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20/04/2010

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SCOMPARE L’ULTIMA VOCE FOLK LECCESE

Clicca per Ingrandire Addio a Gino Ingrosso, l’ultimo poeta della canzone popolare salentina, uno dei nomi più noti tra quelli legati alla tradizione musicale folk della città, autore di brani e composizioni eseguiti anche da cantanti di fama internazionale, tra i quali Gene Pitney. Ingrosso, che aveva 78 anni, si è spento all’ospedale “Vito Fazzi” di Lecce dove era stato ricoverato per una crisi legata a problemi cardiaci di cui l’artista soffriva. Gino Ingrosso, che ha saputo miscelare il dialetto salentino con sonorità di ogni tipo, cominciò a muovere i primi passi musicali con la chitarra grazie al padre, suonatore di mandolino. Aveva meno di diciotto anni quando una troupe della Rai giunse a Castrì, suo paese natale, e lo scelse per interpretare “Lecce mia” in una registrazione di canti di lavoratori.

Il successo cominciò ad arrivare presto: a Roma conobbe Paolo Bacilieri, che inserì nel suo disco due canzoni di Gino. Per la Sugar Music compose oltre cento canzoni fra originali e versioni straniere: “Non è la fine” incisa da Bobby Solo, “Incubo n. 4” per Caterina Caselli e altre ancora. Tra i brani di successo: “Torna pe’ sempre”, “Lu pompieri”, “Ieu pe’ tie”, “La freseddha” e nel 1985 “Lecce in serie A” per celebrare la prima storica promozione del Lecce nella massima divisione. Fu l’organizzatore del primo Festival della canzone leccese “Lucerneddhe lucerneddhe” nel 1978. Tra i suoi cd, l’ultimo in ordine di tempo è stato “Tatzepao” (g.p. - GdM)


Per ricordare e onorare la figura del compianto Musicista M° Gino Ingrosso, il sito web Messapi.info pubblica un brano tratto dalla Sua opera: "1975-2000, 25 anni di canzoni leccesi".

“Piove musica dappertutto: dal cielo, dai monti, fiumi di note vanno verso il mare immenso della fruizione. La pioggia musicale allaga strade, piazze, teatri, ritrovi. I supporti dei suoni scandiscono i ritmi nelle case, nelle automobili, sugli aerei. Dagli oblò delle navi entrano motivi da tutto il mondo. La musica è ormai pane quotidiano, non se ne può fare a meno.

“Noi siamo dei grandi ricercatori, la musica è dentro di noi, nel sangue, inizia dalle cellule...2-4-8... Il cuore pulsa ritmo, i piedi sulla terra di un neonato sono ritmo. [...]

“Il tempo cancella le forzature e le imitazioni, resta soltanto l'arte pregna di valori, essa esprime perfezione e bellezza, anche se guardando, guardando nelle lenti a milioni di ingrandimenti non si raggiunge mai il tanto desiderato centro.

“Ma è questo l'obiettivo della Grande Armonia: avvicinarsi sempre più alla completezza, migliorandosi. Ecco, in questa ricerca noi che viviamo il nostro tempo e che facciamo dell'arte la nostra esistenza non abbiamo nulla da invidiare o da rimpiangere al passato.

“I giovani disertano le chiese e si riversano nei ritrovi notturni per stordirsi, per fuggire da un mondo ipocrita e falso. Consumano le loro energie nello spreco, perché Dio, la Grande Armonia, non c'è nelle cattedrali dove si va generalmente per ammirare i fasti dei geni del passato, tra filari di ermellini e di anelli con diamanti.

“Dio sta nelle chiesette di campagna, dentro gli eremi, nella solitudine e poi nelle baraccopoli, negli orfanotrofi, negli ospedali... lì c'è Dio. Per i giovani la musica è religione, e rifugio dalle spigolosità della vita. La musica è ricca di sensazioni ed emozioni ma è astratta, su questa chimera spazia la fantasia, come la religione che guarda il cielo: la massima libertà per l'immaginazione. Entrambe per esistere, hanno bisogno vitale di supporter: la musica entra nel cuore, nel sentimento e aiuta a vivere; la religione aiuta il cuore e il sentimento con la speranza. La speranza è impalpabile come la musica. La musica è religione. Di un autore, di un cantante, di un artista, la gente vuol conoscere la sua vita, le sue esperienze. L'approfondimento contribuisce a capire la personalità di chi si esprime attraverso l'arte.

“È difficile parlare di se stessi [...].

“Nato a Castrì di Lecce (nel 1932), ho vissuto un'infanzia abbastanza felice e ho avuto un'educazione corretta, sono stato assecondato dai miei nelle mie attitudini e scelte, anche se in quel periodo la guerra non aveva lasciato nulla.

“A nove anni mio padre che strimpellava discretamente il mandolino, me lo insegnò coi numeretti, la prima canzone che imparai era "Lily Marlene", dopo poco arrivarono gli americani e la loro musica: "Moon Light Serenade" e specialmente il Boogie-Woogie che imparai da me.

“Allora si usava ‘portare le serenate’ e il sabato sera si organizzavano feste da ballo in famiglia, mandolino, chitarra, fisarmonica e il grammofono a manovella per riempire la serata.

“Zoccoletti-zoccoletti... cantava una canzone italiana in voga e interpretava bene quel periodo, quando le mamme portavano dal falegname consistenti rami di leccio o di giovani ulivi perché, ne facesse degli zoccoli per le loro figlie.

“Tutto si faceva in casa, dal pane agli abiti tessuti ai telai con la lana filata dalle nonne o con il cotone. [...]

“Una sera d'estate, a casa di una ragazza che aveva organizzato una festa da ballo, in una grande stanza (la casa) addossati ai muri c'erano i pochi mobili che l'arredavano e tutt'intorno pieno di sedie, prestate anche dalle vicine, dove sedevano le mamme che accompagnavano le loro figlie. I suonatori più adulti mi volevano con loro, perchè suonavo le musiche del momento che piacevano alle ragazze, altrimenti eseguivano i soliti valzer e mazurche.

“Cominciarono a ballare al ritmo del Boogie-Woogie e si scatenarono, lo dovetti suonare almeno venti volte, sembravano impazzite, come se volessero dimenticare qualcosa, uscire da una prigione. Scandivano il tempo con gli zoccoli e la danza diventava ossessiva, finché non si alzò un nuvolone di polvere. La padrona di casa ordinò di smettere e di buttare un po' d'acqua sul pavimento di lastre di pietra leccese.

“Quando sparì la polvere ci dettero un bicchierino di rosolio Mille Fiori, fatto in casa e si ricominciò a ballare, fino a notte.

“Poi mi accompagnarono a casa, chiesero scusa a mio padre che ancora sveglio mi stava aspettando e se ne andarono, lui mi sferrò un calcio nel sedere e andai a dormire. Avevo dodici anni. [...]

Gino Ingrosso

 Redazione

 

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