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16/07/2010

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LA SPIAGGIA NON È TERRA DI CONQUISTA

Clicca per Ingrandire La spiaggia. Ci veniamo d’estate, è piena di ombrelloni, lidi, piscine e la percezione di immutabilità aumenta, tranne poi nel caso di qualche mareggiata che ci fa rendere conto di quanto il sistema sia fragile, e soprattutto “mutevole”, altro che stabile. La spiaggia, per definizione, è costituita da materiale “incoerente”, in continuo movimento; è l’interfaccia tra il mare e l’entroterra, e di conseguenza il sito meno indicato per impiantarvi qualcosa. E’ sempre una condizione temporanea, una zona di accumulo tra quanto porta il mare e quanto apporta l’entroterra, con i fiumi, i torrenti; cementandoli verrà meno l’apporto terrestre e il mare non potrà che riprendersi (erosione) sempre di più ciò che apporta.

Si tratta di una zona, infatti, a elevato dinamismo nella quale la situazione di equilibrio che viene raggiunta deve tenere conto dei numerosi fattori che intervengono: passivi (topografia dell’area, materiali presenti) e attivi (venti, moto ondoso, correnti marine, maree, apporti fluviali, attività degli organismi, ivi compreso l’uomo!). Se di stabilità si può parlare, o equilibrio, è comunque dinamico e sono i vegetali gli unici costruttori di questo equilibrio. Ma l’idea di farci sopra qualcosa è troppo forte, l’industria turistica ha bisogno della spiaggia. Altrove però (Sardegna occidentale) probabilmente sulla base degli errori commessi, la “naturalità” della spiaggia è un grandissimo valore che qualifica la stessa industria turistica.

In Sardegna (Porto Torres, Baia Chia) le dune sono state risparmiate e il costruito è posto nell’entroterra; il bagnante per raggiungere il mare, attraversa a piedi (con percorsi obbligati) il sistema spiaggia in tutta la sua integrità: stagni retrodunali, dune embrionali, spiaggia, con la possibilità di farsi il bagno insieme ai cormorani che popolano gli stagni retrodunali. Un tuffo in un sistema ambientale tra i più spettacolari sul piano paesaggistico. Nella Palude di Sfinale (Peschici-Vieste), depressione retrodunale, vi sono ancora gli aironi: i nostri turisti lo sapranno?

Spiaggia, duna, macchie, boscaglia, stagni, sono in realtà i tasselli strutturali, gli organi, in altre parole, di un organismo (o sistema) complesso e unitario, e la spiaggia è solo un elemento, ma il più fragile. Il sistema è integro quando tutti i tasselli sono presenti. Per capire il livello d’integrità noi botanici ne studiamo la componente vegetazionale, la vera matrice del sistema, che struttura, organizza e stabilizza la sabbia, come si anticipava.

Se partiamo dal bagnasciuga, cominciamo a capire che lo stesso è continuamente rimosso dalle onde, impedendo l’ancoraggio di qualsiasi forma di vita vegetale (zona afitoica). Se arretriamo un po’, notiamo che al bagnasciuga, segue sempre una fascia di sabbia asciutta, dove il mare almeno per qualche mese l’anno (estate) non arriva. E’ bagnata invece in inverno, per le frequenti mareggiate che nello stesso tempo depositano notevoli quantità di materiale organico (resti di vegetali, ecc.), insieme alle nostre bottiglie di plastica, ma in questo caso facciamo finta di non vederle.

Il materiale organico ovviamente si decompone arricchendo il substrato di nutrienti. C’è il sale, nemico di ogni forma di vita, ma l’abbondanza di nutrienti (nitrati), la sostanza organica, la buona aerazione, favoriscono la colonizzazione, quando la linea di riva arretra (estate), di una comunità vegetale frammentata (copertura non uniforme) e costituita da poche specie, ma le uniche capaci di vivere in questa fascia di spiaggia (specie alofile). In qualsiasi spiaggia del Mediterraneo sono sempre le stesse e sono, per indicarne qualcuna, Cakile marittima (Ruchetta di mare), Salsola kali, e si organizzano in una comunità vegetale che sul piano tassonomico è inquadrata nell’associazione (unità di vegetazione) Salsolo kali-Cachiletum maritimae.

Questo fin qui descritto è il primo tassello del sistema che stiamo per comprendere ma che in realtà è difficile percepire poiché proprio qui ci sono i nostri ombrelloni, per fortuna transitori, e così tra l’autunno e la primavera successiva il sistema è capace di autoripararsi: si ricostruisce la comunità vegetale, in modo sempre più frammentato, specialmente se continuiamo a usare rastrelli (anche meccanici) per “pulire” la spiaggia. Se però gli insediamenti sono stabili (costruzioni, ecc.) non vi sarà possibilità di autoriparazione e l’integrità del sistema è già compromessa nella sua parte più sensibile, fragile. Da questo tassello in poi (verso l’entroterra) il sistema comincia a organizzarsi al meglio, poiché diminuiscono o si attenuano i fattori molto selettivi come mobilità della sabbia (onde), quantità di sale, vento.

