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17/02/2011

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LO “SMANTELLAMENTO” DELLA CULTURA

Clicca per Ingrandire “Di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura e comincio dalla Divina Commedia”. Questa la frase del ministro dell’Economia che ha sconcertato il mondo della cultura italiana e l’opinione pubblica di tutti i Paesi che hanno sempre visto nell’Italia il faro della cultura mondiale. Dietro questa frase il tentativo di giustificare i tagli indiscriminati che hanno portato ai minimi termini i finanziamenti pubblici per il settore cultura e per lo spettacolo. Ai tagli dei fondi statali si sommano i tagli degli enti locali che, stretti dal patto di stabilità, eliminano gran parte delle spese cosiddette superflue. Tra questi i già esigui investimenti nel settore che sistematicamente vengono visti come uno spreco.

E’ mai possibile che il Paese col più grande patrimonio di beni culturali al mondo, il Paese dell’Opera lirica, del neorealismo e del design possa considerare come uno spreco l’investimento nella cultura e nello spettacolo? La crisi economica non è solo italiana, ma mondiale. Altri Paesi europei stanno affrontando la crisi tagliando tutto tranne cultura e istruzione. Ciò con grande senso di responsabilità, visto che i fondi privati, in passato voce importante nel finanziamento degli eventi, stanno venendo a mancare proprio per effetto della crisi. Tra questi la Germania che, senza sacrificare cultura e istruzione, ha rimesso in moto la sua locomotiva.

Mentre i fondi pubblici si assottigliano, paradossalmente l’Italia scopre i festivals come luogo d’aggregazione e incontro, come laboratori di creatività e formazione delle persone. In Italia è ormai un fenomeno il successo di pubblico dei grandi appuntamenti festivalieri. Non solo. Si registrano segnali di ripresa delle presenze nei teatri e il rilancio dei grandi spettacoli dal vivo sta in parte arginando gli effetti della crisi del mercato discografico. Insomma, sembra che il pubblico guardi con notevole favore allo spettacolo dal vivo e i grandi happening culturali e di spettacolo.

La mancanza di investimento pubblico può però compromettere questo trend di favore nei confronti degli eventi culturali, proprio adesso che in alcune realtà si sono aperti spazi interessanti di crescita grazie a politiche intelligenti di alcune realtà regionali, come quella della Regione Puglia che è riuscita, con l’istituzione degli albi, a razionalizzare il sistema e spingere verso una migliore professionalizzazione gli operatori del settore.

C’è un serio rischio di smantellamento delle realtà, che hanno cominciato a crescere e radicarsi, anche nella virtuosa realtà pugliese? Come supplire alla mancanza di una seria politica nazionale nel settore? Come aprire spazi di mercato alle realtà culturali per farle dipendere sempre meno dal pubblico e rendere i professionisti del settore sempre più capaci di essere il motore di una nuova economia? E questa nuova economia esiste già? Quale il giro di affari legato al settore, in termini di produzione diretta di ricchezza e in termini di indotto, legato per esempio a nuove e vecchie forme di turismo?

Franco Salcuni

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