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02/07/2010

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ESTRANEI IN PATRIA (QUANDO TORNANO)

Clicca per Ingrandire “Torno a casa e mi sento come un estraneo!” esclama amaro un giovane sui vent’anni, parlandomi del suo ritorno in Italia per qualche giorno. Vive qui a Londra da nove mesi. Da poco è sceso nella sua Romagna, dopo essere rinato in questa metropoli a una vita nuova, totalmente differente. Qui si è abituato a vedere, a incrociare in ogni momento del giorno razze e culture le più diverse, dall’India ai Caraibi. A farne un suo normalissimo ambiente di vita e di lotta.

“Tornando a casa - riprende - vedi la tua terra con occhi diversi da com’era quando eri sempre lì. Sai, non notavi le cose...” Ciò mi incuriosisce. Mi fa pensare al pesce nell’acqua: fin che sei dentro non ti accorgi di nulla, tutto scorre automaticamente. Quando te ne allontani, hai un’altra percezione delle cose e dei meccanismi, più viva e attenta.

“È come se non avessi mai fatto parte di quella gente! - incalza, sorprendendomi. - Nel nostro Paese si sta come costruendo una massa di schiavi... Ormai, d’altronde, è impossibile sognare. Il sogno, quello che si aveva una volta da piccoli, non esiste più. La vita si è fatta dura. Ci si sveglia al mattino e come un incubo ti trovi davanti il mutuo da pagare...”

Sono le quattro pennellate che ti improvvisa un giovane, spiegando poi che tutto - pur nella complessità di un’enorme città - qui gli sembra più semplice. “Se non lavori hai dei sussidi, non sei abbandonato a te stesso. Se uno ha voglia di lavorare, lavora! Ma non è così in Italia...” Lasciandosi andare alla nostalgia gli sfugge, tuttavia, un“Home, sweet home!” come ripetono gli inglesi. Ciononostante - ve l’assicura - nessuno dei tanti giovani che conosce a Londra vuole tornare in Italia. Sì, solo per le vacanze.

Curioso questo modo di vedere le cose che nonostante tutto sembra corrispondere a un sentire comune. Marianna è passata l’altro giorno al nostro Centro. Da un anno qui a Londra, sta ora tirando un bel sospiro di sollievo dopo giorni di “studio matto e disperatissimo”, come direbbe il nostro Leopardi. Vari esami finali da fare all’Università, cinque ore di sonno per notte, studio intensivo e altrettanta preghiera: ecco gli ingredienti di questi ultimi due mesi. “Ho pregato tanto in questi giorni!” ti confessa quasi con pudore, forse per cercarvi quella forza segreta imparata da piccola.

Mi racconta della sua ultima visita in Italia... Una forte rassegnazione. Ecco quanto i suoi occhi hanno colto. Ed è come un profondo senso di impotenza, ti precisa subito da studiosa in “Human Rights” alla “London School of Economics and Political Science”. Se la lasci continuare, la sua analisi continua. “Siamo nati e cresciuti in una società in cui senza i soldi non si ottiene nulla o quasi: dalla scelta di dove abitare, al tipo di casa, alla scuola dei figli... Ecco perché la crisi economica la sentiamo tutti e tutti ne parlano. Dal denaro abbiamo una totale dipendenza. Ma ora in Italia si respira un’aria di resa”.

Ne cita un sintomo: il suicidio. È diventato un fatto ricorrente nei giornali: tutti ne raccontano, nessuno pare preoccuparsi di un’analisi. Prendendo il treno da Brescia lei stessa rimane bloccata in aperta campagna. È un suicidio, le dicono, aggiungendo che in pochi mesi sulla stessa tratta è la quarta volta che succede. Lo raccontano come fossero casi isolati, senza collegamento, incapaci di scavare più a fondo...

La depressione, è vero, serpeggia anche fra padri di famiglia di 40 o 50 anni. L’angoscia, un tempo, di costruirsi una posizione a tutti i costi - senza preoccuparsi di coltivare dei valori - si è come rivoltata contro di noi: una specie di cortocircuito che ha fatto saltare il senso della vita. “L'uomo è ciò in cui crede!” ricordava Anton Cechov. Spesso, poi, ci si era limitati a far crescere un figlio unico. Un giorno maledetto, per un incidente qualsiasi, muore il giovane e il mondo ti crolla addosso!

La rassegnazione lei la trova nello sguardo dei giovani studiosi: “brain drain” (fuga di cervelli; ndr) lo chiamano, questo arrendersi per migrare negli Stati Uniti, Scandinavia, Canada... Non c’è altra soluzione. Non ci si è preoccupati di creare opportunità in patria. Rassegnazione nei discorsi degli insegnanti, coscienti che i responsabili a Roma per l’ennesima volta non li ascolteranno. O nell’anziano pensionato, che si mette a raccogliere la frutta scartata ai mercati generali. “Capisci...?!” mi fa. Non aveva mai notato prima qualcosa del genere.

“È la sconfitta di noi tutti, in fondo, della nostra società italiana”, conclude. Dopo i fatti di Rosarno e aver visto coi nostri occhi lo sfruttamento più totale dei migranti nelle piantagioni, si continua a mangiare pomodori o ciliegie come se nulla fosse accaduto. Questi fatti sembrano lontani da noi anni-luce… ed è in casa nostra! Accenna, perfino, ai continui patteggiamenti di un Paese, patria del diritto, con uno Stato del Nordafrica che non tiene in nessun conto i Diritti dell’Uomo, anzi... “Business as usual!”dicono gli inglesi.

Andandosene, infine, la sua analisi si fa domanda: “Quando mai impareremo a lottare per un Paese che dentro e fuori rispetti i diritti umani, che dia supporto a chi ne ha bisogno e ascolti chi ha un’opinione positiva e differente al di là di ogni duro antagonismo?” Così, uno sguardo lucido, interrogativo e per nulla rassegnato viene a ricordarci i nostri valori perduti.

Renato Zilio

 Redazione

 

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