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18/05/2012

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“VENTI DI GRECALE”: Scene di vita quotidiana - 2° cap. (3)

Clicca per Ingrandire La terrazza, alta su tutta la casa, alta su tutta Peschici, domina e spazia in tutte le direzioni. È inebriante. Ti cattura! Sembra di stare sul ponte di comando di una nave immensa: vasi di agave, appoggiati a intervalli sulla balaustra, ne ornano le fiancate. Cinque o sei comignoli - la terrazza si estende sulle abitazioni di tante famiglie - delle forme più svariate alimentano la suggestione. C'è mare, tanto, verso nord; c'è mare, tanto, verso ponente. Monte Pucci è là, a un tiro di schioppo, dietro si intravede il promontorio di Rodi Garganico, dietro ancora lontanissimo all'orizzonte Capo Jale, che si protende fra i due laghi. C'è mare verso levante: lì la costa fra promontori rocciosi, un paio di trabucchi e insenature sabbiose, degrada lentamente fino all'orizzonte, dove si staglia la torre di Calalunga. Verso Sud, da un lato inizia e s'inerpica verso l'alto una pineta; dall'altro, verso Monte Pucci, nella direzione della strada per Vieste, s'intravede fra le case un'ampia valle, che è tutta un oliveto.

E tutto intorno alla terrazza, in basso, il paese, con le sue case bianche, i tetti talora a padiglione, ricoperti da coppi, talora appiattiti da una terrazza, le altane, gli abbaini, i comignoli, che si rincorrono e si addossano gli uni agli altri disordinatamente, e le piazzole, e i vicoli angusti; e panni stesi al vento, e serti di pomodori, di peperoncini, di pere, e trecce di cipolle, di aglio, e mazzi di origano, di rosmarino affissi ai muri; e grida di bimbi, che scalano le pareti dei vicoli come la tromba di un megafono, e giungono allegre; e voci di gente che chiacchiera, si dice cose, ride, impreca; e ragli, e nitriti, e chicchirichì, e grugniti, e abbaii; e zoccolii di cavalli, e sferragliare di carretti; e odori di resina, di olio, di forno.

«Sì, ti prende qui su» mi dice Pola. «Qui a Peschici il mondo è piccolo, chiuso, tutto chiuso su se stesso. Su questa terrazza invece si apre; si ha la sensazione di spazio, di libertà, di immenso. Su questa terrazza tutti noi della famiglia abbiamo sognato, e continuiamo a sognare. Per me, poi, il sogno ha generato la realtà. Mentre io quassù sognavo, Nicolino mio sognava sulla terrazza di casa sua, che è quella là davanti: e, sognando lui e sognando io, abbiamo finito per notarci, per salutarci, per parlare, e ci siamo innamorati. Qui passa Papà i suoi pochi momenti di riposo, e si mette a scrutare, strizzando gli occhi, la chioma bianca al vento, l'orizzonte: lui cerca e cerca, anche se non è sempre possibile vedere qualcosa. Si mette lì, appoggiato a quel muretto, e cerca, e cerca. Lui lo sa: in direzione di quell'agave - le agavi sono un'altra delle fissazioni sue - a quell'angolo della casa ci sono le Tremiti; in direzione di quell'altra agave più a destra c'è Pianosa; in direzione di quel comignolo - è ‘a cëmënàirë’ della cucina nostra - c'è Pelagosa; in direzione di quell'altro comignolo - è il comignolo della casa di Mariuccio - c'è il Montenegro, e Cettigne, il Paese di Yela, la Regina Elena, la Regina nostra contadina. A Peschici le vogliono bene tutti!»

«Qui nelle nottate limpide, brulicanti di stelle, lui resta in silenzio a leggere il cielo. Qui si incontrano di nascosto Teresa e Mimì, il figlio di zio Luigi, che si vogliono bene: di nascosto, perché sono cugini - e Teresa è pure figlia di cugini! - e i genitori cercano di dissuaderli; ma qui si possono incontrare facilmente, perché le terrazze delle case adiacenti a Peschici sono tutte comunicanti. E, se vuoi incontrare il medico, puoi venire qui all'ora del tramonto: quella lì davanti è la terrazza di Don Biasino. Lui ogni sera, all'ora del tramonto, sta lì con Donna Filomena, la moglie, tutti e due appoggiati al davanzale, a guardare verso il sole, fin dopo il crepuscolo. E pure Gennarino Labitta, se lo vuoi incontrare, qua lo trovi spesso. Lui ha fatto la grande guerra in Marina. E ‘mo’ - la vedi quella torretta alta alta laggiù, molto più in alto del tetto, molto alta rispetto agli altri tetti del paese, con quella scala a chiocciola? - lui sale sempre lassù con un cannocchiale a tracolla a guardare lontano nel mare. Soprattutto durante le tempeste.»

