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29/03/2008

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Febbraio: 3° anno della scomparsa di F. Fiorentino

Clicca per Ingrandire Scusate l’uso improprio della prima persona, ma la riflessione è talmente personale che non si può ricorrere al tradizionale giornalistico plurale.
Arrivai dritto alla porta della presidenza senza trova-re ostacoli. Me ne meravigliai, ma solo per un attimo, perché l’ansia dell’incontro superò ben presto qualsiasi timore di non essere ricevuto. Era aperta. Mi affacciai solo con la testa e ne vidi un’altra, curva su una scrivania coperta da carte… carte… carte. Il proprietario di quel cranio percepì la mia presenza e lo sollevò. Sorpreso, allargò la bocca in un sorriso a significare tanti interrogativi (“chi è lei”, “cosa posso fare per lei”, “da dove spunta lei”) ma subito si rifece seria alla mia domanda, chissà, forse un po’ troppo perentoria.
“Filippo Fiorentino?”
Nell’attimo che la divise dalla risposta, registrai la vivezza di due occhi acuti, radiografanti, spilli che perforavano ossa e plasma, incisivi eppure ingenui, di quella ingenuità che si ritrova nelle persone oneste, aperte, sensibili, mai timorose di commettere errori perché incapaci di commetterne, sicure, fondamentalmente buone. Uno sguardo che diluiva incertezze e rasserenava l’interlocutore, invitandolo a non essere così impacciato.
“Sì!?”
“Piero Giannini.”
Ci conoscevamo solo per telefono. Il mio bisogno di avvicinare un uomo, di cui mi affascinavano immediatezza nella scrittura, semplicità espositiva e un lessico favoloso, mi avevano suggerito di contattarlo per lettera settimane prima e chiedergli la valutazione di una silloge che mi ero intestardito a voler pubblicare. Prima di andare in cerca di un editore pazzo e fare passi falsi (non essendo poeta!), avevo ritenuto che l’unico critico in grado di dirmi “buttati a mare, tu e le tue… poesie” fosse questo Filippo Fiorentino scoperto sulle pagine del “Gargano Nuovo”. Perciò gli avevo spedito la raccolta chiedendogli un giudizio e, per invogliarlo alla lettura, accennato che ero di altra contrada ma avevo sposato una garganica. Fu questo che lo decise? Non so. Però, poco tempo dopo, nella cassetta delle lettere, avevo scoperto la sua risposta.
“Ritirato il dattiloscritto di ‘Fiori di perla’, ho trovato nella quiete di una sera rodiana penetrata da un gelido grecale il gusto di una lettura decisamente ansiosa. Mi ha travolto man mano la piena di sentimenti di un garganico d’elezione, tramati di storia per illuminazioni liriche, profonde e graffianti («Tanti saluti!»), delicate e terapeutiche («I grilli di Manacore»), mai fatte di plastica. Mi ha sorpreso l’affetto per una terra di cui Alfredo Petrucci cantava l'ossatura titanica e il mirabile volto, per la quale non si può oggi che intonare sommessa una ineluttabile «trenodia»”.
La sera stessa ero seduto nello studio di un editore amico che decise di rischiare solo per aver letto quanto appena riportato. Il giorno dell'uscita trionfale, ne spedii copia al prof. Filippo Fiorentino, preside d’Istituto.
Neanche quella costituì l’occasione buona per conoscerci di persona. Lo stimolo a capire chi fosse il proprio interlocutore, ma sì, anche come fosse fatto, se portava occhiali o meno, baffi o no, se era alto o basso, biondo o canuto, veniva (e venne) superata dal… feeling?... certo, dal feeling che si instaurò fra due anime. Ci legò la passione che ti spinge a concretizzare i sentimenti, parteciparli ai tuoi simili, pubblicizzarli pur sapendo di essere deriso o sottovalutato o discriminato o minimizzato.
Adesso, finalmente, lo avevo di fronte! E fu come se ci fossimo conosciuti da una vita. La sua abilità stratosferica a mettere a suo agio la gente - e con gente intendo chiunque, dal più umile al più preparato - superò qualunque frase fatta e sciocchi, inconcludenti convenevoli, tanto che di colpo mi trovai di fronte tutti i problemi culturali di un Gargano da me ignorato sciorinati come panni a un sole che non si decideva - e ancora non si decide, purtroppo - ad asciugare. Me ne parlò come se leggesse nei miei occhi quanto aveva da parteciparmi, quasi fossi un suo conterraneo con cui sfogare amarezze e delusioni. E senza pompa, ostentazione, non un'ombra di arrogante supremazia intellettuale, con una facilità d’eloquio, ricco ma abbordabile da chiunque, una dialettica impressionante e una foga da neofita.
E’ molto probabile che non sappiamo o non s'è ancora capito “chi” abbiamo perso, quale tempra d’uomo si sia privato il Promontorio, ma è certo che le sue eredità non possono rimanere solamente nei cuori di chi lo ha conosciuto e nella memoria di chi lo ha amato. Bisogna fare qualcosa! E’ necessario “fare” qualcosa!
PIERO GIANNINI

 "punto di stella" - mensile d"informazione del gargano

 

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