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01/02/2008

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ELOGIO DEL DIGIUNO

Clicca per Ingrandire Quaresima: giusto momento per rilanciare pratiche di digiuno e astinenza. Ma hanno ancora un senso nel mondo d'oggi, trovano ancora sostenitori convinti? E come venivano regolate nel passato? Lo scopriamo da “L'Editto per l'Osservanza della Quadragesima”, nella Appendix Synodi della diocesi sipontina datata 7 febbraio 1676. Il 26enne arcivescovo Vincenzo Maria Orsini considera la Quaresima “un tributo che ogni Cristiano Cattolico deve rendere a Dio, Sommo Creatore, un periodo da accettare, il tempo in cui lo Spirito deve tra le astinenze spiccare superiore al corpo”. Seguendo il dettato di Sacri canoni e Sacro Concilio di Trento, ordina a tutti, e a ciascuno dei suoi “sudditi”, che nella prossima osservino: “Che niuno, almeno dai sette anni in su, ardisca di mangiar carne di qualsiasi specie” e uova e butiro (burro). Le sanzioni? Pesanti: deposizione per gli ecclesiastici, scomunica per i laici. Chi è in età “obbligante” è tenuto a digiunare ogni giorno, a eccezione delle domeniche. Orsini esenta da questi obblighi gli infermi e chi ha avuto “per legittime ragioni dispensa da' sacri Canoni”, tenuti però a produrre “fede giurata del Medico” e del confessore che “abbia cognizione della loro coscienza”. Dopo averle presentate al vescovo, o suo vicario generale o foranei della stessa diocesi, sarà possibile ottenere la licenza. Ma i divieti non finiscono qui: pur con la dispensa scritta, gli infermi sono tenuti “ad usare detti cibi moderatamente e privatamente”, evitando di farsi vedere, in special modo da persone sconosciute. Ordina a medici e confessori di non rilasciare, salvo necessità, tali certi ficati minacciandoli di sanzioni se agiranno con leggerezza, e di non vendere pubblicamente cibi vietati obbligando “i bottegari, in tempo di predica, a tenere chiuse le botteghe”, pena il sequestro della merce. A evitare che il digiuno sia occasione di vanto, s'effettuerà in segreto e umiltà. La tradizione cri-stiana è categorica: “Meglio mangiare carne e bere vino piuttosto che divorare con maldicenza i propri fratelli” (Abba Iperechio). “Se praticate un regolare digiuno, non inorgoglitevi. Se per questo vi insuperbite, piuttosto mangiate carne, perché è meglio mangiare carne che gonfiarsi e vantarsi” (Isidoro il Presbitero). “L'Editto” si chiude con una raccomandazione: “Melior est abstinenti a vitiorum, quam ciborum” (meglio l'astinenza dai vizi che dai cibi). Perciò, in questo “sagro tempo”, l'odio va messo da parte, occorre riappacificarsi col prossimo, astenersi da cacce, conviti, festini, seguire le prediche, udire ogni mattina la santa messa, più volte confessarsi e comunicarsi, e fare opere pie confacenti al buon cristiano. Nei giorni festivi “venditori di pane, vino, frutti ed ortaggi, macellai, bottegai e albergatori, a-romatarij e spetiali” possono ven-dere “acciò le feste non siano gravi, ma celebrate con hilarità spirituale”. Ma “nelli giorni della Pascha di Resurrezione non s'aprirà alcuna botegha, nè si venderà, nè si opererà, o farassi alcuna cosa se non per mera & evidentissima necessità di qualche infermo”. Oggi la disciplina ecclesiastica s'è attenuata, solo 2 i giorni di di-giuno: il mercoledì delle Ceneri e il venerdì santo. Ma perché ancora digiuno? La teologa Stella Morra afferma: se un'indicazione affonda le radici nei secoli ha tutti i numeri per essere valida. Privarsi coscien-temente del cibo rende visibile una condizione dell'uomo: lo fa mendicante, non più onnipotente. Il mangiare appartiene al registro del desiderio, supera la semplice funzione nutritiva: moderando la fame, si moderano tanti appetiti. Si disciplinano le relazioni con gli altri tendenti ad aggressività e voracità. Digiuno quindi come “educazione del desiderio”: ci insegna qual è la vera fame. In tempi dove digiuno e terapie dietetiche sono diventate un business, l’uomo, cristiano o meno, mai dovrebbe dimenticare la specificità del digiuno e porsi la domanda: “Uomo, di cosa vivi?” terry rauzino

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