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13/05/2012

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DUE GIOVANI, DUE MONDI

Clicca per Ingrandire “Un uomo è come un iceberg.” Irene mi guarda in silenzio assorta, annuisce con la testa. Accanto a lei, Mohammed, pensieroso ma tranquillo. Forse accetteranno questo ‘challenge’: vivere insieme, costruire insieme la loro vita, sui bordi delle loro due culture agli estremi del Mediterraneo, con due religioni differenti. Una vera sfida. Ho appena spiegato loro che una persona non è solo quello che si vede, coi suoi luminosi occhi neri, la bella altezza, il tocco e tutto il suo charme esotico. E’ anche un mondo invisibile, nascosto dietro.

La sua cultura, la sua religione, il lunghissino cammino di civiltà fatto dalla sua gente, la sua famiglia e le attese, i suoi valori e disvalori. È quel mondo nascosto da cui uno emerge, come un iceberg, ma la parte sommersa è ben più grande. Lo si comprende spesso dopo tanti passi fatti insieme e, forse, tanti in opposte direzioni. Lo si capisce spesso troppo tardi. Così, non si sposa solo un uomo, ma si sposa, senza saperlo, tutto il mondo dell’altro. Mi trovo a spiegare loro, per esempio, il senso straordinariamente importante della tradizione che si ritrova nella mentalità araba.

Un’importanza singolare prende infatti l’origine, come l’origine dell’uomo, tanto grande da diventare un vero centro di gravità, come se tutto pendesse in quella direzione. Allontanarsi dall’origine viene concepito come perdere l’ideale, la purezza originale, un dissiparsi. Così quasi adorandola, si pone un fortissimo accento sulla tradizione, cioè su tutto ciò che ci lega all’origine, la consolida, la tramanda di mano in mano. Il cammino vero dell’uomo, in fondo, è un ritorno all’origine.

Nella visione del cristianesimo si è invece sensibili allo scorrere della storia, ai segni dei tempi che essa presenta, ai volti misteriosi di un Dio che ci accompagna. Come al percorso di un popolo, nel quale Dio appare come una forza nascosta, trascendente, inspiratrice. Ma è soprattutto importante l’avvenire, non il passato. La tradizione non prende tutta l’importanza, quanto piuttosto quel mondo in cui si vivrà, un giorno, di giustizia, di pace e di fratellanza, che gli uomini di buona volontà faticosamente stanno costruendo. Ciò mobilita tutta la nostra attenzione e la nostra tensione: il regno di Dio. Non l’origine. Come la prospettiva in un paesaggio, è invece il finale stupendo dell’umanità.

Un altro aspetto che mi piace sottolineare davanti a loro è il forte senso del simile che permea la cultura araba. Qualcuno la chiama omofilia, cioè l’amore per il simile, per chi è della medesima pasta, della medesima fede. Così alcuni amici, che avevano preso dimora in un paese musulmano, li sentivi affermare: “Se vieni qui di passaggio sei un ospite, sei accolto a braccia aperte, con entusiasmo e apertura di cuore. Ma se ti installi come noi e resti... allora non sei più dei nostri, diventi un estraneo, ti senti marginale”.

Nel messaggio cristiano, invece, la differenza crea la comunione, a immagine e somiglianza di Dio, che già nel suo intimo è differente e comunionale. La differenza dell’altro è benvenuta, esaltata e composta nell’insieme, manifestando in questo modo una forza nuova di comunione. È il respiro di universalità del vangelo. Già nei primi secoli lo schiavo e il suo padrone, diventati cristiani, si ritrovavano a pregare insieme gomito a gomito, uguali figli di Dio, in una fratellanza originale.

Così mi piace osservare, a volte, il senso dell’artigianato nei paesi musulmani - le stoffe, la filatura, il vasellame, il ricamo... - coltivato da secoli è qui apprezzatissimo. È l’amore dell’uomo per la materia, la maestria del contatto, il profondo senso estetico. Ma la tradizione impera: l’occhio e la mano trovano una complicità sorprendente fin dall’infanzia e il savoir-faire di un’antica tradizione si incarna negli uomini d’oggi. Ed è una creatività che però non è tale, perchè non vi è che un unico creatore, raccomanda il Corano. È un ripetere, invece, minuzioso ed estenuante di ciò che generazioni hanno simbolizzato e definito. Una grande raffinatezza e un’enorme pazienza fanno uscire dalle mani dell’artigiano dei capolavori domestici. In nome della tradizione.

Se si guarda bene, però, soprattutto nel ricamo delle donne, ci si imbatte presto in qualche imperfezione. Il difetto è benvenuto - e non è corretto - perché salva dal malocchio. Altrimenti un lavoro perfetto chissà quale gelosia misteriosa potrebbe suscitare. “Dell’uomo l’imperfezione è compagna!” la tradizione ancora insegna. Invece per la nostra cultura la perfezione è sempre ansiosamente ricercata, attesa e affinata. È come il punto di fuga verso cui un disegno o un’opera d’arte silenziosamente dirigono lo sguardo.

In tutto questo, i mondi si oppongono, ma gli uomini si incontrano. Oggi si rivela necessaria quell’arte del “saper negoziare”, dell’adattarsi al mondo dell’altro nella reciprocità. Arte difficile, quotidiana, soprattutto in una coppia, ma che può produrre capolavori di autentica creatività. Sì, degli esseri umani aperti, tolleranti, veri. Così, i due giovani, Irene e Mohammed mi nascondono, alla fine, un mezzo sorriso. Come sempre, Dio attende alla frontiera.

Renato Zilio

 Redazione

 

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