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12/06/2012

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“VENTI DI GRECALE”: Le ritualitą di una famiglia - 2° cap. (5)

Clicca per Ingrandire La notte tra il venerdģ e il sabato a casa Laberi č una notte particolare: č «‘a nuttątė u panė», si fa il pane. Fare il pane per le famiglie peschiciane č un vero e proprio rito che si ripete in genere settimanalmente. Ma non tutte le famiglie possono permetterselo: avere la possibilitą di fare il pane a casa č un termometro delle condizioni economiche di una famiglia. E la gente ci tiene a far vedere che il pane lo fa a casa. «Frangģsk'u Furnąrė» a Peschici č un'istituzione, il suo forno č un'istituzione. Il forno lavora tutti i giorni della settimana meno la domenica e per fare il pane bisogna prenotare. Francesco tiene un quaderno a quadretti, tutto sgualcito, bianco di farina e nero di fumo, e su quello segna - senza scrivere, perché non sa scrivere - con simboli che solo lui sa interpretare, a matita, quelli che si sono prenotati per ogni giorno. «Mammą» ha prenotato per tutti i venerdģ notte dell'anno.

I lavori per il pane iniziano il giorno prima «dė ‘nfurną»: a casa Laberi il venerdģ. Angela mi ha mostrato i vari strumenti: «‘a kaššabbąnġė pu panė, ‘a fazzatąurė, u sėtillė, ‘a kuppąirė du krėššėndė». Nel pomeriggio alla fine del rosario Angela e Pola dispongono davanti al focolare «u skannė» e su di esso «‘a fazzatąurė»; riscaldano una pentola d’acqua e sciolgono con acqua tiepida e farina «u krėššėndė» rimasto «jind’a fazzatąurė» dopo la panificazione della settimana precedente; poi «cernėnė» la farina contenuta nei sacchi per predisporre nella madia farina pronta per l'impasto: Angela prende «u sėtillė», lo tiene tra le mani orizzontale «sąup’a fazzatąurė» e mentre Pola versa la farina dai sacchi nel setaccio lo agita ripetutamente, mantenendolo orizzontale. Č necessario setacciarla la farina, data la qualitą del prodotto che forniscono i mulini. Solo dopo aver setacciato la farina si inizia a cenare intorno al tavolo di ciliegio, spostato per lasciare spazio alla madia di fronte al focolare.

Terminata la cena, Angela prepara tre o quattro «brokkė d’ąkkua salątė» sciogliendo sale nell’acqua riscaldata e le dispone «sąup’u kandąunė ’a cėmėnąirė», insieme «ka kuppąirė du krėššėndė tutta undė», e tira fuori dal sottoscala l'asse di legno che servirą per portare le pagnotte al forno.

«L’ąkkua salatė dčicė Papą l’amma fa ‘kkušģ pėkkč no’ vvo ke u Brėjatąirė ą tėnč da dčicė: akkuą jind’a marė d’akkua salątė cė nė sta kuąnda nė vu e je ġratģssė! E tanda pėskėcianė c’ą vannė a piġġjė abbąšš’a Marčinė, cė nė frekėnė dė kuģllė ke dčicė tuttė i jurnė u jettauąnnė – sembė pė kundė du Brėjatąirė – ke fa ’mmendė a tuttė kuąndė ke u salė tė l’ą jģ a kkattą o’ tabakkčinė.»

Poi si va a dormire. Si cerca di andare a dormire il pił presto possibile, per essere pronte per la nottata del pane. Si dorme solo qualche ora. Verso le due una percussione forte, decisa, del batacchio scuote il portone, poi un'altra, e un'altra ancora; finché «Mammą», che si sveglia subito, non accende la lampada, si getta sulle spalle lo scialle, tutto lavorato all'uncinetto, si avvicina all'androne delle scale e senza aprire il portone recita: «Ki sģ? Ke vu?»

