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26/04/2011

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Clicca per Ingrandire Il terremoto, lo tsunami e il conseguente incidente alla centrale nucleare di Fukushima (foto del titolo, la centrale nucleare; ndr) che hanno colpito il Giappone hanno causato un immane disastro che sarà difficile risolvere e dimenticare. Generalmente, simili eventi assumono un elevato numero di sfaccettature, prevalentemente dannose per il paese colpito indipendentemente dal suo grado di sviluppo o di prosperità e da quanta forza e fiducia la popolazione può aver acquisito dalle passate esperienze in situazioni di calamità naturali e/o catastrofi causate dall’uomo. La tragedia del Giappone rappresenta così l’opportunità del secolo per l’Australia, che si trova a dover fronteggiare l’urgente fabbisogno energetico nipponico. Il gas naturale australiano è la fonte cui il Giappone farà maggior ricorso sia nell’immediato che nel più lungo termine.

La fusione del nocciolo del reattore giapponese ha causato un disastro ancora maggiore nella percezione collettiva relativamente all’uso dell’energia nucleare, che stava faticosamente mostrando qualche segno di vita dopo la stasi dei decenni successivi agli incidenti di Three Mile Island e Chernobyl (25 anni fa come oggi; ndr). In 30 anni, negli Stati Uniti non è stata costruita nessuna nuova centrale nucleare. Ora, la Germania e altri paesi europei, che stavano cautamente pianificando nuovi reattori, preferiscono accantonare i progetti o riservarsi di valutarli più approfonditamente. La Cina e molti altri paesi hanno annunciato la loro intenzione di ripensare in toto all’energia nucleare.
Per il Giappone la situazione è ancora più drastica e porterà alla creazione di una nuova realtà nell’intera regione dell’Australasia influenzando sia il commercio che la produzione di gas naturale.

Sugli oltre 1000 miliardi di kwh di elettricità generati ogni anno in Giappone, il 27 percento proviene dal nucleare con una capacità complessiva installata di 51 GW. I 4 reattori di Fukushima (ne erano stati pianificati altri due, ora ovviamente accantonati) per una capacità totale di 4,4 GW avrebbero contribuito al 2,2 percento della produzione di energia elettrica del paese. Il gas naturale, d’altro canto, rappresenta un altro 27 percento della generazione elettrica giapponese. Se prima dell’incidente il governo giapponese, da sempre attento alle emissioni, stava pensando di aumentare al 37 percento il contributo del nucleare entro la fine del decennio in corso, secondo le nostre stime gli ultimi eventi creeranno un bisogno incrementale di gas naturale pari ad almeno il 12 percento del fabbisogno elettrico atteso. Questo dato sconta il fermo di Fukushima.

Il Giappone ora utilizza circa 3500 miliardi di piedi cubi (99 miliardi di metri cubi, ndr) di gas naturale di cui 3.300 (circa 93 miliardi di mc) importati sotto forma di Gnl. La stragrande maggioranza di questo gas viene usato nella generazione elettrica. Le nostre stime indicano che le importazioni di Gnl dovrebbero superare i 4800 miliardi di piedi cubi (136 miliardi mc) per soddisfare il nuovo peso che il gas verrebbe ad assumere sulla generazione elettrica, atteso raggiungere il 39 percento. Questi 1500 miliardi di piedi cubi in più (42 miliardi mc) si tradurrebbero in un aumento delle importazioni di Gnl pari a 27 mil. tonnellate metriche l’anno (Mtpa). Detto volume corrisponde al 44% circa dell’attuale capacità di Gnl del Qatar ed è 1,35 volte la capacità dell’Australia – pari ad appena 20 Mtpa ma con piani che puntano a traguardare i 50 Mtpa entro il 2017. Tuttavia, l’opportunità che il Giappone rappresenta per il gas australiano, originata dalla recente tragedia, impallidisce di fronte alle prospettive offerte dalla Cina.

Il consumo corrente di gas della Cina è pari a 3.300 miliardi di piedi cubi di gas naturale (93 miliardi mc) di cui oltre il 95 percento viene prodotto internamente. Questo volume conta per meno del 4 percento della domanda totale di energia di Pechino, mentre il 70 viene soddisfatto dal carbone. Nel mondo sviluppato, è dal XIX secolo che non vi sono più sistemi energetici così strutturati, con le negative conseguenze che comportano sul piano ambientale. Il governo cinese ha già annunciato che entro il 2020 la quota di gas naturale sul mix energetico del paese si porterà al 10 percento. In base alle previsioni sulla domanda di energia della Cina al 2020, questo obiettivo si traduce in volumi compresi tra 10.600 e 12.000 miliardi di piedi cubi di gas naturale (tra 300 e 340 miliardi mc).

Nel suo ultimo International Energy Outlook (luglio 2010), il Department of Energy (DoE) statunitense non tiene in considerazione un simile ambizioso piano in quanto, per l’appunto, ritenuto un’ambizione. Il DoE stima infatti per il 2020 un consumo di gas naturale da parte della Cina prossimo a un più modesto 6.300 miliardi di piedi cubi (178 miliardi mc). Indipendentemente da quale stima si concretizzerà, si avrà comunque un forte aumento della domanda di gas della Cina, tale da incidere sulle forniture internazionali con un aumento compreso tra 3000 e 9000 miliardi di piedi cubi (tra 85 e 255 miliardi mc). A parte un volume ancora non quantificabile di shale gas (metano estratto dalle rocce; ndr) la Cina non può contare su altre consistenti risorse interne. Il suo fabbisogno è tale da oscurare la maggior richiesta del Giappone.

Per avere un’idea più precisa, si consideri che il dato più alto sopra indicato (12mila miliardi di piedi cubi) è circa 8 volte l’attuale produzione di Gnl dell’Australia, senza considerare l’attesa domanda nipponica. Quanto di questo volume l’Australia potrà effettivamente fornire? Il governo australiano implementerà azioni concrete qualora comprenda la portata di questa sfida? Ovviamente ci sono aspetti critici da affrontare, perché non esiste nessun’altra nazione che disponga di risorse tali da competere effettivamente e in modo credibile in questa immensa e rischiosa impresa, perseguendo al contempo il rispetto dell’ambiente e delle normative. Trovare il giusto compromesso sarà la sfida socioeconomica e politica che l’Australia dovrà affrontare nei prossimi decenni.

Michael J. Economides e Xiuli Wang

 agienergia.it/

 

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