In terrazza, anch'io ci ho già passato qualche ora. Penso che ne passerò tante ancora. Con Paolo - certamente gli fa bene - a rilassarmi, e a riflettere.

* * * * *

La giornata a Peschici, come ad Alberona, ha cadenze dettate dalla luce del sole: il tempo in casa Laberi, e intorno a Piazza Balilla, scorre lento, scandito giorno e notte, quarto d'ora dopo quarto d'ora, dai rintocchi delle campane del timpano del Purgatorio, comandate dall'orologio. I ritmi della casa sono dettati dai ritmi di Papà. Lui è l'unico della famiglia qui a Peschici che guadagna: le condizioni della famiglia sono le condizioni che il suo lavoro permettono; se la sua vitalità dovesse venir meno, per la famiglia si presenterebbero tempi ben più tristi. Lui è il cuore, il motore della famiglia. E viene rispettato, curato, agevolato, amato da tutti. E lui, Papà, pretende a casa tre momenti di attenzione assoluta: la sveglia, il pranzo, la cena.

Il rito della sveglia - adesso, a giugno, Papà si sveglia alle sei - è determinante per l'umore e l'efficienza di Papà lungo tutto l'arco della giornata. ‘Mammà’ e Angela, per predisporla al meglio, si svegliano alle quattro, ai primissimi chiarori dell'aurora. Ho deciso di adeguarmi all'orario anch'io, ché tanto devo dare a Paolo la poppata. La prima preoccupazione di ‘Mammà’ è il fuoco; la prima preoccupazione di Angela è l'acqua. “Il fuoco e l'acqua”, mi è venuto di pensare quando le ho viste, ricordandomi di quel poco che mi aveva colpito quando mi ero imbattuta in qualche nota sui filosofi della Grecia antica, “abbiamo tutti, sempre, da sempre, le stesse preoccupazioni!”

Il fuoco è gestito con grande cura: si accende, si conserva e si utilizza fra il camino della cucina, una stufa a carbone, che mi sembra enorme, e la fornacetta. ‘A furnacèttë’, la piccola fornace in ceramica, addossata a una parete della cucina, ha fornelli di dimensioni varie, collegati a prese d'aria; all'interno di ciascun fornello cassetti in metallo, che vengono riempiti di tizzoni o di carboni ardenti, precedentemente attizzati nel camino o nella stufa, e scaldano piastre o griglie disposte sul piano della fornacetta. Nei cassetti, con le prese d'aria al minimo, tizzoni e carbone si mantengono attizzati a lungo, protetti da uno strato di cenere. ‘Mammà’, appena alzata, prende legna dal sottoscala nella cucina e la dispone sopra gli alari del camino con grande cura: dapprima sterpi secchi, sopra di questi tronchetti, sopra tutto, ben accostato alla parete di fondo del focolare, un bel cioccone; poi versa sulla pedata del focolare, sotto la pila di legna, il contenuto di un paio di cassettini della fornacetta, ancora attizzato sotto la cenere; poi accosta qualche pigna secca.

«I šëšàrkë bellë sikkë pìġġjënë fàukë ammijammèjë. Mo, dammë u šuššatòùrë!»

Imbraccia il soffiatore e, accovacciata su una seggiolina bassa, bassissima, impagliata, di fronte alla bocca del focolare, le gambe incrociate a ics, si protende in avanti e soffia con vigore sui tizzoni dormienti: le si gonfiano le vene delle tempie, le si arrossa il viso; e la fiamma divampa. Il suo chiarore mobile cambia nell'aurora i colori di tutto, e a tutto dà una vitalità nuova; la legna inizia a crepitare. ‘Mammà’ allora aggiunge poche frasche fresche di pino «ke tenënë na bella ddàurë.» Angela nel frattempo ha riempito conche, conchette, paioli, pentole e pentolini di acqua presa dalla cisterna e li ha disposti intorno al camino; nella conca più grande, di capienza notevole, ha versato uno strato minimo di acqua. Appena la fiamma divampa, ‘Mammà’ se la rimira per qualche istante, ansante e compiaciuta, poi si solleva puntando le mani sulla soglia del focolare e, slanciandosi in avanti dalla seggiolina, afferra la conca grande, la solleva con decisione e ne inferisce l'archetto con destrezza al gancio che spunta dal ventre della canna fumaria. Angela allora versa nella conca madre l'acqua contenuta nelle varie altre conche e conchette: inizia così a scaldarsi l'acqua destinata ai lavacri mattutini.

