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01/03/2010

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LA PARTITA A SCACCHI

Clicca per Ingrandire L’ultima cosa che ricordavo erano i fari di quel bolide che mi arrivavano addosso.

Avete presente quando vi mettete nel letto e vi lasciate andare al sonno, che vi prende e vi porta via, e voi non avete la minima idea della fase di trapasso che vi rende dormienti? Lo stesso vale per la mia morte. Sì, è vero, ricordavo quei fari, ma non il dolore, la sofferenza e il brusco spegnersi del mio respiro. La morte, che avevo sempre temuto, non era stata come avevo pensato… anzi, fu come dormire… ma il risveglio fu tutt’altro che normale.

Aprii gli occhi e fu come utilizzarli per la prima volta. Il sole si nascondeva fra i rami degli alberi e il mio corpo nudo era steso su un’immensa distesa di erba verde. Mi alzai e mi guardai il corpo. In parte mi sembrava diverso. Ero nudo ma la cosa non pareva importarmi. I nei che vivevano sul mio torace erano spariti, come le cicatrici e le piccole imperfezioni che una volta mi caratterizzavano. Mi sentivo solo spaesato, come fosse la prima volta che mettevo piede sulla terra. Mi guardai un po’ intorno e vidi solamente la natura circondarmi. Presi allora a camminare fra i rami senza curarmi della nudità.

Dopo dieci minuti di cammino vidi la foresta sfoltirsi e un paesaggio verde e fresco adornato di adorabili case che differivano piacevolmente in stile e colori l’una dall’altra. Mi venne incontro una bambina, anche lei nuda, e nonostante questo non mi venne in mente di coprirmi le intimità, come se l’inconscio del mio essere fosse cambiato senza che io me ne fossi accorto. “Tu sei un risorto!” mi disse con un dolce sorriso, porgendomi una mela rossa come il sangue della vita. “Mangia, sarai affamato!” aggiunse. Presi il frutto e lo morsi. Che gusto sublime! Avevo mangiato migliaia di mele nella vita, ma nessuna era stata mai tanto buona.

“Come ti chiami?” chiese.
“Michele. E tu?”
“Io sono Miriam.”
“Dimmi Miriam, dove ci troviamo?”
“Sei nel paradiso terrestre.”

Rimasi attonito. Stordito. La sensazione, però, durò solo alcuni secondi. Poi, qualcosa dentro di me mi suggerì che tutto era vero perché tutto sembrava diverso e le cose precedenti erano davvero passate. Se solo quelli che ora stavano dall’altra parte avessero saputo che c’era un paradiso pronto ad attenderli, avrebbero pregato per morire. Il grande sogno degli uomini era vero: esisteva una vita dopo la morte! E io la stavo toccando con mano per la prima volta.

Miriam mi condusse a casa sua. Entrai e fui accolto dai sei fratelli e dalle sette sorelle. Poi, il padre mi prese in disparte e cominciò a raccontarmi tutto. Mi disse che nell’anno 2016 dell’era volgare la Terra si stava preparando a una terza guerra mondiale, il petrolio si era esaurito e le borse erano crollate distruggendo per sempre il sistema economico e l’intera civiltà. A un certo punto il cielo, diventato rosso, aveva gridato e cominciò a far piovere grosse pietre infuocate. Un frastuono generale paralizzò l’intero globo… L’Armagheddon! Il supremo giudizio finale.

Il Signore dei Cieli aprì il libro della vita e iniziò a giudicare gli esseri umani, uno a uno. Su sette miliardi di loro solo tre milioni ereditarono la Terra. Gli altri… condannati alla morte nel lago di fuoco e zolfo. Solo gli scomparsi prima del suo giudizio avrebbero avuto una seconda chanche, per aver riscattato i loro peccati con la morte. Ma non li resuscitò subito. Cominciò a farlo gradualmente soltanto cento anni dopo quel fausto giudizio. I sopravvissuti contribuirono insieme agli angeli a ripulire la Terra, mentre i resti dei corpi dei malcapitati furono divorati dagli animali in quello che venne chiamato il “grande pasto serale di Dio”.

Da quel giorno erano passati più di milletrecento anni, il che voleva dire che ormai ogni uomo era diventato perfetto. Non esisteva più la morte. L’uomo viveva per sempre e tutti viaggiavano in armonia con la natura e il Signore. I risorti avevano avuto un breve periodo, due mesi, per accettare il “nuovo mondo” e le sue regole. Alla scadenza venivano condotti al cospetto di Dio che, dopo alcune domande, decideva di battezzarli donando loro la vita eterna.

Tutti erano nudi, perché senza il peccato non esisteva più la malizia, ed era normale guardare un altro essere umano senza sentirsi le guance diventare paonazze. Avevano capacità che prima non possedevano. “Eravamo telecinetici - spiegò il padre di Miriam. - Potevamo muovere ogni oggetto con la sola forza del pensiero. Il nostro cervello era capace di fare cose che nessuna tecnologia era in grado di compiere. I nostri corpi potevano correre per giorni interi senza farsi mancare il respiro. La nostra pelle era simile al cuoio e non pativamo né freddo né caldo, pur avvertendo entrambe le sensazioni. Tutti godevamo di ottima salute, nessuno più stava male. Non esistevano cose come il lavoro o il denaro. Il Signore ci serviva con la natura, e noi servivamo Lui glorificando la sua opera con la rettitudine e il rispetto.

