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10/03/2011

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QUANDO UNO SI METTE IN TESTA QUALCOSA… (2)

Clicca per Ingrandire Riassunto 1.a parte (pubblicata domenica 6 marzo) – Dopo un colloquio chiarificatore con il dialettologo romano Dario, l’ingegner Marco decide di partire alla volta di Peschici in modo da coinvolgere più gente possibile nel suo progetto di “codificare” il dialetto peschiciano. Prima però segue il consiglio dell’amico docente che gli ha suggerito di conoscere una ‘linguista’ dell’Università del Molise.

---------- ... ----------

Campobasso. Ci siamo. Mancheranno per Peschici un paio di centinaia di chilometri: due o tre ore di macchina. C’è tempo: l’appuntamento con il gruppetto dell’intellighentia peschiciana è alle sei! Trovo l’università, trovo il bar: Giulia la riconosco subito, quella foto su Facebook non è male! Mostra “enta” ben portati, è bionda, con gli occhi chiari, sfoggia una scollatura non proprio monacale che lascia intuire il seno generoso. Dai, ingegnere, tranquillo! Siamo qui per i dialetti!

«E così, hai dato uno sguardo al dizionario dialettale di San Rocco!» Riprendiamo, dandoci subito del tu, i discorsi che abbiamo iniziato per telefono. «Non pensavo, quando lo scrivevamo, che avremmo avuto dei lettori stranieri.»

«Stranieri! Peschici è a due passi dal Molise! I dialetti di San Rocco e di Peschici sono certamente ricchi di consonanze: le rotte della transumanza non possono non averle create! E poi voi l’alfabeto di San Rocco lo avete già codificato. Senza moltissimi riguardi per i dialettologi storici; voi che dialettologi pure siete. Voi potete insegnare cose.»

«Dialettologi sì, figli di pastori transumanti, sì, ma vaccinati pure!»

«Mettiamo qualcosa sotto i denti?»

Giulia non ha molto tempo. Ordiniamo un paio di insalatone miste e un paio di spremute d’arancia.

«Così, Giulia, voi, come mi dicevi, avete preso come riferimento l’alfabeto italiano, no?»

«Certo! Quale altro, sennò?»

«Peschici, sai, è stata popolata inizialmente da emigrati croati.»

«Inizialmente quando?»

«Intorno al mille!»

«Ma dai! Intorno al mille nessuno sapeva leggere e scrivere. Nemmeno i re! E poi la lingua croata! Lo sai tu che l’alfabeto croato è stato codificato appena all’inizio dell’ottocento, nel ’20, nel ’30 non ricordo, da un linguista di là, Gai mi pare sia il nome? Lascialo perdere il croato. Anzi no, consultalo ma solo quando dovessi trovarti in crisi con l’italiano.»

«Bene! È quello che sto facendo.»

«Dimmi adesso: come posso aiutarti?» Sorride - deve avermi sorpreso con lo sguardo vago sull’attaccatura del seno. - Ha un bel sorriso.

«Beh, l’alfabeto italiano!» (Mi raccomando, Marco, atteggiamento pudico!) «Io non l’avevo mai considerato dal punto di vista fonetico: è ambiguo, tanto ambiguo. Altro che lingua fonetica!»

«Vero, verissimo! Non è poi tanto male, però: da 150 anni serve un sacco di persone!»

«Sì, sì, ma ambiguo lo è. A cosa serve il grafema /q/, per esempio? A scuola era un dramma: ricordi acqua, taccuino, soqquadro, iniquo e quant’altro?»

«Grafema! Uàhoo, che linguaggio erudito! La lettera /q/ - è vero - non serve a granché, almeno oggi. Noi nel dialetto di San Rocco semplicemente non la usiamo. Senza sbandierarlo forte, per non urtare troppo i signori della Crusca.»

«Ottimo! Per motivi analoghi vorrei evitare /w/, /x/ e /y/ ...»

«... usando, al posto loro /u/, /cs/ e /i/. Perché no? In questo caso neppure i signori della Crusca possono prendersela.»