Papà, anche se non è in cucina, si sente lo stesso, e come! Lui dorme ancora nello stanzone, solo con il Sacro Cuore, e russa, e russa, ora pacato ora in un crescendo impetuoso, amplificato dalla grande volta a padiglione. Anche ‘Nonnò’ russa, ma - la sua stanza è più lontana - si avverte solo di tanto in tanto. Angela verso le quattro e mezzo dice «mo vakë: vakë da Gesù. Gesù ‘u vì, so’ rruàtë.» Prende sotto un braccio un fardello morbido, ricoperto con un lenzuolino bianco, ed esce tutta vestita di nero: va alla Messa dell'alba ogni giorno.

«Portë i rrobbë d’a vëtarë e kuìllë du prevëtë e di kjërëkettë» mi dice ‘Mammà’. «Jessë, ki kumbañë d’Aziàunë Kattolëkë, nu morsë pëdòunë, i lavënë, i stirënë, i rrëpezzënë. Ja, mettèimë ‘a tàvëlë k’amma fa kulaziàunë.»

La colazione si fa in cucina, sul tavolo ovale, scuro, di ciliegio, sistemato al centro della stanza, tra il focolare, la fornacetta, la finestra, che dà sulla piazzola, e un paio di credenze in legno con le portiere ornate di disegni forati attraverso i quali si intravedono pentole, tegami, paioli, padelle, brocche, ramaioli di smalto, di rame, di stagno, di coccio. Verso le cinque spuntano in cucina ‘Ndònëj’i Piàttë’, che viene da casa sua, e Pola, che scende dalla camera sua. Antonia - «prëparë pu patròunë» le dice subito ‘Mammà’ - ha il compito di preparare per Papà asciugamani e asciugamanini, il cantaro personale, due o tre catini in rame, di dimensioni generose, e un paio di secchi colmi d'acqua.

«Polù, addòucë ‘a panèttë!» ricorda ‘Mammà’.

Pola, quando la mattina scende, porta con sé una pagnotta di pane, di forma circolare, di una mezza metrata di diametro: le pagnotte, lavorate dalle donne di casa, cotte al forno del paese ogni sabato - «akkušì ‘a dumenëkë, ke jè jurnë dë festë, u panë jè cënàidë e mandàinë na bell’addàurë» - sono conservate (una quindicina di pagnotte alla settimana, una pagnotta accanto all'altra, come libri in uno scaffale) in una cassapanca-madia al quarto livello. Pola prepara il pane per la colazione: allargato un canovaccio sul tavolo, divide la pagnotta a metà, poi una delle due metà ancora a metà, e comincia a tagliare fette generose; affettata una metà della pagnotta, dispone le fette su un piatto, e il piatto a intiepidirsi sulla soglia del focolare.

Verso le cinque e mezzo spunta ‘Ndònëj'u Kavàllë’. Antonio è in moto già da almeno tre ore: è già andato al Renazzo con un carretto, a caricare acqua dal pozzo, ha preso frutta - ciliegie, albicocche, i primi fichi - uova ancora calde, e legna da ardere, che Angelantonio, il vignaiolo, ha preparato, ed è passato dal pecoraio a prendere latte appena munto. ‘Mammà’, mentre controlla vigile lo svolgersi degli eventi, copre il tavolo ovale della cucina con una tovaglietta a quadratini bianchi e marroni e vi accumula sopra un paio di caciocavalli di stagionatura diversa, qualche uovo, un cesto di pomodori freschi, il sale - grosso, nel mortaio, assieme al pestello - la bottiglia dell'olio, tre o quattro vasetti di marmellate varie, una brocca piena di latte, la zuccheriera, un canestro di frutta.

Quando l'orologio del Purgatorio scandisce le cinque e tre quarti, scatta l'ora del caffè: e ‘Mammà’ mette la caffettiera su un fornello della fornacetta. Di lì a poco compaiono Rosalba, già tutta in ordine, e Teresa, sonnacchiosa e scarmigliata, con il volto seminascosto dai lunghi capelli biondi. Le due sorelle non sembrano figlie dello stesso padre e della stessa madre: Rosalba, con la carnagione scura, gli occhi scuri, i capelli neri, ondulati e corti, parla poco ed è tutta precisa nelle sue cose; Teresa, con la carnagione chiara, gli occhi azzurri, i capelli biondi, lisci e lunghissimi, ama chiacchierare ed è tutta effervescente.