«Kummą Marėjł, ą tėmbrą» urla la voce di Francesco. «Ja, spiccėtė! A’ fa u panė a pprėimė!»
«Ščinė, ščinė, ke mo cė sčimė rėspėġġjątė» lo rassicura «Mammą».

Francesco ogni notte, dopo aver consultato il suo quaderno a quadretti - dicono che lo fa per darsi importanza, perché tanto l'elenco lo conosce a memoria - fa il giro delle case di quelli prenotati per paura che non si sveglino. «Mammą» sveglia subito Angela, Pola e adesso anche me - le ho chiesto di svegliarmi: il pane lo so fare, l'ho fatto tante volte, ad Alberona. Tutte e quattro, dopo esserci legate sul capo un fazzoletto bianco, facciamo il segno della croce e, recitando in coro dieci ‘Padre Nostro’ - «‘a prejąirė andņ cė dčicė ‘dacci oggi il nostro pane quotidiano’» ricorda Angela - iniziamo il lavoro. Scaldiamo l'acqua salata, sciogliamo il lievito, recuperiamo la ‘madre’, iniziamo l'impasto di lievito e madre con la farina: l'impasto č lavoro faticoso, dura una due ore, richiede sforzo di mani, spesso di gomiti; alla fine modelliamo le pagnotte, su ciascuna pagnotta incidiamo, con l'impugnatura di un cucchiaio, le lettere ‘P’ ed ‘L’ - le iniziali di Paolo Laberi, come sul portone - le disponiamo affiancate sulle assi di legno, le ricopriamo di canovacci e le lasciamo a lievitare al calduccio di fronte al focolare.

Mentre le pagnotte lievitano, noi ritorniamo ai lavori usuali di ogni giorno, preparatori della sveglia di Papą. Verso le sette si risente Francesco: «Kummą Marėjł, i pančttė!» Č il segnale: il forno č pronto. Č il momento di Antonia. Solleviamo un'asse e la issiamo con le pagnotte, disponendola orizzontalmente sul capo di Antonia. Antonia porta al forno le pagnotte, un'asse dopo l'altra, mantenendole sul capo in equilibrio perfetto. Poi le va a prendere verso le 11 e loro, le pagnotte, tornano a casa fragranti portando con sé un senso di serenitą; vengono riposte nella cassapanca-madia del quarto livello, dove si conservano, ottime, per pił di una settimana. Intanto, a casa, noi prepariamo la pasta: «Mammą» per questo ha riservato parte dell'impasto. Angela mi ha gią istruito per benino: «Bėjanġł, mo facčimė i makkarņunė pė mezzėjłrnė, e i strašėnątė pė krąjė: u tavėląirė e u lajėnatņurė stannė allą.»

Iniziamo a spianare l'impasto sul tavolo della cucina: parte dell'impasto č destinato ai maccheroni, parte alle orecchiette. Angela č maestra nella preparazione dei maccheroni: tira e ripiega l'impasto tantissime volte finché diventa lungo e sottile, poi incide l'impasto con un coltello, ottenendo forme filiformi perfette. «Mammą» č insuperabile nella preparazione delle orecchiette: dapprima suddivide l'impasto in pezzettini delle dimensioni di un polpastrello, poi ottiene le orecchiette, una dopo l'altra, rivoltando ciascun pezzettino con il polpastrello del pollice con una velocitą impressionante. Nel frattempo su un fornello della fornacetta il ragł ha cominciato lentamente a gorgogliare e si prepara all'incontro coi maccheroni; il formaggio pecorino dal canto suo attende tranquillo di essere chiamato all'appello.