«Ancora ottimo! E poi mi piacerebbe eliminare pure /h/.»

«Questa mi sembra più tozza. E il verbo avere? E la palatalizzazione dei grafemi /c/ e /g/? Mi pare che tu stia esagerando a eliminare.»

«Il verbo avere? In peschiciano, come - tu lo sai - nel dialetto di San Rocco, le voci del verbo avere, che in italiano iniziano con la /h/, non esistono: si usano le voci corrispondenti del verbo “tenere”. La palatalizzazione? Vuoi dire i gruppi /ch/ e /gh/, immagino. Il gruppo /ch/ è servito a dovere dal grafema /k/, usato a tempesta da decine di popoli contigui. Il gruppo /gh/... beh, lì c’è da prendere una decisione, ché c’è un po’ di confusione in giro. Ma pare a te che i Savoia, espandendo a tutta Italia le aspirate tipiche del dialetto fiorentino, debbano aver condannato milioni di persone a destreggiarsi per tutta la vita con la /h/, un grafema senza suono proprio, usato solo per modificare il suono di altri grafemi?»

«Suggestivo! Divertente! Puoi provarci! In fondo puoi fare come vuoi. L’alfabeto - ne parlavamo per telefono - è una convenzione. Devi essere coerente, ovviamente. Auguri! Penso tu ne abbia bisogno»

«Posso fare come voglio, dici? Mah! Io vorrei che l’alfabeto risultasse semplice al punto che un peschiciano giovane non si senta irretito a scrivere nella sua lingua. Pensa come reagirebbe il peschiciano giovane se qualcuno gli propinasse un alfabeto stile Melillo, o chi so io!»

«Penso che guarderebbe l’imprudente con grande sospetto. Penso che potrebbe prendere a sghignazzare.» Riflette per un attimo. «Ma tu all’alfabeto italiano togli solo lettere? Non ne aggiungi qualcuna? Non ci sono suoni tipici del dialetto peschiciano? E il schevà?»

«La vocale neutra, dici? Come si fa a non aggiungerla, la vocale neutra. Ma perché scriverla, come fanno in tanti, con una /e/ con la dieresi? Non basta un solo punto sopra la /e/? Lo so che una qualche tradizione opta per la dieresi; ma torna il problema della /h/: perchè una qualche tradizione ci deve impedire di poter essere più concisi nella scrittura e più gradevoli alla vista?»

«Io ti consiglio di non rompere troppo con quel poco che in passato è stato fatto e su cui si sta cercando una convergenza di vedute. Io ti consiglierei di mantenere la dieresi. Ma torno a dire: puoi fare come vuoi; a patto che sia coerente. Ma, senti, tu mi sembri un po’ rompiballe. Sei sposato?»

(Questi sono cacchi miei. Che è… un’avance? Glisso, faccio finta di niente.)

«E aggiungerei anche due grafemi, per eliminare due digrammi - li chiamate così, no? - due digrammi antipaticissimi della lingua italiana: il digramma /sc/ dolce, quello della parola “scettro” - i croati usano la lettera /s/ con l’accento anticirconflesso - e il digramma /gn/, quello della parola “gnomo” - gli spagnoli usano la lettera /n/ con la tilde.»

«Queste, illustre rompiballe, mi sembrano due ottime idee. Noi a San Rocco la /s/ con l’accento anticirconflesso l’abbiamo adottata; la n con la tilde, no, non ci abbiamo pensato. Peccato! Avremmo evitato problemi con i suoni consonantici doppi!» Allunga una mano e prende la borsetta dalla sedia. «Ora però devo togliere la seduta: le mie due bambine mi aspettano.»

«Hai due bambine? Sei sposata!»

«Questo non l’ho detto.»

---------- ... ----------

Arrivo a Peschici intorno alle 17. Passo per la Locanda, faccio la doccia, mi stendo un attimo sul letto. Rimugino sull’idea che mi è frullata in mente durante il tragitto: l’Accademia del Trabucco! In Toscana si sono inventati l’Accademia della Crusca! Ma “Crusca” non viene da “cruscata”, e “cruscata” non sta per “conversazione un po’ a cacchio”? Beh, noi a Peschici, c’inventiamo la “Accademia del Trabucco”. Irriverente? Mah! Divertente, sicuro!

