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14/01/2012

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MAMMA, HO PAURA... NON VOGLIO MORIRE!

Clicca per Ingrandire Mamma che mi succede? Aiuto! Vieni, fa presto... sto soffocando! Presto ti prego, non so quanto potrò resistere ancora! Sono come paralizzato... il corpo sta cedendo! Ho i muscoli contratti, le mascelle serrate... tento di respirare. Il giaciglio svanisce improvvisamente sotto di me... Oddio, aiuto, sto sprofondando inghiottito dal nulla! E' orribile, mamma! Il cuore è una grancassa impazzita... smette di battere... troppo a lungo. Controllo il respiro... non devo abbassare la guardia altrimenti tutto si ferma... Non posso nemmeno chiamarti... invece vorrei tu fossi qui. Aiuto mamma, ho paura... non voglio morire!

Le gocce di pioggia, in caduta obliqua, si infrangono contro i vetri della finestra rendendo la vegetazione del giardino una massa verde informe e indistinta. Piove a dirotto da più di un’ora. Dal confortevole e illusorio riparo che offre la stanza, ascolto il picchiettio della pioggia seduto alla scrivania. Schiaccio sulla tastiera del computer per scriverti questa lettera. Da tempo ne avevo l’intenzione e ora mi pare sia il momento propizio per farlo. Forse per il bisogno di parlare un po’ con te, oppure per il patetico e presuntuoso tentativo di annullare il tempo perduto fra noi.

Sono fradicio di sentimenti inespressi e il mio cuore fa acqua da tutte le parti. Ci ritroviamo già vecchi senza sapere bene perché, con la consapevolezza che il domani che avrebbe cambiato le cose ormai non verrà più. Eppure, abbiamo vissuto la nostra vita come tutti, né più né meno. Abbiamo sciupato giorni. Condiviso drammi e momenti lieti, anche se forse i primi hanno avuto il sopravvento su di noi. Però abbiamo fatto del nostro meglio e tutto sommato abbiamo imparato a cavarcela: cos’altro avremmo potuto fare di più?

Mamma, la scorsa notte oscuri terrori sono venuti a farmi visita scaraventandomi giù dal letto... e davvero ho creduto di morire. Mi sono sentito inerme e solo perché certe cose non si possono spartire con nessuno. Devi berne l’amaro succo fino in fondo e, se ti rimangono un po’ di forze, digerirle da solo. Allora ho pensato a te che mi hai dato la vita un lontano giorno. E come un debito estinto e innaturale o come un vagito alla moviola, ho ripercorso a ritroso il tempo trascorso insieme.

E la constatazione è stata piuttosto amara: me ne sono andato ancora prima che partissi, abbandonandoti. Anche se, a pensarci bene, voltarti le spalle mi ha impedito di partire veramente. Così ho vissuto come una mongolfiera che cerchi di librarsi in volo senza aver sganciato la zavorra, quando il peso che mi tratteneva era in sostanza lo sciocco desiderio di volerti diversa da ciò che eri. Oggi posso dirlo poiché lo vedo chiaramente in quanto il sole ha dissipato la nebbia e dissolto la confusione che era in me.

Ma sono cose che non si dicono, frasi trattenute che rimangono in gola per finire ricoperte dalla polvere del tempo. Allora scrivo, perché le parole scorrono meglio su una pagina bianca. Trovano lo spazio necessario per farsi avanti ed esprimersi liberamente, specie quando si tratta di sentimenti. Del resto, le cose del cuore non sono mai state il nostro forte.

Ecco, mamma, i giorni passano, lo sai bene anche tu, senz'altro più di me. Passano come un peso che incurva la schiena o come il sussurro di un respiro lievemente più corto. Passano somigliando a certi dolori che faticano a tornare reversibili. Il tempo ti ha dolcemente violentato il corpo, e l'esistenza ha provveduto a violentarti l'anima. Però ti ha lasciato intatti gli occhi, talvolta un po' smarriti ma sempre innocenti. Ha agito allo stesso modo su di me, che ho solo un piccolo vantaggio generazionale rispetto a te. Ma ha operato in modo subdolo, perché impercettibile, e non ce ne siamo nemmeno accorti.

E' stato un lavorio continuo e incessante, come lo sciabordio paziente e inesorabile dell'onda contro lo scoglio, che leviga, erode, e infine tramuta in polvere. E ora siamo vecchi: tu sei vecchia e pure io sto invecchiando, anche se per te è difficile considerarmi come tale. Deve essere davvero curioso per una madre vedere il proprio figlio vecchio: forse come una sorta di artificio della natura o uno scherzo di carnevale.