Dopo la fascia di sabbia asciutta dovremmo cominciare a trovare i primi accumuli si sabbia che chiamiamo “dune embrionali”, cioè tratti di dune in formazione, poiché ancora soggetti (esposti) al vento che accumula qui la sabbia asportata dalla fascia di spiaggia asciutta. In questa fascia la nuova condizione è di una sabbia più stabile e si deve a una pianta (graminacea), l’Agropyrum junceum (Elymus athericum), con apparati radicali particolarmente grandi; il vento c’è e potrebbe seppellirla ma lei si difende: man mano che la sabbia mossa dal vento la ricopre, lei emette continuamente rizomi (radici) dai quali si formano nuove foglie (e culmi) che rispuntano dalla superficie. L’operazione si ripete strato su strato ed ecco come la pianta costruisce il cumulo di sabbia, la fase embrionale appunto di una duna. Una sabbia più stabile è di conseguenza la premessa perché possano insediarsi altre specie di piante (Otanthus maritmus, Medicago marina, Anthemis maritima, Calystegia soldanella) che insieme all’Agropyrum sono gli elementi di un’altra comunità (Echinophoro-Agropyretum juncei) esclusiva di questa fascia, che segue in maniera “catenale” la prima descritta (Salsolo kali-Cakiletum).

Dopo le dune embrionali dovremmo trovare qualcosa di nuovo: siamo ormai distanti dagli spruzzi marini, è diminuito in modo rilevante il sale (azione dilavante delle piogge) ma il vento è ancora forte (siamo a un gradino più alto del tassello precedente) e favorisce accumuli di sabbia più imponenti, ma non ancora fissi, soprattutto perché le particelle di sabbia qui sono finissime. Siamo nelle cosiddette “dune mobili” segnate a loro volta da altre piante caratteristiche, prima fra tutte l’Ammophyla arenaria, accompagnata dal Pancratium maritimum (giglio di mare), Echinophora spinosa quali elementi di una nuova associazione vegetale inquadrata come Echinophoro-Ammophyleto arenariae. E’ questo il tratto più affascinante dei sistemi dunali che sono tanto più estesi quanto più è forte la ventosità; da noi la ridotta ventosità non ne favorisce lo sviluppo pieno ma singole o piccole colonie di Ammophyla, tra l’altro anche appariscente, non mancano.

Gli unici siti ormai, ove in linea generale si può rilevare la successione strutturale così come evidenziato in figura (foto del titolo; ndr), sono gli istmi di Lesina e Varano. Quest’ultimo è stato oggetto di numerosi e ripetuti rilievi (Biondi, Casavecchia, Biscotti) dai quali sono emersi livelli di integrità notevoli, ma con l’assenza, non facilmente spiegabile, di dune mobili (ammofileto). Non vi sono mai state, per livelli di ventosità modesti ? E quindi siamo di fronte a un sistema mai stabilizzato? Ipotesi possibile. Gli istmi, fra l’altro, sono formazioni geologicamente recenti. O la loro mancanza è da legare a destrutturazioni di origine antropica? Entrambi i quesiti meritano approfondimenti, ma la strada, gli insediamenti, gli incendi, probabilmente hanno avuto un ruolo nel determinare uno sviluppo ridotto del cordone che presenta, infatti, una evidente compressione delle fasce vegetazionali.

Il sistema nel suo complesso non evidenzia pertanto condizioni di stabilità, nel senso che non trova ancora il suo pieno equilibro naturale che si determina solo con la presenza di tutta la comunità biotica: le dune embrionali si sviluppano molto in profondità e si trovano ad esempio direttamente a contatto con le dune fisse. Ampi tratti di ginepreti (la comunità della duna fissa) sono cosi invasi (seppelliti) dalla sabbia; molto presente è infatti l’Ononis variegata, specie pioniera che colonizza le zone soggette a deflazione eolica.

Per piazzarci i nostri ombrelloni spesso arriviamo a smantellare le stesse dune embrionali. Abbiamo privato il sistema, che vive, dei suoi primi strati esterni e protettivi nei confronti di quelli interni. Un po’ come una cellula che si dota di pareti, membrane, senza delle quali nucleo e citoplasma sono direttamente esposti alla distruzione. Privandolo del primo tassello (spiaggia asciutta), e poi del secondo (dune embrionali) e poi del terzo (dune mobili) la mareggiata può direttamente attaccare (ecco l’erosione) senza incontrare nessuna azione frenante il tassello che segue: la duna fissa, un altro tassello pulsante del sistema spiaggia. E se non arriva il mare c'è il vento a seppellire di sabbia quest’altra fascia (deflazione eolica), fenomeno altrettanto destrutturante quanto l’erosione.