* * * * *

La mattina della domenica prima della Messa, come questa mattina, č dedicata all’igiene personale: tutti a casa fanno il bagno in una tinozza colma d'acqua. Il bagno settimanale č uno dei riti di casa. L'acqua - si sa! -č preziosa: va usata solo se necessario e soprattutto non va sprecata. Si preparano per il bagno due tinozze di legno rinforzate da fasciame metallico: una nello stanzone per il bagno dei maschi, l'altra nella stanza di «Nonnņ» per il bagno delle femmine. Antonio e Moro vanno a prendere l’acqua al pozzo del Renazzo, Antonia la versa nelle due tinozze e dispone, accanto a ciascuna di esse, una sedia su cui vengono appoggiati un pane di sapone e un paio di asciugamani, e un tappetino di iuta in terra. Maschi e femmine fanno il bagno, uno alla volta, in ordine prestabilito, deciso da «Mammą». Stamattina - la presenza di Paolo e mia hanno costretto «Mammą» a rivedere le sequenze - nella tinozza dei maschi sono entrati, uno dopo l'altro, Paolo il bambino, Papą il capofamiglia, «Nonnņ» l'anziano. Nella tinozza delle femmine, una dopo l'altra, Pola incinta, io l'ospite, Rosalba e Teresa le ragazze in ordine di etą, «Mammą» e Angela le amministratrici della casa. L'acqua nelle tinozze resta sempre la stessa. Paolo, l'unico che fa il bagno anche in altri giorni della settimana, fa il bagno nudo; i maschi entrano nella tinozza coperti da mutandoni lunghi e maglietta di lana; le femmine coperte da sottana nera, sopra mutandoni lunghi e maglietta di cotone. Tutti scavalcano il bordo della tinozza e si accoccolano sul fondo con grandissima circospezione. Tutti usano gli stessi asciugamani.

Stamattina io ho curato il bagno di Paolo con l'aiuto di Pola, «Mammą» ha assistito come al solito Papą insaponandolo, strigliandolo e massaggiandolo, Antonia ha assistito come al solito «Nonnņ»; le femmine si assistono l'un l'altra. L'acqua utilizzata per i bagni viene poi impiegata per lavare i pavimenti o la strada davanti al portone.

* * * * *

In queste mie prime giornate peschiciane, anche se non ho ancora messo piede fuori del portone di casa, ho comunque conosciuto o rivisto un mare di persone. La notizia del mio arrivo a Peschici con Paolo - il nipote di Don Paolo, che si chiama come lui - si č diffusa rapidamente per il paese e sono iniziati i convenevoli: parenti, amici e altri sono venuti a casa, chi a far visita, chi semplicemente ad augurare il benvenuto, alcuni fermandosi timidamente o rispettosamente ai piedi della scala d'ingresso, senza neppure chiudersi il portone alle spalle, altri salendo e fermandosi. Sono venuti a farci visita i parenti pił stretti: la famiglia di zio Luigi - lui, zia Concetta, la seconda moglie e i figli, le tre ragazze attualmente a Peschici; Raffaele Mirtella, fratello di zia Concetta, che vive a Napoli ma viene spesso a Peschici, conoscitore profondo della storia di Peschici, con la moglie Adelina e i due figli; Biasino Fisichella, cugino di zia Concetta, medico condotto di Peschici, con la moglie; zia Arcangelina, sorella di Nonna Rosa, e zio Nicola, il marito, che vivono a Rodi Garganico.

Sono venuti a farci visita anche i rappresentanti locali delle istituzioni: scortati da Papą, Don Pasqualino La Palomba, il podestą - «tąinė sembė ‘a kamčiša nąirė» mi ha fatto notare Papą - e il Brigadiere Lovoglio dei Carabinieri. Scortati da Angela, Don Michele, il parroco, e le gemelle Mamiani, Lisetta e Lisuccia, tutte e due maestre alla scuola elementare. E sono venuti a darci il benvenuto i vicini: da Mariuccio a «Faustčinė Berrčttė», da «Rokk'a Kandčinė», che tutti chiamano «zė Rokkė», a Bastianino il Sarto, a Mattiuccio, tutti insieme con qualcuno della loro famiglia; e tanti, tantissimi, che lavorano per Papą o zio Luigi.