Sono stato dal dottore, mamma, e mentre mi rivestivo mi ha detto: "Caro signore, immagini di trovarsi al centro di una strada lunga e diritta, tipo quelle che si vedono nei film americani. Ebbene, guardando all'orizzonte, le due linee che la delimitano finiscono col convergere in un punto: è lì che siamo diretti. La strada può essere più o meno lunga, ma quel punto esiste in ognuna". Grazie dottore, ho apprezzato la metafora: davvero efficace, anche se un tantino brutale, forse. Ma come potrei biasimarlo? E' compito della scienza mettere il paziente dinanzi alla realtà. I medici non raccontano favole.

Tu invece le raccontavi, ed erano storie che avevano il potere di guarire malattie e pacificare gli affanni notturni. Come la volta quando, bambino, ti chiamai con tutto il fiato che avevo in gola: ricordi? La notte in cui mi svegliai di soprassalto con gli occhi incollati da un'infezione, non potevo più aprirli. Terrorizzato, gridavo a più non posso per chiederti soccorso. Arrivasti prontamente nella stanza con un flacone di acqua borica e batuffoli di cotone. Mi nettasti gli occhi per togliere il pus e poi, per calmarmi, mi raccontasti la fiaba del soldatino di piombo e io mi riaddormentai sereno. Ricordi, mamma? Io sì, sono cose che un figlio non dimentica, perché una guarigione porta sempre con sé il potere immenso dell'amore.

Mi alzo e vado ad aprire la finestra. Ho bisogno di riordinare le idee e un po' d'aria fresca mi farà bene. Fuori sta ancora piovendo, ma è calato il vento e adesso la pioggia cade in modo più uniforme e verticale. Incuranti del maltempo, due pettirossi stanno facendo un curioso gioco inseguendosi allegramente fra gli alberi del parco. Resto un poco a osservarli: uno parte e va a posarsi su un ramo, l'altro aspetta e poi svolazzando va a riacchiapparlo. Quando lo raggiunge, tutti e due si danno a una finta schermaglia che dura qualche secondo. Poi, uno dei due riparte per raggiungere un nuovo ramo... e così via. Non ho alcuna nozione di ornitologia e non conosco affatto il comportamento dei volatili, però sono certo che i due uccelletti si stiano divertendo parecchio, in barba al piovasco che non accenna a diminuire.

E' bello guardare la natura! Bello respirare l'odore della terra bagnata che si alza dal giardino! Noi non abbiamo mai avuto un giardino, mamma, però dal balcone del condominio in cui abitavamo la gigantesca magnolia che viveva in cortile ci inebriava coi suoi profumi ogni primavera. Respiro profondamente un paio di volte, poi richiudo la finestra e torno a sedere al tavolo. Il mal di testa è aumentato d'intensità già da un po' e se non faccio nulla presto sarà al limite della sopportazione.

Sciolgo un'aspirina nel bicchiere. L'acqua frizzante riattiva il ricordo di quando, malato e febbricitante, mi sollecitavi a bere d'un fiato la stessa medicina non appena si fosse sciolta, per non indebolirne il potere curativo. E io, figliolo ubbidiente e provato dalla malattia, restavo concentrato ad aspettare il disgregarsi della grossa compressa bianca nel recipiente di vetro. Poi ne bevevo il contenuto nel momento esatto in cui l'ultima particella scompariva nell'acqua e le bollicine ancora attive mi entravano nel naso facendomi starnutire.

Bevo, poi mi sdraio sul letto per riposare un po'. Sarà meglio aspettare l'effetto analgesico prima di continuare la lettera: mi sento spossato e stanco e l'emicrania non mi consente di scrivere ancora.

***

"Venga, si avvicini prego, le mostro qualcosa." Il medico in camice bianco appoggia la lastra contro il pannello luminoso. "Vede la macchia scura sull'emisfero destro? Ha un diametro di due centimetri circa: dobbiamo toglierla al più presto. Poi l'analizzeremo per determinarne la natura e stabilire il da farsi. Data la posizione in cui si trova, le confesso che si tratta di un intervento un po' delicato. Ma cerchi di non preoccuparsi troppo: nella nostra struttura disponiamo delle più avanzate tecnologie e dei migliori chirurghi, Lei è in buone mani caro signore."