Seduti intorno a un bel tavolo ovale trovo una quindicina di persone (l’intellighentia locale, dev’essere). - Molti li incontro per la prima volta. La riunione è intrigante. Scopro cose interessanti che non mi attendevo di trovare. Lucia e Carmela mi offrono subito, gentilmente, copie dei loro scritti in dialetto peschiciano. Carmin’Angelo (lo scrivo con l’apostrofo, come vuole lui: un purista dev’essere!) sta lavorando a un dizionario peschiciano da lustri e lustri: pensa di terminarlo in breve tempo. Elia (ha il nome del santo patrono, al quale è devotissimo) sta lavorando da qualche anno a un ‘Thesaurus’: pensa di terminarlo in breve tempo. Carmin’Angelo ed Elia lavorano in solitario, indipendentemente l’uno dall’altro: Carmin’Angelo non è a conoscenza del lavoro di Elia; Elia non è a conoscenza del lavoro di Carmin’Angelo. In realtà nessuno è a conoscenza dei lavori di Carmin’Angelo e di Elia. (Perché mai, poi?)

Il programma di massima dei lavori - che dovrebbe portare nel tempo alla definizione di un alfabeto, di una grammatica, di un ‘Thesaurus’, di un dizionario, di una biblioteca di scritti peschiciani - viene accettato senza riserve. Il ‘Thesaurus’ sarà certamente quello cui sta lavorando Elia, il dizionario quello cui sta lavorando Carmin’Angelo, ciascuno manterrà il coordinamento del lavoro effettuato, gli altri del gruppo potranno all’occorrenza collaborare. L’idea della costituzione dell’Accademia del Trabucco trova tutti - ‘quasi tutti’ - entusiasti. Tutti - ‘quasi tutti’ - affermano che sono disponibili a impegnarsi, a collaborare, a mettere a disposizione del gruppo i lavori già iniziati. (Bene! Lo dicono; lo faranno, anche? Perché no!) Chiedo a Carmin’Angelo e Elia, al fine di introdurmi alle loro tematiche, di inviarmi via e-mail uno stralcio dei loro lavori. Lo faranno, assicurano. (Lo faranno? Perché no!) Matteo, l’editore della rivista locale on line, raccomanda che tutti gli scritti risultino agevolmente editabili e facilmente comprensibili da parte dei lettori. Rosa, Luisa e Maria Laura, al termine dell’incontro, mi offrono copie dei loro scritti in dialetto peschiciano. (Tutte donne gli scrittori in peschiciano? È un caso?)

Mangio un boccone alla Locanda in fretta e furia. Voglio raccogliere le idee, ipotizzare già una bozza di alfabeto, così che nell’incontro previsto domattina potrò renderla disponibile per i ragazzi delle scuole, che possano eventualmente rifletterci.

---------- ... ----------

Sono un’ottantina i ragazzi che incontro alle scuole. Vispi, casciaroni, simpatici; qualcuno attento, pure. Chiedo la loro collaborazione, il loro possibile impegno sul progetto. Alcuni dicono che collaboreranno. (Bene! Lo dicono; lo faranno, anche?) Lascio loro copie della bozza di alfabeto.

---------- ... ----------

Gli occhi di Dario spuntano, come sempre divertiti, come sempre tra le pile di libri e di scartoffie. Sono riuscito a rubargli un’oretta con il miraggio dell’amatriciana di Teresa La Zinnona.

«Ehilà, ingegnere! Hai finito, allora, co’ ’st’alfabeto! Menomale!»

«Ho finito una prima versione. Ho i miei dubbi che sarà l’ultima.»

«Io non avrei dubbi: non sarà l’ultima. Forse è l’ultima che farai tu. Tu lo sai che non ha senso la versione “ultima” nei temi della linguistica: le lingue, i dialetti evolvono con il tempo.» Si ferma un attimo. Sembra che abbia fretta. Sta pensando già all’amatriciana? «Su, ingegnere, spiffera!»