Zio Luigi č il parente pił prossimo. Lui e famiglia si sono fermati a lungo. Loro abitano, e zio Luigi lavora, qui accanto in piazza. L'abitazione di zio Luigi č stata edificata, come quella di Papą, sulla casa madre e sui contrafforti di roccia circostanti. La farmacia di zio Luigi č parte della casa madre di «Nonnņ». Parte della caverna originaria č ora adibita a magazzino per i medicinali. Zio Luigi e Papą hanno vissuto vite contigue, parallele. Mentre Papą iniziava a lavorare a Peschici, zio Luigi studiava a Bologna. Mentre Papą diventava «Pąvėl'u Marėnąrė», zio Luigi diventava «u spėzėjąlė», il farmacista del paese. Mentre Papą sposava Donna Rosa, zio Luigi sposava Donna Raffaella, una ragazza di una famiglia benestante di Peschici, mora, con gli occhi verdi, bellissima, la ricordano tutti. Quando nel ’18 la ‘spagnola’ s’č presa Donna Rosa, s'č presa pure Donna Raffaella. Il ’18 per casa Laberi deve essere stato un anno terribile: in poco pił di due mesi la ‘spagnola’ aveva fatto di sette bimbi sette orfanelli: cinque a casa di Papą, due a casa di zio Luigi: zia Raffaella aveva lasciato Peppinillo - anche lui Giuseppe, come «Nonnņ», anche lui Peppino, come Peppino di Papą, ma lui Peppinillo, per distinguerlo da Peppino di Papą, che era pił grande - e Michelino. Mentre Papą per impalmare Donna Mariuccia, sua cugina, ci metteva sei mesi, zio Luigi ci metteva tre mesi per impalmare Donna Concetta, sorella di Donna Raffaella. Mentre Donna Mariuccia dava a Papą altri quattro figli, anche Donna Concetta dava a zio Luigi altri quattro figli, tre femmine, Tommasa, Andreina e Giuseppina, e un maschio, Domenico, chiamato Mimģ, che sta preparando la licenza liceale in collegio a Bologna.

Zio Luigi e Papą si vogliono bene, ma pure non si sopportano tanto. Zio Luigi č «u spėzėjąlė», č pił colto; Papą č «Pąvčl'u Marėnąrė», č pił verace. Zio Luigi gode di un discreto livello di agiatezza; Papą di un livello evidentemente superiore. Zio Luigi č introverso, elitario, ha una ristretta cerchia di amici; Papą č estroverso, vulcanico, č amico di tanti, di tutti. Zio Luigi ha sempre rinfacciato a Papą di avere sposato Donna Mariuccia, che č cugina di primo grado; Papą ha sempre rinfacciato a zio Luigi di avere sposato Donna Concetta, la sorella della prima moglie, con il corpo di questa «anġąurė kavėdė». Mimģ, figlio di zio Luigi, e Teresa, figlia di Papą, sono innamorati: tutti e due, zio Luigi e Papą, sono contrari, perché i due sono cugini: zio Luigi dice che Teresa č «’na mussģstė ke cė pettė» che sta cercando «dė fa fessė» il figlio, futuro farmacista di Peschici. Papą dice che Mimģ farebbe meglio a «strėšarėcė mbacc’i ššukkė di skrufellė dė Bolņńńė mmąicė dė svavą appress’i ššukkė d’a kunzėprčinė». Poi alle feste di famiglia e alle feste comandate i due si ritrovano con le famiglie e le passano tutti insieme, e stanno bene e di comune accordo.

