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03/01/2009

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“CORTIGIANI, VIL RAZZA DANNATA...”

Clicca per Ingrandire Gli specchi sono tornati a riflettere la bellezza del Petruzzelli e a diffondere il moltiplicarsi abbagliante di luce, in uno scrigno così unico di emozioni, arte, impegno, professionalità, maestria e cultura. Forse anche per questo adesso è più difficile arrampicarvisi, per cercare improbabili vie di fuga da un’innegabile ed evidente realtà: “Il teatro è pronto e va riaperto”. Tenerlo ancora chiuso è un crimine, un’infamia e uno spreco imperdonabile, che nessuno può permettersi.

Allibiti, sgomenti, ma non stupiti, si assiste all’ennesimo ricorso della famiglia Messeni Nemagna, nella parte più consistente, questa volta nientemeno che alla Corte Europea dei diritti dell’uomo in Strasburgo. Per il sostegno di un concetto pilastro della convivenza civile: “Il rispetto dei patti è un principio universale”.

In un assurdo gioco delle parti, che tende a dilatare a dismisura il palcoscenico processuale in atto, la trama presenta i protagonisti che giocano il ruolo di eredi-proprietari, rigorosamente alla larga dagli “onerosi” impegni di ricostruzione. Nel paradossale e repentino ritiro delle mani tese dell’accusa, alla vista delle chiavi del politeama, in una sorta di sdegnato e spaventato “vade retro”!

Un cardinale del foro che già nel nome (Ascanio) testimonia l’antica partita aperta e irrisolta con roghi, assedi e distruzioni, mentre si vede scivolare su quegli specchi. Dimenticando, ad arte, il “peccato originale” degli eredi difesi: l’esser venuti meno ai patti fondanti e aver fatto commercio di locali funzionali all’attività teatrale, gravanti su quello stesso suolo pubblico, concesso per ben altri e nobili scopi, e sottratti alla composizione del politeama.

Una schiera di cortigiani (tante volte apostrofati dal Rigoletto di turno: “vil razza dannata”) intenti a difendere uno scellerato protocollo d’intesa, che già nel 2002 accreditava i suoi principi nella schiera degli eletti al nuovo pensiero del governo nazionale. “Privatizzare i guadagni e socializzare gli oneri”, vessillo che più tardi sarà fatto imbracciare anche ai cosiddetti capitani coraggiosi di Alitalia, per farne motto della nuova compagnia di bandiera.

Un don Chisciotte provato, ma ancora in sella, pronto a riaversi per coronare il sogno d’amore per la sua città-Dulcinea. Che guarda il Petruzzelli e coltiva la segreta ambizione del principe pucciniano Calaf di Timur: veder ricambiato lo slancio d’affetto dalla riconquistata Turandot.

Al pubblico non resta che sperare nel provvidenziale e sospirato “arrivo dei nostri”, che potrebbe materializzarsi, per rimanere in tema di roghi e “orrende pire”, nell’ostinata resistenza di una moderna e laica Giovanna d’Arco, nei panni di scena di Norma, ma al secolo assessore regionale alla Cultura Silvia Godelli. Fatta sua l’esortazione del presidente Napolitano: “Trasparenza e rigore nell’uso del denaro pubblico”, l’eroina ricorda che “il Teatro è stato interamente ricostruito con i soldi pubblici e che il pubblico ha investito quel denaro per tutti i pugliesi, e non certo per fare un regalo ai Messeni Nemagna”. In pratica, rinegoziare tutto. Trovare un accordo su basi del tutto nuove e più razionali.

L’alternativa è nella strategia del fronte popolare. La “class action procedimentale” dei 300 cittadini firmatari, al seguito dei triumviri legali Luigi Paccione, Alessio Carlucci e Nicola Favia, mira a considerare il Teatro bene pubblico, attraverso l’iniziativa di tutela per “danno o torto di massa”.

Nelle aspirazioni dei fondatori il Petruzzelli nasceva per essere un teatro per tutti i pugliesi. I suoi specchi ben presto torneranno a riflettere la tipica e variegata galleria dei loro sguardi. Ma provvederanno anche a moltiplicarne il monito, espresso da cittadini consapevoli, per una rivendicazione ormai legittima e matura.

Antonio V. Gelormini

 Redazione

 

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