***

… 'Angioletto angiolino, fa la nanna nel lettino, così l'angelo passerà e un fiorellino nel tuo cuore metterà' ... Sì, brava mamma, canta! Non smettere di cantare, e tienimi la mano! Il mio corpo è scosso da brividi: ho freddo e la coperta che tengo calata fino alla testa non mi riscalda. Chiama anche papà, ché mi esce il sangue dal naso, e lui conosce la tecnica giusta per farlo passare: mi dà un gran colpo secco sulla nuca e l'emorragia si arresta ... 'Angioletto angiolino, dormi dormi fino al mattino' …

Mi risveglio sudato ma il mal di testa è scomparso. Non so quanto abbia dormito, non molto credo: fuori è ancora giorno. Però ha smesso di piovere e il cielo si è un po' aperto. Ora le nuvole, ancora piuttosto dense, lasciano filtrare qualche timido spiraglio di luce. L'acqua piovana gocciola ancora dal fogliame luccicante e gli uccelli hanno ripreso a cantare festanti. Cerco invano con lo sguardo i due pettirossi giocherelloni: sono spariti. Mentre richiudo, scorgo per un attimo la mia fisionomia riflessa nel vetro della finestra: mi sento davvero buffo e grottesco col cranio pallido completamente rasato di fresco.

Come si può fare il bilancio di una vita intera nel breve spazio di una lettera? Le parole hanno tutte un certo limite oltre il quale non possono arrivare: un rapporto fra due esseri umani è fatto anche di silenzi eloquenti, sfumature inespresse, dolori celati. No mamma, non si può, è davvero impossibile! Tuttalpiù se ne possono rievocare i momenti salienti, quelli che hanno sconvolto equilibri e consuetudini cambiando l’esistenza di tutti.

Mamma, ho sognato papà e nel sogno era vivo e sorridente. Mi parlava, come se non ci avesse mai lasciati. Per una volta è stato un sogno bello e, ti assicuro, non mi capita spesso. I sogni a volte sono utili e necessari perché capaci di ricostruire un mondo ormai trascorso. Possono riempire per un momento un vuoto difficilmente colmabile in altro modo. Forse proprio il vuoto che non siamo stati capaci di colmare, mamma, né tu né io. Eggià, perché la vita talvolta è davvero un mare sconfinato e profondo, privo di punti di riferimento sicuri. Allora, come pesci sprovveduti ma mossi da un solido istinto di conservazione, non possiamo fare altro che nuotarne all'interno senza meta né direzione. Così abbiamo fatto noi e, sbracciando e annaspando, ognuno ha preso una direzione diversa, perché gli abissi marini sono avvolti dall'oscurità, è facile perdervisi.

Mamma, quanto tempo è dovuto passare prima che avessimo il coraggio di guardare in faccia la realtà? Quanti anni, prima di poter dire: “Papà è morto?” In tale maniera abbiamo continuato a vivere, sviluppando ognuno un personale modo di andare avanti. Fino a quando non abbiamo faticosamente raggiunto la consapevolezza che, per quanto ci si opponga alle situazioni, le cose non cambiano di una virgola e la vita segue il proprio corso come ha sempre fatto. E così il tempo è passato ugualmente, non allo stesso modo però. Tu adesso sei vecchia e io sto invecchiando, anche se per me il tempo ha subito un'accelerazione inattesa.

Vedi, mamma, quanto scrivo può sembrarti banale e scontato, ma forse sono proprio queste le cose più difficili da dire. O perlomeno noi non siamo riusciti a dircele mai. Mamma, un'ultima cosa: ti voglio bene, te ne ho sempre voluto e non te l’ho mai detto. Solo, prima non lo sapevo, ora l'ho capito.

Nella stanza entrano due infermiere in divisa verde, sorridenti, affabili. Chiedono di prepararmi per l’intervento, spiegando gentilmente che nel giro di poche ore tutto sarà finito. Infilo il grembiule di carta che hanno portato con sé e mi sdraio sulla barella. Conto ventitre neon sfilare sopra di me durante il percorso fino alla sala operatoria. Uhm, vediamo... ventitre: due più tre uguale cinque! Ottimo: cinque è il mio numero fortunato! Andrà tutto bene, devo solo ricordarmi di respirare. Ecco cosa c’è da fare: respirare, non devo dimenticarlo. Vivere è respirare e se respiro non posso morire.

Una breve attesa all’ingresso, e mi portano all’interno del blocco operatorio. Quattro persone bardate di tutto punto si affaccendano intorno agli strumenti chirurgici. Sento una leggera accelerazione del battito cardiaco. Respiro. L'anestesista mi si avvicina. Ha il viso nascosto da mascherina, cuffia e occhiali. Non riesco a definirne i tratti del volto. Però ha un tono di voce gioviale e rassicurante mentre dice: “Non si preoccupi, non sentirà nulla. Fra poco si addormenterà”. Sorrido e gli faccio segno di sì col capo. Sento l’ago che perfora la vena... Respiro.

Appena chiudo gli occhi, mi appari davanti. Penso: “Ah, meno male, sei venuta! Tienimi la mano per favore”, poi tutto diventa nero...

Luigi Scarabino

 Redazione

 

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  Commenti dei Lettori:

-- 15/01/2012 -- 09:06:59 -- vincenzo

Parole di elogio? Sono del tutto superflue! Bravo, Scarabino!

 
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