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04/11/2008

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TROPPE ARIE E TROPPE VOCI GENERANO CONFUSIONE

Clicca per Ingrandire Per fortuna la ricostruzione del Teatro Petruzzelli è avvenuta con materiale ignifugo. Altrimenti i falò di interessi familiari, riaccesi con la sentenza della Corte Costituzionale, e le polemiche infiammate sui tempi e le modalità della sua riapertura, avrebbero perpetuato gli effetti di una notte sciagurata, che 17 anni fa sconvolse gli animi dei baresi e quelli del mondo intero.

A poco a poco il sipario si alza sulle forme ricostruite del Politeama. Piano piano vengono rimosse barriere e transenne sugli spazi che lo circondano. Giorno dopo giorno il Teatro si disvela e, nella sua lenta ma armoniosa “epifania nicolaiana”, emerge anche la cacofonia di suoni di un’orchestra mediatica a più interventi. Nell’attesa del ticchettio autorevole della bacchetta di un maestro, capace di imporre carisma, espressione e dialogo melodico perduto.

In assenza di praticabilità dello storico palcoscenico, si calca la scena degli organi d’informazione. Dichiarazioni, gorgheggi, prove di scala, arpeggi e svisate d’archetto si sovrappongono, in cerca di un “la” di riferimento. E tra l’assordante vociare, in città e sul web, di migliaia di firme per “Riaprire il Teatro”, un acuto e una stecca spiccano tra tanta distonia.

Prima l’acuto appassionato e d’amore dichiarato di Franco Zeffirelli, che incita Stato ed enti locali a riconoscere il Petruzzelli un bene della collettività e del Paese intero. Perché “possedere un teatro è come essere proprietari di una chiesa: non ci si può speculare sopra”. E raccomanda ai baresi “di difendere a denti stretti il Petruzzelli. Esso appartiene a loro, alla storia della città e della cultura musicale italiana ed europea”.

Poi la stecca del candidato sindaco (nonché emerito) Simeone Di Cagno Abbrescia, che piuttosto della ricerca di sintonia con la città è preoccupato e infastidito dal possibile attrito con la famiglia Messeni Nemagna. E vorrebbe sapere “se le eredi ritengono che ci sia un contrasto tra me e loro”.

Il timore che troppe arie e troppe voci possano solo generare confusione al Ministero è alquanto marcato. Manca solo un mese al 6 dicembre e l’orologio scandisce il “countdown”. Sarebbe davvero un peccato se, dopo tanti sforzi, tante speranze e tanta partecipazione, gli entusiasmi venissero smorzati dalla delusione di una “Ouverture” sorda, a sipario rigorosamente e perennemente chiuso.

Antonio V. Gelormini

 Redazione

 

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