“Amavo Dio - aggiunse. - Anch’io, dopo i due mesi, mi presentai a Lui, che mi ritenne idoneo a far parte del suo paradiso e mi battezzò. Nei primi mille anni del mio paradiso sposai Daniela. Con lei facemmo quarantasei figlie e quarantasette figli. Girai tutta la terra su navi trasportate dal mio pensiero e conobbi tutto quanto ci fosse da conoscere. Mangiai ogni frutto, ogni pesce, ogni animale, imparai tutto di tutto, e gli angeli mi raccontarono anche ogni singolo dettaglio del Regno dei Cieli… Assaporai ogni cosa.

“Un giorno, mentre ero dondolato dal dolce vento della primavera sulla mia amaca, cominciai ad avvertire un senso di vuoto nel petto. Vuoto che immediatamente tacitai, riprendendo il mio dolce sonnecchiare. Col passare degli anni, però, non riuscii più a placare quel vuoto notando che la perfezione ereditata non era poi granché. Non potevi più parlare con nessuno, perché tutti la pensavamo allo stesso modo. Non potevi più chiedere “come stai” o “come vanno le cose”, perché sapevi già che tutti stavano bene e a tutti le cose andavano bene. Non si poteva fare nessun genere di sport, perché tutti primeggiavamo in tutto. Non esistevano più ruoli: eravamo tutti uguali. Tutti belli, intelligenti, perfetti, buoni e in salute. Tutti sapevamo disegnare, tutti sapevamo cantare, tutti sapevamo scrivere. Mi accorsi così che, una volta concluso il processo di conoscenza, la nostra perfezione diventava un peso, non più un pregio.

“Dopo millecentosei anni chiesi a un angelo se era possibile conferire con Dio. Immediatamente andò a chiamarlo. «Mi ha detto Raffaele che vuoi parlare con me. Tu sai bene che io conosco i vostri pensieri e il vostro cuore. Quindi so già cosa intendi dirmi. Tuttavia… fallo ugualmente!» «Voglio morire, mio Signore. Questo mondo perfetto è troppo noioso, ormai è diventato un continuo ripetersi e non c’è più niente che stimoli la mia anima”». «Sei indegno… proprio come lo furono i miei primi due figli! Hai tutto e non ti manca nulla. Quale motivo ti spinge a farmi soffrire!» «Perché, Signore, Tu devi provare ancora la sofferenza e la neghi, invece, a noi esseri umani? Vivo in uno stato di torpore. Provo la stessa sensazione da più di mille anni. Ho capito che non può esistere il bene senza il male. Ogni cosa ha bisogno del suo esatto contrario per dare un senso a ciò che siamo».

“E Lui rispose: «Lo so bene. Non sei il primo, anzi, sembra che dopo mille anni tutti si stufino e diventino tristi. Io sono l’Alfa e l’Omega, eppure non riesco a capire il vostro disagio. Prima vi lamentavate della sofferenza, ora vi lamentate della perfezione. L’unica cosa certa di voi esseri umani è che siete degli eterni insoddisfatti». «Vedi, mio Signore, nella mia vita precedente ero un artista, fiero del mio ingegno e della mia mente perché eravamo in pochi a possederli. Ero contento della mia salute perché sapevo che non tutti avevano la mia fortuna. Nel mio piccolo mi sentivo unico e speciale… Adesso invece so che il mio essere equivale perfettamente a quello di tutti e la cosa mi fa sentire sfortunato come mai prima d’ora». « Uomo, soddisferò la tua richiesta, ma a malincuore, perché tu hai capito il vero senso dell’esistenza. Però, sappi una cosa: tu non morirai… per ora».

Al suono delle ultime parole, crollai in un forte sonno…

Quando i miei occhi si riaprirono, la testa mi faceva un male cane. Avevo tubi e flebo ovunque, il mio respiro era lento e sentivo il flebile battito del cuore dal monitor affianco al letto. Entrò un’infermiera. Subito chiamò un dottore che mi ficcò immediatamente una luce violenta nell’occhio per esaminare le mie funzioni neurali. Mi disse che ero rimasto in coma tre settimane e grazie a un miracolo, che loro ignoravano, io… ero vivo. Poi mi porse un biglietto dicendomi di averlo trovato nei brandelli della mia giacca. C’era scritto: “Ora sta a te, figlio mio. Tu sai, ma nessuno ti crederà. Vivi in maniera retta e un giorno non tornerai nel tuo paradiso, ma sarai con me nel Regno dei Cieli.”

Una microscopica lacrima mi scivolò dall’occhio. E dissi: “No, grazie!”

Michele Marino

 Redazione (foto: “Scacchi nudi” di Augusto di Bono-Aug)

 

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