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28/09/2009

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IL GIORNO DEI “SAMMICHELARI”

Clicca per Ingrandire Domani è il 29 settembre, festa di san Michele. La Grotta di Monte Sant'Angelo è stata sempre una meta di fede. Quando non c'erano le macchine e i bus, molti ci andavano a piedi o sui carretti. Come i sammichelari di Peschici. Le modalità del pellegrinaggio sono descritte in questo interessante saggio di Angela Campanile, "Peschici nei ricordi", secondo volume della collana "I luoghi della memoria" del Centro Studi Martella, edizioni Claudio Grenzi, Foggia 2000.


STORIA DELL'ANTICA COMPAGNIA DI PELLEGRINI DEVOTI DI SAN MICHELE ARCANGELO

Da sempre la gente del Gargano è stata devota di San Michele Arcangelo (foto del titolo, la statua in chiesa madre di Peschici; ndr) e anche i peschiciani hanno praticato e praticano questo culto al Santo della Grotta. La devozione nei tempi passati, comunque, era tale che almeno una volta all’anno, e anche due volte (a maggio e settembre), molte persone benestanti e non, si recavano alla Santa Grotta per adorare e venerare il Santo. A Peschici c’era una vera e propria “compagnia” di devoti (foto 1 sotto) che raggiungevano la meta a piedi, per un voto fatto al Santo o per una tradizione di famiglia; questi partivano prima e, attraverso scorciatoie, raggiungevano i pellegrini che viaggiavano sui carretti (dai quindici ai trenta a seconda dell'annata), che erano gli unici mezzi di trasporto di quel periodo. I devoti prenotavano il posto sui carretti, a volte, da un anno all'altro, per paura di. restare appiedati e non poter magari assolvere al voto fatto a S. Michele.

I carretti, una volta ripuliti e riverniciati, venivano resi il più accoglienti possibile: quattro tavole di legno, disposte in senso orizzontale, fungevano da sedili, resi un po’comodi da cuscini che ogni passeggero portava con sé. Venivano sistemati, da una fiancata all'altra dei carri, tre cerchioni per reggere l'incerata che serviva a proteggere i passeggeri dalla eventuale pioggia, ma soprattutto dal freddo: non bisogna dimenticare che per raggiungere Monte bisognava passare per la Foresta Umbra! I bambini piuttosto piccoli venivano sistemati nei sacchi di paglia per meglio proteggerli dal freddo. Sotto al carretto pendeva un lume che, acceso, serviva a illuminare le buie strade (infatti il viaggio si svolgeva di notte). I muli da traino erano due, il più forte veniva sistemate tra le due sbarre del carretto, l'altro di lato, “a valanzein”. La capienza di ogni carretto era di dieci o al massimo dodici passeggeri, sistemati con tutto quello che serviva al pellegrinaggio: le cose più delicate, tuttavia, (come le uova sode) venivano messe al sicuro in un lungo cassetto. Quando tutto era pronto, i carri si allineavano uno dietro l'altro e il primo carrettiere, con sonore schioccate di frusta (“u scriatë”), dava il segnale di partenza.

La “compagnia” più numerosa era quella del pellegrinaggio nel mese di maggio. Si partiva la sera del giorno 6, quando il pellegrinaggio era organizzato solo per Monte; quando invece il pellegrinaggio comprendeva anche le visite al convento di San Matteo e la visita alla Madonna dell'Incoronata, la partenza veniva anticipata o al 5 o al 3 di maggio. La strada era lunga e dissestata, ma si cantava e si pregava senza tregua; i canti erano quelli sacri e immancabile erano la recita del rosario e il canto delle litanie che coinvolgeva i pellegrini di tutti i carretti. Chi c'è stato racconta: “Quando si arrivava alla Foresta Umbra cominciava ad albeggiare e i canti degli uccelli erano bellissimi; gli alberi della foresta erano quasi tutti intrecciati tra loro e si passava quasi sotto una lunga capanna verde: era uno spettacolo indescrivibile”.

