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07/07/2009

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I NIPOTI DEL CORSARO NERO

Clicca per Ingrandire Infestavano i mari dei Caraibi e gli Oceani Indiano e Pacifico. Meno, l’Atlantico e il Mediterraneo. Incrociavano sulle rotte commerciali più trafficate. Imperversavano lungo orizzonti segnati dal sale e dalla cresta spumosa di onde non sempre foriere di venti a favore. Uncini, scimitarre, divise militari sgangherate (esibite, però, con intrepido orgoglio), bandane, bende e orecchini delineavano i caratteri pittoreschi dei pirati d’ogni dove. Autentici e crudeli “briganti del mare”.

Ecco, il mare era il loro codice, la loro legge, la Costituzione e il loro giudice naturale. Il loro Paradiso e il loro Inferno. La donna da amare o il parente da maledire. Il rifugio materno o l’evasione dalla regola. La loro disperazione, ma anche la loro inesauribile speranza. In una parola, il mare era la loro libertà. Pirata, un tempo, era un marchio. Magari un teschio tra due ossa (o tra due spade) su drappo nero. Era un’insegna temuta e rispettata. Tanto che già i Romani preferirono non combatterli, ma assoldarli, in una sorta di pizzo al contrario, per trasformarli in “gendarmi del mare” e proteggere le rotte delle loro navi.

Quelli di oggi non possono più fregiarsi di quel marchio d’origine, della definizione assoluta. Per identificarli ora c’è bisogno della specificazione. Pirati della strada, pirati del cielo, pirati del web. Dall’autenticità si è passati alla contraffazione (cassette pirata) o addirittura alla caricatura cinematografica (Pirati dei Caraibi). I cosiddetti pirati moderni sono solo dei banditi. Dei malviventi al soldo di interessi terzi. Del mare non sopportano il sale, tanto meno le alghe, e senza i loro potenti motori non sarebbero capaci di “cazzare una randa”. Dall’Achille Lauro in poi le imboscate marine non sono più arrembaggi pirateschi di corsari e bucanieri, ma scientifiche azioni terroristiche con finalità ben diverse dal dominio dei mari e dal depredare bottini più o meno consistenti.

Nicolò Carnimeo nel suo “Nei mari dei pirati” (Ed. Longanesi, 2009), un avvincente e articolato reportage e libro-inchiesta sui nuovi predoni del mare, ne delinea il quadro allarmante. Sottolineando l’imprevedibile pericolosità legata alla loro caratura di delinquenti comuni. Perché non può definirsi altrimenti chi sguazza senza ritegno tra le falle di un diritto della navigazione che, in assenza di accordi internazionali per la costituzione di fronti comuni alle “piraterie”, cerca di far soldi col traffico dei clandestini, con quello dei bambini, col traffico internazionale dei rifiuti tossici o con quello ancora più spregiudicato delle armi.

Il libro, avvincente nonché ricco di episodi e incontri vissuti personalmente dall’autore, è anche un’opera di informazione diffusa. Complementare a quella, più tecnica e meno conosciuta, del capitano Mukundan Pottengal, il direttore dell’International Maritime Bureau di Londra, il centro che aggiorna costantemente le polizie marittime dei cinque continenti sui rischi di “piraterie”, con una base operativa a Kuala Lumpur in Malaysia, il Piracy Reporting Center, specializzato nel rintracciare le cosiddette navi fantasma, quelle fatte sparire dalle mafie o dagli attacchi terroristici.

“I pirati non sono lontani come si crede - sostiene Nicolò Carnimeo. - I fatti di cronaca recente e l’attacco alla nave da crociera Melody della Msc lo stanno a dimostrare”. E precisa: “Attraverso il racconto-inchiesta ho voluto disegnare una mappa, cercando di mettere in guardia i diportisti o anche chi decide semplicemente di partire per mare”.

Altri tempi quelli di Giovanna, la nonna del Corsaro Nero. Gli odierni nipoti non sanno nemmeno cosa voglia dire essere “filibustieri. Restano “pendagli da forca”, che da vecchi lupi di mare, però, un processo da organi geneticamente modificati ha trasformato in iene e famelici sciacalli.

Antonio V. Gelormini

 Redazione

 

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