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27/11/2008

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E LA CARNEFICINA CONTINUA…

Clicca per Ingrandire "Come possiamo crepare in fabbrica se ci ammazzate prima?"

Frase che “brucia”, e produce ustioni ancora più profonde se si ricorda che chi l’ha rivolta agli occupanti delle famigerate “stanze dei bottoni” sono i compagni di Vito, il ragazzo torinese morto sotto il crollo del soffitto di un ambiente in cui aveva tutte le ragioni di sentirsi protetto, al sicuro: l’aula della sua scuola!

Se il pensiero dei nostri giovani d’oggi tradotto in parole è questo, l’amarezza di quanto e come loro considerino la società italiana moderna diventa incommensurabile. Se si arriva a denunciare con una riflessione simile, una morte “così” irrazionale, illogica, commemorando l’inconcepibile scomparsa “così” violenta di un loro collega, ciò riveste un unico sconvolgente significato: siamo alla frutta.

Se il dolore per un evento luttuoso di questa portata arriva a sintetizzarsi nello “spaventoso” slogan coniato per un funerale che non avrebbe mai dovuto celebrarsi, coagulandosi in un collegamento altrettanto “spaventoso” tra scuola e lavoro, la carne che ci riveste diventa acqua, le ossa che ci hanno guidato nella evoluzione della specie permettendoci la posizione eretta si sbriciolano e il sangue che alimenta l’intero apparato fisiologico evapora sotto i colpi di maglio di una società che non solo non sa difendere e proteggere la propria forza-lavoro, ma si concede lo spietato lusso di recidere alla base le radici delle forze-lavoro di domani.

Ciò che maggiormente sgomenta è l’immediatezza della connessione libro-officina, studio-azienda, apprendimento-impiego operata dalle giovani menti di Rivoli. Il rapporto “imparo oggi” per crearmi un futuro che riscatti me e i miei progenitori da una condizione di amorfa subordinazione alle ferree leggi del mercato e mi consenta un “domani” scevro di problematiche e pensieri neri, si fa subumano. Precipita al peggiore livello che un cervello involuto possa progettare.

I giovani che hanno “pensato” quella frase per onorare un compagno morto in una tragedia inammissibile e salutarlo prima di iniziare il suo precocissimo ultimo viaggio, non lasciano spazio a speranza alcuna. Se vivo oggi in pericolo, morirò domani per un altro pericolo. Se permettete che muoia oggi per una minaccia assurda, non mi “offrite” la possibilità di morire domani per un’altra minaccia assurda.

Il rischio, finora unilaterale, delle morti bianche (si muore solo sul posto di lavoro) è diventato a due facce: si muore anche là dove ci si prepara a occupare un posto di lavoro. Sintesi maledettamente perfetta realizzata da quella frangia di adolescenti, per fortuna ancora numerosa (… fino a quando?), che pensa a costruirsi le basi di un domani migliore dei padri. “Se ci ammazzate prima, come farete ad ammazzarci poi”. Tremendo! Pari, come intensità, se non di più consistente fattura, all’altra frase, dei ragazzi calabresi in rivolta contro la ‘ndrangheta: “Adesso ammazzateci tutti!”

E la carneficina continua, specie se il pensiero corre alle morti insulse e agghiaccianti del sabato sera. Persevera e fa strage tra giovani leve che non potranno mai rilevare le progettualità dei padri, non potranno mai immaginare per loro e i loro figli una società che sappia tutelarli, un sistema che salvaguardi il “futuro” di quella stessa società, una struttura più salda, più umanamente vera, meno aleatoria e precaria.

“Sei diventato l’angelo custode di tutti gli studenti del mondo” ha detto la sorella di Vito dal pulpito della chiesa dove si sono tenuti i funerali… E la carneficina continua…

Piero Giannini

 Redazione

 

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