Il viaggio continuava con passo più deciso, visto che la luce del giorno rendeva più agevole la strada. Verso le dieci circa, finalmente, si giungeva alla località chiamata “Parchetto”: da qui si cominciavano a vedere le case di Monte e allora i canti sacri, dedicati a San Michele, aumentavano d'intensità e ardore. Poco dopo c'era la sosta. Sull'immenso prato si cominciava ad apparecchiare; pagnotte di pane e l’immancabile frittata facevano da protagonisti e non mancava la damigiana di vino: bisognava riscaldare lo spirito e la carne, dopo una lunga nottata di viaggio all’aria aperta. Rifocillati e con in vista ormai la meta, ci si rimetteva in viaggio più volentieri. Verso mezzogiorno si arrivava alle ultime salite che erano veramente impossibili da fare con i carretti carichi e allora bisognava scendere e proseguire a piedi.

Prima di arrivare in paese, la “compagnia” peschiciana si univa alle compagnie di altri paesi e tutti in fila, cantando le litanie, si faceva ingresso prima nel paese e subito dopo nella Santa Grotta. La prima visita al santo a volte era drammatica: c'era chi scendeva le scale del santuario in ginocchio o addirittura strisciando con la lingua per terra, chi gridava al miracolo, chi piangeva. Si cercava subito un rifugio per riposarsi e per pernottare. Siccome i pellegrini erano tanti e le taverne disponibili non di numero sufficiente, di solito ci si rivolgeva a privati che affittavano sia la stalla per gli animali, che uno stanzone, arredato solo di sacconi di paglia, per le persone. Dopo aver fatto questo, c'era chi si recava di nuovo dal santo, chi girava il paese, chi si riposava; la sera però ci si ritrovava, anche insieme a pellegrini che si erano conosciuti gli anni precedenti, per farsi delle sane mangiate di carne e “turcinellë” arrostiti e grandi bevute di vino: chi non poteva permetterselo, consumava ciò che aveva portato da casa.

La mattina tutti pronti per partecipare ai festeggiamenti in onore del santo; la sera, stanchi e stremati, si ritornava sui pagliericci. La mattina del giorno 9, dopo l'ultima visita al santo e l'acquisto di qualche ricordino (medaglie, cavallucci fatti di pasta di scamorza, “i cavallottë”, pennacchi variopinti che servivano ad adornare la “capezza” del mulo, zoccoli di legno con il sopra di cuoio e con un tacco molto ampio, ostie ripiene, sportine) da portare a parenti e conoscenti, si ripartiva; ora la strada era in discesa e si camminava speditamente! A pochi chilometri da Peschici iniziava una vera e propria gara di velocità tra i carrettieri più giovani e, come si diceva “capë a ventë”: il mulo che per primo entrava a Peschici era il migliore in assoluto, con somma soddisfazione del proprietario che si sarebbe vantato fino al prossimo anno. Il pellegrinaggio comunque non era ancora finito e i pellegrini, dopo essersi ripuliti, scendevano nei pressi della spiaggia e qui si formava una fila su due colonne, al centro della quale c'era il suonatore di campanello, che serviva a scandire le lodi della Madonna durante le litanie: due o tre donne, le più brave si mettevano a cantare e intonavano canti e litanie. La processione raggiungeva infine la chiesetta di San Michele al Castello: la celebrazione di una messa concludeva il pellegrinaggio.

Nei ricordi di chi c’era è rimasto un episodio che ha caratterizzato un pellegrinaggio negli anni della seconda guerra mondiale, quando, soldati inglesi nel vedere venticinque o trenta carretti in fila, di notte e con i lumi accesi, si insospettirono e non solo bloccarono il pellegrinaggio, ma fecero prigionieri i ragazzi che indossavano vestiti militari inglesi comprati al mercato, scambiandoli per disertori. L’eco delle urla di disperazione delle mamme che si vedevano portar via dal carretto i propri figli, è ancora rimasto vivo nel ricordo di chi ce lo racconta. Diversi furono i ragazzi che rimasero in mutande, nonostante il freddo, pur di non essere sorpresi con quei vestiti. Per fortuna tutto si risolse quando arrivarono i carabinieri da Vico e spiegarono il perché di quell’insolita carovana.

Angela Campanile

 "Peschici nei ricordi"

 

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