* * * * *

Lo scampanio festoso delle campane del Purgatorio mi riporta alla realtą: appena dopo i rintocchi delle nove e mezza le campane iniziano a scandire ripetutamente, allegramente, tre toni a calare: č l'annuncio della messa delle dieci. Tra una nota e l'altra si avverte un brusio di voci. Vado a curiosare dal balcone del salotto: mi affaccio. Piazza Balilla appare gremita di fedeli, che confluiscono dalle varie stradine. Giungono una o pił famiglie a gruppi, vestono gli abiti della festa, ciascuno quelli che ha. I gruppi nella piazza, davanti la chiesa, si compongono in altri gruppi, a scambiarsi saluti, a chiacchierare. Gli adulti hanno tutti un copricapo: gli uomini un cappello, un baschetto, o una coppoletta, le donne un cappellino generalmente scuro con la veletta. Questa deve essere la Messa dei notabili: vedo il crocchietto di Don Pasqualino, il podestą, bassino, rotondetto, gli occhi vispi, arguti, mobili, e con lui tra gli altri il Barone di Statte, Don Vito, elegante, tutto in grigio, con monocolo e bastone con pomello, il Brigadiere Lovoglio, Don Elia Darrigo, il giudice - esercita al tribunale di Foggia, ma d'estate sta sempre a Peschici - Biasino, il medico, vestito tutto di bianco, con baschetto bianco, zio Luigi. Le signore formano vicino al loro un altro crocchietto: sfoggiano tutte un'eleganza piuttosto vistosa. Altri crocchietti, artigiani, contadini, pescatori, assai poco vistosi, tutti ben rasati, mostrano comunque una loro dignitą, anche nelle toppe sui vestiti, che non disdegnano di mostrare. Bambini si rincorrono tra i crocchietti. Non sono pochi - bambini specialmente - ad avere piedi nudi. L'atmosfera č serena, rilassata.

La facciata del Purgatorio, bianca, appare semplice, elegante: un architrave rinforza la struttura del portone d'ingresso, in legno marrone, spalancato per accogliere i fedeli; pił in alto due finestre, ad arco molto ribassato, sembrano in stile barocco; le campane sono sistemate in nicchie, ricavate nel timpano che si innalza sopra il tetto della navata della chiesa; due teschi scolpiti sembrano ammonire: uno in pietra sull'architrave, l'altro in legno scuro sul portone. Angela mi si č affiancata sul balcone; capisce le mie perplessitą. «I ciņkkė dė mortė, Bėjanġł, c’arrėkņrdėnė i mortė: e a storėjė du Prėjatņrėjė naššė proprėjė pė stu fattė. I monėkė d’a kjesėjė dė Kalėnė, i monėkė bėnėdėttčinė, kuąnnė ‘a kjesėjė, ke sta ‘kkuą vucčinė, jąivė mburtąndė assąjė, sti monėkė so’ rumastė tanda ‘mbrėssiunątė do fattė ke nu rėmčitė, ke tuttė dėcevėnė ke c’ava fa sandė, c’ava kapątė stu postė pė kambą e pė murģ. Doppė pėkkč tuttė, na volėtė ke so mortė, avčvėna putč sta avvucčinė all’ossė dė st’omėnė sandė, u Prėjatņrėjė jč dėvėndatė n’ossuąrėjė. E stu fattė jč jjņutė nnanzė pė tand’annė, fčin’a kuąnnė n’anna prujėbbčitė dė sėppėllģ i mortė jind’i pajčisė. Cė sta anġąurė joggė, avvucčinė a’ vėtarė, na katarąttėlė ke portė sotta terrė andņ arrėcėttąvėnė i mortė. Mo cė sta na kunġrąjė ke penzė a’ kjesėjė, ‘a Kunġrąjė d’a Mortė, ke pruvvąidė e’ funerąlė, a sėppėllģ i mortė, a dėspąunė ‘a kjesėjė pė tuttė i cėrėmonėjė soprattłttė o’ mąisė nuembrė, u mąisė dė tuttė i mortė.»

