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19/09/2008

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IN CERCA DELLA “TERZA VIA”

Clicca per Ingrandire La moderna società tecnologica è giunta al bivio della forte crisi petrolifera ancora nel pieno mito di un progresso illimitato. La fine del petrolio a basso costo renderà questa forma di energia disponibile solo per le industrie americane, forti dell’accaparramento dei pozzi iracheni. La forma più antica di energia (le onde del mare) potrebbe diventare conveniente nel resto del pianeta per produrre energia elettrica.

Per contrastare il surriscaldamento del globo, effetto indesiderato delle emissioni di gas serra (anidride carbonica, metano, ossido di azoto) un’alternativa valida sarebbe l’adozione sui veicoli delle “fuel cells” che utilizzano idrogeno, al posto degli impianti a combustione interna. Le previsioni dell’innalzamento delle temperature medie oscillano tra i 5 e gli 8 gradi nella seconda metà del secolo. Alle ondate di caldo estremo si alterneranno tempeste e alluvioni, conseguenze della instabilità climatica. La tropicalizzazione del clima nelle zone temperate porterà alla diffusione di malattie proprie dei climi caldo-umidi: non solo gli umani, anche la flora e la fauna ne verranno colpiti (è di giugno la notizia dell’abbattimento di tutti gli alberi di un giardino pubblico di Milano, nel cui legno si erano insediati dei mostruosi insetti asiatici).

L’effetto più devastante dell’effetto serra è l’innalzamento del livello dei mari (la previsione è di ben 88 cm), che avrebbe come conseguenza l’infiltrazione di acqua salina nelle falde dei terreni coltivati, rendendo inutilizzabili per l’agricoltura circa il 30 percento delle aree agricole del mondo. Ogni anno, nel mondo, dobbiamo abbandonare 12 milioni di ettari di terra prima arabile e ormai “erosa”, “compattata”, salinizzata dall’alta distruttività dell’agricoltura industriale. Ai giorni nostri stiamo assistendo alla desertificazione di intere aree della Sicilia meridionale.

Bisogna ridisegnare il territorio, disseminarlo di alberi con potere fertilizzante. Nelle parti elevate il castagno è da preferire ad altre piante, mentre nei luoghi prossimi al livello del mare è il carrubo la pianta più adatta, sia per l’elevata produzione di biomassa (i frutti eventualmente non raccolti) sia per creare fasce di frapposizione in caso di incendio. Non possiamo assistere inermi alle decisioni prese altrove (dalle multinazionali del profitto finanziario) che stravolgono la buona qualità di prodotti locali per renderli tutti uguali da un punto all’altro della terra, distruggendo la biodiversità, il forziere dei tesori millenari dell’evoluzione che da sempre ha garantito la continuazione dell’adattamento vitale delle forme organiche alla biosfera.

Dobbiamo aprire gli occhi e opporci a quelle azioni distruttive delle regole adattative, mai casuali, rispettose delle leggi fondamentali che governano i sistemi naturali e tutte le entità viventi (molecole, cellule, organismi, ecosistemi). Creiamo spazi per il processo di socializzazione, l’unica cura possibile dei mali sempre più devastanti che minacciano le basi della permanenza umana sul pianeta Terra.

Maria Mattea Maggiano

 Redazione

 

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