«Uhm, da dove comincio?»

«Su, ingegnere, te lo dico io da dove cominciare. Quanti grafemi ha il tuo alfabeto?»

«Aspetta, aspetta, non è proprio il “mio” alfabeto: è l’iniziativa di un gruppo di lavoro! Sono riuscito a coinvolgere nell’iniziativa qualche locale.»

«Fondamentale! Bravissimo! Anche perché tu il peschiciano non lo conosci, no?»

«Il “bravissimo” me lo prendo tutto! Sapessi che fatica, per cercare di metterli insieme e mantenerli uniti! Io cerco di mantenere tutti al passo via e-¬mail: le reazioni sono modeste, davvero modeste. In genere non ricevo nessuna risposta; non so neppure se le leggono, le mail! E capita di tutto: caselle di posta sovraccariche che rifiutano i messaggi, computer da resettare, scuole pericolanti, malattie, impicci giudiziari, impegni gravosissimi da sbrigare con priorità... Mi sono sentito anche dire - pensa - che invio troppi messaggi, che disturbo insomma chi ha da fare.»

«Bravissimissimo, allora!» Ammicca. «La domanda, ingegnere, resta: quanti grafemi?»

«25, ‘herr professor’: 21 lettere dell’alfabeto italiano, più la vocale neutra, più la /g/ con puntino sopra per la disambiguazione del grafema /g/ italiano, più due lettere con diacritico per ovviare a due digrammi della lingua italiana.»

«’Azzo! Hai imparato a parlare “ciovile”, adesso: non parli più ingegnerese?» Si fa ridere. «Non sembrano tanti 25 caratteri! Ma suoni tipici non ce ne sono in questo dialetto italo-croato?»

«Certo che sì. Anche se io non sono sempre in grado di apprezzarli. Io il peschiciano non posso davvero dire di saperlo.»

«Questo l’abbiamo capito: me l’hai già detto una ventina di volte. E t’ho già detto che è meglio così: perché resti fuori da certi tipi di risse tribali.»

«Tu, l’hai capito. Ché tu, ‘herr professor’, in fondo in fondo non sei il fico più scemetto del bigoncio. Lì mica l’hanno capito tutti. I primi pacchetti di merda mi sono già stati recapitati.»

«Dei buongustai, eh? E perché mai?»

«Perché io non sono di là - “che c’entro io?” - Perché, appunto, il dialetto non lo conosco; perché sbaglio a scrivere parole; perché commetto errori d’ortografia; perché...»

«E tu? Hai reagito? Come?»

«Macché! Ho impacchettato il tutto e l’ho messo da parte. Me ne aspetto altri di pacchetti! Sai lì c’é lo Scalandrone.»

«E che robb’é… lo Scalandrone!?»

«La rupe, sulla quale è costruito il paese, dalla quale buttavano a mare i rifiuti prima della realizzazione del sistema fognario. E quando dico “rifiuti”, intendo “tutti i rifiuti, proprio tutti”. Ma questo te lo racconto un’altra volta.»

«Bene! E poi, come hai chiuso la smerdata?»

«Ho ringraziato, penso gentilmente.»

«Ringraziato? Gentilmente? Grande, ingegnere! Che uomo! Santo, santo subito!» Ride di gusto. È di buon umore. «Torniamo a noi: niente suoni tipici in questo dialetto?»

«Sembra che tre o quattro ce ne siano.»

«Come fai a saperlo? Hai fatto interviste audio? Te lo hanno assicurato quei due amatori, che mi hai detto stanno lavorando a un dizionario?»

«Me l’hanno detto i due. Tutti e due mi hanno mandato l’alfabeto che utilizzano. E tutti e due proporrebbero un alfabeto di più di trenta grafemi.»

«Più di trenta? E allora, i 25 che dici?»

