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23/07/2010

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LA LUCE MERIDIANA NON SPLENDERÀ PIÙ PER ROMANO CONVERSANO

Clicca per Ingrandire La realtà non è mai tutta bianca o tutta nera. E' ricca di colori. Di sfumature azzurrate di Oceano e di Mare. Mare Mediterraneo in luce meridiana. Questo, forse, il 'punto di vista' del segno e del colore di Romano Conversano. E' l'Italia del Sud ad attrarlo. Un ricordo atavico, una necessità del sangue, di un dna istriano fatto di bora e di vento, di altane a picco sul mare. Contro le nebbie padane. Vi scende di corsa, tormentato dall'idea che l'improvvisa illuminazione gli possa sfuggire. Come acqua tra le dita aperte. Come acqua nelle cretacee rocce carsiche.

In un mattino d'estate, Peschici gli presenta, in piena luce, il suo fulgente bianco candeggiato, il suo lustro di rocce, il suo cielo satinato. Immersi nel mare di puro smeraldo. Immersi nella loro calda solarità. Rocce, mare e cielo appaiono ai suoi occhi. Non hanno bisogno di essere amati. Lo sono da tempo immemorabile... e diventano luogo della memoria, varco inevitabile del tunnel oscuro della vita. E' il lontano 1957. Il mare, gli scogli, la pineta, la vegetazione aggrovigliata e lucente gli appaiono il luogo congeniale dove fermarsi, dove poter costruire, quadro dopo quadro, il suo racconto vitale.

Qui crea un atelier. Non in un attico qualsiasi, ma nel Castello federiciano, “antico fortilizio sul ciglio della Rupe precipitante a picco nel mare”. E' il simbolo della Peschici slava, di una terra di frontiera. Ricostruita dagli Schiavoni a inespugnabile baluardo delle Terre vicine contro le scorrerie turche. Diventerà il suo rifugio. A contatto con la natura vera. Un luogo dove è possibile “ riprendere il proprio sé, in una condizione di vitale straniamento. Lontano dal caos metropolitano. Un luogo dove è possibile addormentarsi al roboante frangersi dei 'cavalloni', delle ondate marine sotto le finestre. Per essere svegliato, all'alba chiara, dal rumore cadenzato della risacca... e negli occhi un fulminante fascio di luce, visualizzante incredibili intermittenti colorazioni.

Dipingere in mezzo a quella luce, nell'incantesimo di un mare sempre azzurro, fra rocce, pini d'Aleppo e sabbie, diventa un sogno ritrovato ad ogni sorgere del sole... Lo scrittore Dino Buzzati resterà ammaliato dalle vibranti 'marine' di Conversano. Dal chiarore accecante delle case mediterranee nella controra. Dai trabucchi. Dal mare di cobalto di Peschici. Sono talmente vivi da infondere il senso del vuoto, delle profondità abissali: “Scaglie di colore, verdi e azzurri dominanti, fuse e sovrapposte a creare un tipico fermento, vibrazione, lievitazione. Ma è soltanto la luce a far questo o è piuttosto una irrequieta sensibilità del pittore che trasmette alle cose il fremito che porta dentro?”

E' la domanda che Buzzati si pone. La sua ipotesi evoca ulteriori suggestioni: “Non si muovono solo le acque laggiù, ma si muovono anche le scogliere, tremolano le bianche case nel sole meridiano e non riescono all'immobilità neppure gli alberi, i prati, la pelle delle giovani donne, non parliamo poi degli occhi!” Una vibratilità tipica di certe intelligenze inquiete, mai paghe, prese dall'ansia febbrile di conoscenza.

Romano Conversano trasmette immediata forza vitale a chi scopre vicino alla sua sensibilità. Senza preconcetti. Il contatto è vero, mai virtuale, profondamente sincero. Percepisce istintivamente, da un punto di vista inusuale, ansie rimosse, malinconie 'al femminile'. Vissute giorno dopo giorno, storia dopo storia, amore dopo amore, dalle enigmatiche 'donne del mare' stagliate su larghi orizzonti. O immerse in fondali oscuri di bosco. Le ritroviamo proprio qui, nella 'terra di frontiera' adriatica. Attestano, con i loro sguardi sofferti, gli incompresi stati d'animo delle donne di oggi e di sempre. Sdraiate sulla 'sabbia fine' di Peschici, attestano il sottile, antico fascino slavo e mediterraneo.

E tutti noi, come il poeta Mario Luzi, restiamo profondamente colpiti da quegli occhi profondissimi di Nereidi. Dal loro penetrante sguardo indagatore. Rivelante, a ciascuno di noi, il suo cuore vero.

Teresa Maria Rauzino

 Redazione

 

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