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03/03/2008

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A meno che si voglia sputare in un piatto non nostro

Clicca per Ingrandire  “L’intera zona era spianata. Alcune grosse travi s’erano arrestate contro il fianco della chiesa, ma a parte quelle soltanto le pietre dei focolari, nel mare di fango, mostravano dove erano esistite le case. Non era rimasto neppure un albero giovane.” (Ken Follet, “I pilastri della terra”)
Messaggi lanciati dalla letteratura. Moniti fantasticati da autori in odore di celebrità e successo. “Achtung” minacciosi calpestati dalle improvvisazioni dell’uomo, dalla sua precarietà, dalla sua sfacciata provvisorietà. Ieri, oggi, domani e sempre. Poi… le sovvenzioni, gli aiuti, i finanziamenti, i fondi nazionali, europei, internazionali (soldi buttati al vento per l’improntitudine umana), quindi la ricostruzione. Più difficile della costruzione quando si tratti di ambiente, natura, boschi, pinete. Un conto è rimettere in piedi una casa, una cascina, una fattoria, un palazzo venuto giù per incompetenza ingegneristica o manovalanza infingarda o maliziose manipolazioni, altro problema “rifare” una faggeta. C’è una bella differenza tra ricostruire dopo un alluvione o un incendio e ricostruire dopo un conflitto bellico.
Ne abbiamo vissuta una, di ricostruzione, che ci ha indicato il riscatto, la liberazione dai gioghi, corazzandoci, costruendoci e ricostruendoci, insegnandoci a camminare con le nostre gambe, ad affrontare il mondo con tutto il bagaglio di sofferenze e sacrifici accatastato negli anni dell’infanzia e prima adolescenza, lanciandoci verso il nostro domani.
Ma se ciò è possibile per le umane vicende, non lo è altrettanto per l’ambiente. Qui, l’uomo - facitore e dis-facitore del mondo che gli è stato dato in prestito - non può nulla, legato mani e piedi da ineludibili leggi (certe volte anche statali, necessarie) e molte volte non gli rimane che aspettare. Attendere che la natura faccia il suo corso, segua le proprie regole. Ammenocché, di fronte alla catastrofe… Già! A meno che…
A meno che non scenda in campo la solidarietà.
A meno che non si rimanga improduttivi.
A meno che non si sprofondi in polemiche.
A meno che non si pensi solo al lurido interesse.
A meno che non si attenda la manna dal cielo.
A meno che non si cerchi altrove l’energia che ciascuno ha dentro di sé.
A meno che non si lascino le cose allo statu quo.
A meno che non si provveda, con movimenti di pensiero e azione che dovrebbero esserci propri.
A meno che non si affondi la testa nella cenere per non vedere e si scantoni.
A meno che si voglia sputare in un piatto non nostro.
A meno che non s’infilino nuovi sentieri esistenziali.
A meno che non ci s’infogni in guerre tra poveri.
Quanti “ammenocché” si potrebbero aggiungere. Ma uno su tutti li raccoglie e sintetizza: a meno che non si muoia tutti prima della ricostruzione! Catastrofismo, allarmismo, pessimismo? Vi lasciamo la scelta!

 Quotidiano "Puglia"

 

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