Le campane hanno continuato nel frattempo a chiamare a raccolta i fedeli. Ora all'improvviso tacciono e il brusio delle voci nella piazza sembra ingigantirsi. D'un tratto l'organo intona una melodia che mi ricorda cori del collegio; dopo qualche battuta una voce tenorile, alta, possente, si accompagna all'organo: riconosco qualche parola: ‘Adeste fideles’, ‘Venite adoremus’. La melodia sgorga dalla porta spalancata della chiesa, si allarga nella piazza, sale nei vicoli lungo i muri delle case. I crocchietti nella piazza si scompongono: i fedeli entrano un po’ alla volta in chiesa. Qualche voce, soprattutto femminile, si associa di tanto in tanto alla voce tenorile.

«Ja, mo jatė sėnnņ facčitė tardė» sollecita Angela. «Kuillė, Dommėkąilė, po’ c’arrąggė e pņurė ‘Lčjė Naząrėjė, akkuą ‘u kjąmėnė Karņusė, sė facčitė tardė, c’arrąggė, ke ‘u skungiątė. Po’ t’ą ‘mbarą pņurė i kanzņunė ke dčicė jissė e kušģ sta kundčndė.»
«Lassamģllė a me u fėġġjņulė: ‘u mandenġė ji.»

Rosalba e Teresa sono pronte: sono eleganti, Rosalba molto sobria, Teresa pił appariscente. Scendiamo le scale, superiamo il portone di casa e usciamo nella piazza. Ci dirigiamo verso la chiesa, che č lģ davanti a una decina di metri. Chi č ancora nella piazza si volta verso di noi, ci saluta - gli uomini si scoprono, - ci sorride, si scosta per consentirci il passaggio. La Chiesa ha una navata unica, larga una dozzina di metri, lunga una ventina: sul portale aperto ancora sculture lignee di teschi umani - “Brrr!” faccio tra me e me. - Lungo le pareti alcune statue sacre, sul soffitto un dipinto di dimensioni notevoli rappresenta, presumo, la morte col suo carro nel Purgatorio, tra Paradiso e Inferno; nell'abside semicircolare alle spalle dell'altare un corale ligneo; nella nicchia dell'abside la statua della Vergine Maria col Bambin Gesł; seduti al corale, uomini generalmente anziani rivestiti di un saio bianco con mantella nera: alcuni accompagnano stonatissimi Caruso. «Sonnė kuģllė d’a Kunġrąjė d’a Mortė » mi spiega Rosalba. Lungo la navata due file di panche: sulla fila destra le donne, sulla fila sinistra gli uomini. Molti ci notano, e ci sorridono. «Jamė e’ postė nostrė» mi sussurra Rosalba, guidandomi per un braccio.

La chiesa č affollata: solo nelle prime tre o quattro file, in cui hanno gią preso posto i notabili, ci sono ancora posti liberi. Prendiamo posto anche noi. Caruso, seduto all'organo laccato, ci nota e ci sorride, continuando a suonare e a cantare. Si sente scampanellare, e da dietro l'altare sbucano, uno dopo l'altro in fila indiana, quattro chierichetti in ordine d’altezza, seguiti da Don Michele. Tra le mani ha oggetti sacri che appoggia subito sull'altare. Poi si volta verso il pubblico e si guarda lentamente in giro. “Don Michele - mi raccontava Gino divertito - a ogni messa fa una fotografia di tutti quelli che ci stanno. Poi, durante la settimana, insegue quelli che a messa non sono andati profetizzando le pene pił atroci dell'inferno; e, per chi non si confessa presto, in paese, non si sa come, cominciano a circolare voci di prossime possibili scomuniche.”

* * * * *

Gino! Dio mio, Gino sta al fronte, in guerra! In guerra?! Lui cosģ mite! Ma perché? Contro chi? Contro i figli di quali mamme? Di lui non ho saputo ancora nulla.


(5.5 fine 2° Cap.)


NB. Per seguire meglio la narrazione, elenchiamo di seguito i link delle puntate precedenti.

Cap.1
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5363
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5369
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5410
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5435

CAP. 2
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5487
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5523
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5559
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5628

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