Alle sei in punto ‘Mammà’, scortata da un vassoio con tazza di caffè, qualche biscotto fatto da lei e una tazzina di marmellata di cotogne, si avvicina in punta di piedi a Papà; gli fa una carezza leggera sulla fronte, si china su di lui, gli sfiora con le labbra un orecchio, e gli sussurra: «Paulù, so’ i sàjë! K'àmma fa?» Papà si scuote, emette una russata più sonora delle altre, si volta, la guarda, le sorride, e bofonchia: «Marjù, k'amma fa? Amma fatëjà! Ja, appìccë ‘a kannàilë!» ‘Mammà’ accende subito la candela. Papà si issa faticosamente a sedere sul letto, si sgranchisce stirando braccia e gambe, sbadiglia, si riassetta il lenzuolo sulle gambe, dà una pacchetta rassicurante sui fianchi di ‘Mammà’, prende il vassoio, lo poggia sul letto, beve un sorso di caffè, spalma un po' di marmellata su di un biscotto, lo rumina lentamente, e lentamente sorbisce il resto del caffè. ‘Mammà’ nel frattempo trotterella premurosa intorno al letto, rassettando le coltri e litigando con le pianelle; di tanto in tanto incontra con lo sguardo il Sacro Cuore e mormora: «Gesù, Sëññàurë mèjë! Gesummarèjë!»

Papà scosta le lenzuola, si riassetta la camicia da notte, candida e abbondante, mette le gambe fuori del letto, infila le pantofole, si china ad aprire il comodino, prende il pitale, si solleva la camicia, e orina. ‘Mammà’ ha provato e riprovato a convincerlo che non è bello orinare davanti al Sacro Cuore, ma lui non si è convinto: «Marjù, kuìllë je Kristë, ma jè purë omënë akkàum’a me.» Papà, che pure a messa ci va poco, con il Sacro Cuore ci parla, ci discute, talvolta inginocchiato. Papà infila poi sulla camicia da notte la giacca da camera di cotone color vinaccia, orlata con un cordoncino giallo oro, e cinge con un braccio, le spalle di ‘Mammà’. Insieme - lui si appoggia un tantinello a lei - si spostano in cucina.

Papà siede al lato più lungo del tavolo ovale con le spalle al focolare: gli piace sentire calore sulla schiena anche d'estate; la fiamma proietta sulla parete di fronte la sua ombra, ingrandita, ondeggiante, possente. La culla di Paolo, che sonnecchia soddisfatto, la vuole vicina a sé. ‘Mammà’ siede di fronte: immersa, sperduta nell'ombra di Papà, sembra piccolissima. Io siedo dall'altra parte della culla; Pola, Rosalba e Teresa siedono dove capita. La luce del giorno arriva ancora incerta. Le pareti della cucina e la retina protettiva della finestra sono ricoperte da decine di mosche ancora insonnolite. Non si accendono lampade: si resta nel chiarore caldo della fiamma. Ognuno fa colazione a modo suo. Tutti comunque prendono una fettona almeno di pane e pomodoro. Rabbruscano il pane sulla soglia del focolare e, odoroso di pino, lo impregnano sui due lati di pomodoro fresco: aprono i pomodori con un coltello e li spremono con le mani sul pane – ‘Mammà’ fa tutto con le mani, inserendo con maestria i due pollici nel ventre dei pomodori. Salano poi il pane in abbondanza e lo cospargono di origano fragrante sui due lati. Ognuno prepara per sé. ‘Mammà’ prepara pure per Papà, che nel frattempo coccola Paolo con lo sguardo. ‘Mammà’ alla fine olia il pane di tutti sui due lati.

A casa, ‘Mammà’ e Angela sono le uniche che gestiscono l'olio: di olio in Gargano ce n'è tanto ma è trattato sempre con gran rispetto, come se dovesse venire a mancare da un momento all'altro. ‘Mammà’ lo versa, premendo l'indice e il medio della mano destra sull'orlo della bottiglia e usandoli come valvola di controllo; quando ha finito, scorre le dita sull'orlo del piatto, per sprecare meno olio possibile. Il pane impregnato viene poi guarnito con caciocavallo e bucce dei pomodori spremuti. ‘Mammà’ aggiunge cipolla cruda, quella rossa. Non si parla molto. Antonia, mentre siamo a tavola, dà una mano.

«Ja, ‘Ndò» le ricorda ‘Mammà’ a un certo punto, «stèipë l'oġġjë e u rijënë; e po’ prëparë!» e Antonia corre a preparare lo stanzone per Papà.

La colazione dura una mezz'oretta buona. Alla fine, Pola, Rosalba e Teresa ritornano al piano di sopra: vanno a rassettare le loro stanze. Teresa in realtà dedica gran parte del tempo a rassettare se stessa: è una gran bella ragazza, con un bel viso e un bel corpo, e conosce i segreti del trucco: fa impazzire molti ragazzi. Io mi divido fra Paolo e il riassetto della nostra stanza. Papà torna nello stanzone, ‘Mammà’ lo segue.


(3.5 cont.)

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