Nella duna fissa, la sabbia (di qui il nome) è imbrigliata e fissata appunto da una fittissima rete di apparati radicali, questa volta di piante perenni (e non in genere annuali come negli altri): arbusti di ginepro coccolone (Juniperus macrocarpa) e ginepro fenicio (Juniperus turbinata). Siamo nella boscaglia costiera, resa più intricata da lentisco (Pistacia lentiscus), fillirea (Phyllirea sp.), stracciabraghe (Smilax aspera) che si è potuto strutturare perché tutti i tasselli antistanti hanno reso la sabbia gradualmente sempre più fissa e stabile. Questo tratto può avere sviluppi estesi, essendo riparato dai venti (dune mobili e fisse) e più umido, e dovrebbe consentire lo sviluppo di un bosco a leccio (foresta mediterranea). Nelle fasce retrodunali si realizzano inoltre depressioni ove si hanno accumuli di acqua salmastra (stagni retrodunali) con altre comunità di piante.

Le fasce fin qui descritte non hanno nulla di stabile: ognuna arretra, si sposta in avanti, si assottiglia, non solo per il variare dei fattori quali vento, mareggiate, ma anche per quello che succede nelle fasce antistanti. Se le dune mobili non sono in condizioni di traslare liberamente avanti e indietro, tra il margine della spiaggia asciutta e la base delle dune consolidate, a causa di ostacoli innaturali interposti, l’intero sistema spiaggia-duna sarà destinato a deteriorarsi inesorabilmente. Le spiagge e le dune necessitano di moto ondoso, maree e venti marini, non ostacolati artificialmente, per essere costruite, modellate e tenute “vive”. Senza onde, maree e venti marini, non si possono formare le dune, perché difficilmente la sabbia sarebbe depositata dal mare, né avrebbe il tempo di seccarsi ed essere poi rimossa dal vento, accumulandosi più all’interno.

I troppi condizionali usati erano doverosi, poiché questa descrizione è riferita a situazioni di sistemi integri, sempre più rari. Rimane spesso la sola “spiaggia”, e non sempre, visto che il sistema è attaccato da due fronti opposti: dal mare (lidi, ombrelloni) e dall’entroterra (urbanizzazione, attività agricole). E rimanendo la sola spiaggia, il mare può tranquillamente agire, asportando e depositando altrove la sabbia. Sul fronte interno sono da considerare, inoltre, gli inquinamenti biologici (istmi di Lesina e Varano), conseguenti all’introduzione di specie esotiche estremamente dannose, quali Acacia cianophylla, che ha tolto spazio alle specie autoctone e oggi non si riesce più a debellare.

Per fortuna non tutto è perduto: a Lesina e Varano (che stiamo studiando da anni) ampi tratti del sistema sono ancora integri. Uno in particolare: il tratto all’altezza del camping Viola (Isola Varano), l’aula all’aperto di nostre ripetute visite didattiche con studenti di Ancona, di studio (Gruppo della Vegetazione Società Botanica italiana). Si riconoscono dune embrionali, tratti di dune mobili e fisse, stagni con tartarughe (Caretta caretta L.) e depressioni popolate dalla magnifica Herianthus ravennae (o Cladium mariscus), e nell’entroterra tratti a salicornieti. Altrove, per rimanere nel Gargano, nelle numerose cale e calette (almeno fino a Mattinata) la componente biologica è spesso disorganizzata ma sono ancora visibili resti, frammenti di dune e comunità delle loro tipiche piante.

Il degrado, come si vede, del sistema spiaggia non può essere valutato solo sul piano strutturale (erosione, avanzamento, arretramento) ma deve essere considerato soprattutto nella sua parte biologica. Il danno strutturale (erosione), è conseguente alla distruzione o alla banalizzazione della vegetazione. Dalla Torre del Fortore (Lesina) fino a Vieste abbiamo individuato (Biondi, Casavecchia, Biscotti) una nuova comunità (associazione) a base di Euphorbia terracina (poster presentato a Congresso SBI, Palermo 2008), indicatrice di ambienti degradati, non necessariamente legati a fatti strutturali (erosione, avanzamento o arretramento della spiaggia), ma ad altri fattori, come insediamenti, abbandono parcelle colturali, aree dismesse.

Anche la spiaggia è terreno d’ingegneria e urbanistica, quando il sistema richiede invece un approccio integrato; agronomi, botanici e forestali che nascono, camminano, studiano campagne, piante, terreno, clima, per loro o niente o al massimo ai margini (vedi anche Piano Territoriale Paesistico appena presentato). Certo, le valutazioni di tipo strutturale sono fondamentali, ma non possono trascurare l’importante ruolo delle fitocenosi. Sono state considerate, infatti, le qualità biologiche ed ecosistemiche cui fa riferimento la Direttiva Habitat? Che valori hanno assunto nello sviluppo del Piano le biocenosi indicate nella stessa? In una prospettiva nazionale di salvaguardia della biodiversità costiera, la Puglia rappresenta sicuramente una delle regioni che ha ancora gli ambiti più importanti. In Spagna (finanziamenti UE), dopo aver studiato secondo logiche biologiche le loro spiagge, sono riusciti a ricostruire chilometri di dune, portandovi sabbia, moltiplicando e impiantando le piante.

Nello Biscotti

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