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22/08/2008

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IMPARIAMO A “VENDERCI”

Clicca per Ingrandire Non sappiamo più vendere il meglio delle nostre regioni. E’ amaro, tragico, ma è così. Zero in marketing e pubbliche relazioni. Triste realtà. E gli investimenti in immagine e promozione a ogni angolo del mondo? Quelli che partono con i bastimenti di amici e amici degli amici (o compagni e compagni dei compagni)? Risorse buttate al vento.

Nel contesto di un’Europa in cui ognuno valorizza e mette in rete tutte le pietre antiche (talvolta antichizzate), noialtri siamo fuori dai circuiti virtuosi, da un panorama mondiale, dove un solo dipinto in Giappone attira 3 milioni di visitatori l’anno. Non sappiamo valorizzarci. La fortuna ci scivola addosso con colpevole indifferenza.

I siti archeologici di Puglia sono più solitari del deserto dei Tartari di Buzzati. Le cifre (non solo quelle scritte), sono state rettificate da abili uffici-stampa, ma la sostanza resta. E dove i turisti, sempre per caso, riescono ad arrivare, trovano spesso gabbiotti di guide vuote, o devono cercare le chiavi di piccoli musei di provincia tenute dalla zia o dal suocero del guardiano. Che, nonostante Brunetta e la lotta titanica ai fannulloni, il più delle volte se ne va per i fatti suoi, inalberando il cartello del “torno subito”, avverbio notoriamente senza tempo nel nostro bel Paese.

Vien da chiedersi: che fanno le istituzioni quando vanno alle fiere o altrove? Si portano dietro la claque del tutto spesato, col turibolo del “quant’è bella la nostra terra”, scatoloni di depliant plastificati buttati sui tavoli, un po’ di piatti tipici spacciati per il must, stand presidiati dalle bonazze, rassegne-stampa turgide di autoreferenzialità. Ma così si faceva promozione nel Mesozoico.

Idem con i convegni, altra articolazione metafisica dove ci si strappa i capelli di sdegno, si palleggia con le responsabilità (è sempre colpa di qualcun altro, a volte defunto) e tutto viene detto e stradetto, senza soluzione di continuità. La diagnosi c’è, ma non la cura, e tanto meno la responsabilizzazione. Fino a quando?

La formazione professionale, per dirne una, continua ad avviare a mestieri e professioni stravaganti, estranei al territorio. Le Università aprono corsi di lauree brevi in conservazione dei beni archeologici. Ma non fanno sistema, perchè poi si spendono cifre per il recupero e al termine della filiera i turisti non arrivano.

La soluzione? Deregulation. Affidiamo la promozione dei nostri beni culturali ai privati, finanziandoli con gli stessi fondi inutilmente bruciati sinora. Le istituzioni facciano corsi di autovalorizzazione, di marketing, di pr. Ognuno faccia la sua parte, non tutto, altrimenti si interrompe il circolo virtuoso ed è il black-out, col solito gatto che si morde la coda: convegni e dibattiti in cui ci raccontiamo per l’ennesima volta le stesse cose per scoprire, alla fine, altra, costosa acqua calda.

Francesco Greco




 "Puglia" (21/08/2008)

 

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