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23/02/2010

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LE STESSE RADICI

Clicca per Ingrandire Ricordo con ammirazione un nostro vecchio professore libanese. Ci spiegava con passione la differenza tra due semplici termini: ‘arabo’ ed ‘ebreo’. E faceva notare come etimologicamente i due sono costruiti sulle stesse medesime tre lettere, ma poste in ordine differente. Poi, puntigliosamente spiegava il senso della loro radice: ärb significa “colui che passa”, mentre invece äbr “colui che passa verso una terra”. In fondo, concludeva, l’arabo nato nel deserto vaga in esso passando da un’oasi ad un’altra, è un nomade. Invece l’altro ha nel sangue uno scopo, una terra promessa, un sogno da raggiungere. Per l’ebreo il suo camminare spirituale e simbolico ha un vero destino.

In tempo di quaresima anche il popolo cristiano vive questo senso del cammino. Avendo alla nostra sorgente il mondo ebraico, naturalmente sarà verso una terra promessa. Spesso, tuttavia, si dimentica che è tutto un popolo che si muove, non solamente alcuni individui: non è, infatti, un cammino solitario. Allora ripenso con emozione alla “marcia del deserto” di tutta una diocesi a Gibuti. Era qualcosa di suggestivo, come tutto Israele che si muovesse sul suo percorso... dall’Egitto verso casa. Come la Chiesa intera in cammino verso il Regno.

Ogni anno, infatti, durante la quaresima i cristiani della diocesi di Gibuti col vescovo in testa vivono un intero giorno di deserto per celebrare il sacramento della penitenza e dell’eucarestia, per riflettere e pregare insieme. E così si vedono tantissimi uomini, donne e bambini, venuti da tutte le parti della diocesi, camminare dalle prime ore del giorno sotto un sole sempre piu infuocato del deserto di Oveah. Era bello osservare questo avanzare comunitario, meditativo e itinerante. Il gruppo dei bambini vocianti precedeva tutti nel loro zigzagare tra canyon, massi e distese vastissime di sabbia.

In silenzio, noi adulti li seguivamo in un cammino lento e difficile, ma curiosamente pedagogico, interrogativo:“Verso dove, Signore, sto camminando? Verso dove va la nostra comunità? E’ forse rimasta immobile sulle sue posizioni, con il suo solito giro, le persone abituali, il peso delle strutture, le stesse cose da fare, il ritmo stanco dell’abitudine?” E in questa ricerca del Regno s’imparava a pregare diversamente: ”Insegnaci a vivere in comunità più ariose, più aperte, missionarie. In un ascolto più attento, vigilante dei segni dei tempi: i giovani, i migranti, chi è piu fragile e vulnerabile...”

Perché il Regno di Dio è ovunque un essere umano è amato. Ovunque si creano comunità in cui s’impara ad amare, come la famiglia, le associazioni, le nazioni. Il Regno di Dio è ovunque un migrante è trattato da essere umano, ovunque degli avversari si riconciliano, ovunque la giustizia è promossa, la pace ristabilita. Allora, una comunità o un popolo non si trovano a vagare in un deserto, inseguiti dalla paura dell’altro. Avanzano, invece, verso una terra promessa da Dio: la fratellanza tra gli uomini.

Renato Zilio

 Redazione

 

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