lui affondi il suo volto sulla pancia di Paolo, scuotendolo a sinistra e a destra, e dicendo pił volte «u fėġġjņłlė dė Nonnņ!» provocando grosse risate di Paolo, che gli passa le manine tra i capelli. E ogni volta che torna a casa, va subito a cercare Paolo, lo prende tra le braccia, e lo solleva in alto, verso il cielo, e poi lo abbassa in modo da poter affondare il volto sulla pancia di Paolo. E lui dice «u fėġġjņłlė dė Nonnņ!» e Paolo scoppia a ridere.

Oggi Paolo ha poco pił di un anno: č in buona salute, č carino - assomiglia a me! Ha preso da me anche la testa, che non č proprio una testina, - č simpatico, č amato. Penso di poter dire che non sta facendo la vita di un orfanello.

* * * * *

Avevo intuito, gią prima dell’arrivo del telegramma che ci ha comunicato la prigionia di Gino, che la mia permanenza a Peschici sarebbe durata ben pił del previsto. E avevo preso a cercare di conoscere meglio il paese. Cosģ ho conosciuto tanta gente e sono nati nuovi legami. Don Raffaele Mirtilla, zio Raffaele, č stato la mia guida principale nel cercare di entrare nello spirito del paese: sempre vestito appuntino, gli occhi intelligenti, mobili, dietro occhiali spessissimi, una sigaretta sempre tra le labbra, č stato cicerone, storico - erudito com’č, - con l’animo sempre di poeta. Zio Raffaele č uno dei tanti peschiciani emigrati, ma non č andato lontano: vive a Napoli, dove insegna storia e filosofia nelle scuole superiori. Č innamoratissimo di Peschici: passa a Peschici tutte le sue vacanze e ci viene durante l’anno scolastico un paio di volte al mese, fermandosi ogni volta due o tre giorni. Č lo storico del paese e gli piace parlare delle storie del Paese. Appena a Peschici capita qualche nuovo arrivo, che mostri un barlume di interesse o di sensibilitą, lui cerca di catturarlo e coinvolgerlo nella sua passione sul passato.

Mi ha catturato una domenica di luglio dopo il pranzo a casa Laberi. Avevamo pranzato insieme con lui e con la moglie, zia Adelina. Papą la domenica invita spesso ospiti a pranzo. Li accoglie, alla fine della messa delle 10 al Purgatorio, all’osteria di «zė Rokkė» che si trova sotto casa proprio all’inizio della piazzola. Si siedono e scambiano i primi convenevoli, in compagnia di un bicchiere del vino di «zė Rokkė» e dei tarallucci, «i kulącė», preparati da zia Rosina, la moglie. Finché «Mammą» si affaccia alla finestra della cucina, che sta sopra l’osteria, e annuncia: «Pavėlł, jč pprondė! Ja, mėnčitė!» e Papą fa strada agli ospiti verso casa.

Quella domenica, dopo la frutta, zio Raffaele comincia la sua iniziazione: tira fuori dalla tasca interna della giacca una matita, poi da una tasca laterale un quadernino tutto orecchie, ne strappa un foglio e, aiutandosi con degli schizzi, comincia a istruirmi. “Biancł, Peschici, tu l’hai visto, č un paese tutto bianco, incistato su uno sperone di roccia tutto bianco, che termina a picco sul mare, su uno strapiombo di un centinaio di metri, lo ‘scalandrone’. Su quello sperone Peschici č cresciuta a poco a poco in tre periodi successivi che si distinguono molto bene: l’insediamento pił antico, il Castello, precedente all’anno 1000, sta grosso modo qua” e fa segni con la matita, “a picco sullo scalandrone, «u skalandrąunė». Il borgo medievale, che va dalla Porta del Castello, «do Kastčllė», alla Porta del Ponte, «a’ Port’u Pondė», che sta qua. La zona moderna, che sta tutta fuori dalla Porta del Ponte. E poi, Biancł” e continua ad arricchire il suo schizzo, per aiutarmi a capire, “ci stanno tre posti che pure se stanno fuori, ma poco fuori, del paese, la gente li sente come se facessero parte integrante del paese: la Marina, «‘a Marčinė», dove alcuni vanno a lavorare, lo Spassiaturo, «u Spassiatņurė», dove molti vanno a fare una passeggiata, e il Cimitero, «u Kambėsąndė», dove tutti prima o poi vanno a riposare. Allo Spassiaturo si va per una stradina, bianca, polverosa, che č il prolungamento del corso a quest’altezza; al Cimitero porta quest’altra stradina pure bianca e polverosa; alla Marina si va da tante direzioni, per stradine ripide, o ripidissime. Questi posti, se ti farą piacere, un po’ alla volta te li mostrerņ. Tutti!”

(1.5 cont.)


NB1. Per seguire meglio la narrazione, elenchiamo di seguito i link delle puntate precedenti.

Cap.1
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5363
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5369
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5410
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5435

CAP. 2
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5487
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5523
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5559
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5628
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5656


NB2. E' possibile facilitare la lettura dei periodi idiomatici tenendo a portata di mano la tabella dell’Alfabeto Peschiciano scaricabile da www.puntodistella.it/public/file/periodici/alfabeto_pds.doc

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  Commenti dei Lettori:

-- 29/06/2012 -- 21:30:48 -- vincenzo

Un rinfrescamento della storia, incastonata in una realtą locale garganica, toccata, per aver perduto molti figli in guerra, anche se rimasta non toccata da bombe ed aggressioni dirette. Molti centri garganici hanno "ospitato" tante famiglie "sfollate" e pił direttamente interessate dalla guerra (un particolare esempio: Foggia, rasa quasi al suolo dai ripetuti attacchi americani!).

 
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