«Una prima considerazione: i due alfabeti che mi hanno inviato non sono uguali; anche se i due hanno consultato, ritengo, le medesime fonti. Una seconda considerazione: tra due obiettivi estremi tra loro in contrasto, rigorosità dei dialettologi e semplicità di lettura, prediligo senza dubbio il secondo. E come non prediligere la semplicità, se si vuole attrarre a condividere i ragazzi delle scuole! Pensa: una quarantina hanno già dato la loro adesione. È su di loro, su di loro, su di loro che bisogna contare!»

«Una quarantina? Ottimo! Ma che bravi!»

«Bravi, certo! E bravi gli insegnanti, che hanno trovato la maniera di coinvolgerli.» Riprendo il filo. «Terza considerazione: la storia dei suoni tipici? Ci saranno pure. Embè? Ché in italiano - tu lo sai - non ci sono? La /s/ di “sole”, dura, è forse la stessa della /s/ di “rosa”, dolce? E la /z/ dura” di “sozzo” è la stessa della /z/ dolce di “rozzo”?. E la /i/ di “io”, una parola che diciamo decine di volte al giorno?»

«Ma che bravo tu, ingegnere! Stai riscoprendo la differenza tra alfabeto fonetico e alfabeto del parlato corrente. Accade, questo, in tutte le lingue.»

«Torniamo ai venticinque, Dario. Sono 25 grafemi nella prima versione. Poi magari aumenteranno. Perché nel frattempo lanceremo i quaranta delle scuole a fare le interviste audio che tu consigli.» Riprendo fiato.

«Senti, ma i due amatori che stanno lavorando a un dizionario non ti possono aiutare a capire la frequenza con cui sono utilizzati i grafemi dei suoni tipici?»

«Certo che potrebbero. Non lo fanno. Mi hanno dato copia dell’alfabeto che utilizzano. Punto. Del resto, niente, neppure uno stralcio. Tengono tutto chiuso nel cassetto, sottochiave. Temono forse di essere defraudati del loro prezioso lavoro.»

«Ma così il loro lavoro a che serve? Cosa pensano? Di terminare il loro lavoro e portarlo all’acclamazione delle genti, come quello che è disceso dal Sinai? Se non coinvolgono gli altri in corso d’opera, come pensano di poter essere accettati?»

«Non lo so. Troppo difficile. Ho provato a dire loro che la verità, la verità vera, non esiste. E che, se esiste, noi non la conosciamo. E che la gente chiama “verità” una cosa su cui si è d’accordo in molti. E magari possono coesistere più verità, se i gruppi di persone sono diversi. Ma è troppo difficile: io non ci riesco. E, comunque, procedo.»

«Perfetti, allora, i venticinque!» Sorride ancora. Guarda l’orologio da polso, si alza di scatto. «E Teresa? Teresa La Zinnona? Mi hai invitato, no?» Si avvicina, mi tira su dalla sedia, mi butta un braccio sulla spalla, mi guida verso la porta. «Andiamo, è l’ora. Zinnona o morte!»

Paolo Labombarda


PS. Cari giovani e meno giovani di Peschici, l’alfabeto che l’Accademia del Trabucco vi propone non è nato proprio come vi ho raccontato. Ma quasi. Ha comunque senso solo se voi lo adoperate. E non è scritto nella pietra. Voi potete contribuire a ratificarlo, o modificarlo, sulla base delle vostre esperienze, della vostra sensibilità, della vostra peschicianità. Ce la date, allora, una mano? Tenendo conto, per favore, che vorremmo pubblicare «‘A Grammàtëkë Pëskëciànë» per giugno. E quindi vorremmo definire la versione condivisa dell’alfabeto per aprile. Grazie. Ciao. (P.L.)



NB. In categoria IL SONDAGGIO resta ancora per qualche giorno il 1° quesito al quale siete stati invitati a rispondere. Il primo non è stato cancellato e potete trovarlo facilmente cliccando su IL SONDAGGIO, ma non votarlo, per cui se ritenete partecipare alla soluzione potete inviare una mail all’indirizzo della nostra posta elettronica: info@puntodistella.it/. Grazie

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  Commenti dei Lettori:

-- 13/03/2011 -- 07:04:44 -- Paolo

mi piacerebbe leggere eventuali commenti dei lettori. Ciao

 
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