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21/09/2009

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LE VERITA SCOMODE LE RACCONTANO IL CORAGGIO DI POCHI

Clicca per Ingrandire Ci sono libri che raccontano delle verità. E altri che raccontano verità, che - a onor del vero - sono “più verità della verità”. E’ il caso di “La Grande Implosione” di Ninì Delli Santi (pp. 250, Edizioni “La ricotta”, prezzo al pubblico € 12,00), fresco di stampa e in distribuzione a Vieste, patrocinato dall’Amministrazione Provinciale di Foggia. Uno di quei testi che alla domanda “conosci veramente Vieste?” metterebbe in condizione il lettore, dopo averlo consentito all’autore, di rispondere spavaldamente: “Sì, se intendi la Vieste, Vieste!”

E’ un libro che, per usare il linguaggio pubblicitario tanto caro all’autore, si presenta “effervescente naturale”, basato com’è su un meticoloso “Rapporto sui viestani 1970-2007”, scolpito nel sottotitolo e stilato con una profondità, un’arguzia e una dovizia di particolari davvero più unica che rara, inscenato con mirabile tecnica narrativa dai pulpiti di una erudita e immaginaria comunità di viestani-doc proiettata nel non troppo lontano, ma sempre futuribile 2047. Una specie di “La storia siamo noi”.

Una combriccola che col giusto distacco, ma non senza il coinvolgimento emotivo di chi nell’animo sa di sentirsi realmente viestano, è chiamata a cimentarsi in un’impresa ardita, da brividi ai polsi. Quale? Documentare e cogliere tutti i tratti di “La Grande Implosione”. Vale a dire della - ma solo per certi versi - strabiliante trasformazione che, negli anni considerati dal Rapporto, ha coinvolto e sconvolto non solo il corpus, ma soprattutto l’anima del viestano. Un camouflage (trucco terapeutico; ndr) che ha dettato - come per effetto di mirabilie da biogenetica - il profilo di ciò che è stato, di quello (sconvolgente) che è diventato e di chi poteva in realtà essere il cosiddetto “homo viestanicus”, vale a dire il prototipo di chi ama essere nato, dirsi e sentirsi viestano.

In incubazione da oltre un triennio, alla fine “la verità più vera” sull’homo viestanicus in tutte le sue varianti ha preso forma e sostanza in 250 succosissime pagine: dalla variante in do minore (il viestano moderno intriso di Beautiful age che vuole il salotto di casa come quello della celeberrima soap-opera, tutto “prendi i soldi e scappa” e della serie “cultura? no grazie”) a quella in fa maggiore (il viestano-viestano forgiatosi con tutti i suoi valori fra le pezze dell’orto alla Padula o nel ventre del Primo del Mare, coi figli all’elementare sottoposti al privilegio degli ultrapedagogici “più bastone e meno carota” del maestro Delli Santi, indimenticato padre dell’autore). Pagine, tutte frutto di come le ha trasudate Ninì delli Santi, in lunghi pomeriggi serviti ad assemblare quelle meditate annotazioni e incanalarle nella metamorfosi che le ha condensate nella sistematicità di un libro.

E chi meglio di Ninì Delli Santi poteva cimentarsi nell’impresa del ritratto del Dorian Gray viestano, quello strano e ormai indecifrabile esemplare che in questi s-formidabili anni di coscienza obnubilata si crede bello e incorrutibile allo specchio, ma che nella realtà si scopre rude, abbruttito nell’animo, incrudelito nell’aver smarrito la retta via della sua identità? Soprattutto ora che possiede alberghi, che fa le vacanze a Sharm, che vede la figlia divorziare ad appena due anni dalle nozze e che gradirebbe un prolungato soggiorno alla Turati per i propri anziani genitori sullo stereotipo “Si, perché d’estate abbiamo da fare al campeggio”?

Nella sua veste di osservatore privilegiato, come direttore di Radio Vieste, Tele Vieste, Retegargano, Ondaradio, il Faro settimanale e annessa attività di pubblicista, Ninì Delli Santi ha potuto - spesse volte suo malgrado - essere supertestimone di quella che, senza remora alcuna, può definirsi la madre di tutte le metamorfosi che hanno coinvolto l’homo viestanicus: “La Grande Implosione”, appunto. Pagine intense, che spogliano (finalmente) la pubblicistica su Vieste e sui viestani di quell’insopportabile velo di ipocrita e agiografico conformismo che ha caratterizzato gli scritti dei vari autori (tentati più a definirli untori), inclini più alla retorica della favola bella dell’amor perduto con lo spray sui muri di spocchiose vicende familiari, che a sacrosante “operazioni-verità” di cui si è sempre avvertito il bisogno, per scoprire chi si è veramente.

La Vieste rapportata da Ninì Delli Santi è la città che, beatamente addormentata nel grembo della sua anima contadina e peschereccia, a un certo punto, allo scoccare degli anni ’70, avverte i primi refoli di una tempesta in arrivo. Una tempesta impetuosa che sconvolgerà, sradicherà un “esistente” scandito da pigri lancette dell’orologio della storia e trasformerà paesaggio e protagonisti in un identikit in cui l’uno e gli altri stenteranno a riconoscersi e ritrovarsi, opaco e scontornato com’è divenuto. E’ la Vieste e il viestano degli anni in cui il fenomeno del “arrivano i frustirë” cambia tutti i connotati: sociologici, antropologici, socioeconomici e che dir si voglia, trasformandoli dal ciò che erano, al ciò che non si sa; insomma nel frutto di quella grande implosione di valori, di memoria, di coscienza di essere. Nella più perfetta logica dell’implodere.

Ninì Delli Santi la racconta tutta questa trasformazione, con una spettacolare operazione di maieutica socratica, che suggerisce di tirare la conoscenza “fuori dal grembo”. Un grembo da cui Ninì Delli Santi, con sagacia narrativa assistita da un filo sempre sottostante di sottile e acuta ironia, tira fuori tutte le verità comode e scomode, sbatte il mostro della Grande Implosione in prima pagina col coraggio dell’ardito e di chi sa che gli costerà (come gli è sempre costato) andare controcorrente. Ma tant’è, le verità scomode le raccontano il coraggio di pochi. Quelle comode vantano pletore di padri-padroni, pronti a disconoscerle al primo stormir di fronde. Leggetelo e non ve ne pentirete.

Michele Piracci

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