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19/08/2008

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La fantasiosa

Clicca per Ingrandire Originaria di Cagnano Varano, Maria Antonia Ferrante esercita la sua professione di psicologa e psicoterapeuta a Roma, pur restando sempre legata al Gargano dove torna appena le è possibile. Ma Marinetta Ferrante si cimenta da sempre con la scrittura, oltre che di articoli inerenti alla sua professione, anche di opere storiche o d’invenzione. All’ambito storico vanno attribuite: “San Michele tra luce e ombre”, sul culto micaelico a Cagnano Varano; “Memorie di guerra dall’idroscalo. Il lago Varano 1915-1918”, sulla stazione di idrovolanti di San Nicola Imbuti durante la prima guerra mondiale; “L’anima e la spada. Desiderio di Montecassino e Roberto il Guiscardo”, sullo sfondo di un medioevo caratterizzato dal conflitto tra papato e impero; all’altro filone è da attribuire la favola “Lo spaventapasseri”.

Il romanzo “La fantasiosa” si pone forse a metà, esso è la storia di un’anima e ruota attorno alla figura di Malìa (il nome è dovuto alla stravaganza del padre, che la convenzionalità della madre ha trasformato in Maria). Già nel nome ella rivela la sua particolarità, rappresentata soprattutto dall’esercizio della fantasia, un esercizio a cui l’ha avviata il padre e lei mette in atto di volta in volta per superare momenti particolari nel corso della sua vita: da bambina, per compensare le rigide regole che la madre le impone; nel corso dell’esistenza, per superare momenti d’insoddisfazione, carenza affettiva, grande dolore.

L’esercizio della fantasia da parte di Malìa non rappresenta, però, una fuga dalla realtà. L’uso della fantasia è un esercizio terapeutico che l’aiuta a dare pienezza alla sua vita, alla sua voglia di vivere e diventerà una sorta di antidoto contro la tirannide del mondo, del luogo, del tempo, del destino, per proiettarsi verso una dimensione più piena, per soddisfare quel bisogno d’infinito che è in ognuno di noi e si concretizza attraverso gesti semplici, come un rapporto quasi intimo di Malìa con le stelle, sulla scorta degli insegnamenti del padre, fino a dare alle stelle un nome tutto suo. È così che Malia esercita il monito paterno: “Resistere, resistere, bastare a te stessa”; cerca in te stessa la forza di affrontare le difficoltà di cui è disseminata la vita; trova un rinforzo benefico alla quotidianità”.

Insomma Malìa non sta con la testa fra le nuvole. Malìa-Maria-Fantasiosa è nel mondo, lo ama e lo comprende, ama giugno e la luce, ama le atmosfere mediterranee che accendono la fantasia e ci riportano ai tanti miti di cui sono depositarie le isole mediterranee, come quella che tutte le sintetizza in quest’opera, l’isola di Malta, crogiuolo di culture, dove realtà e fantasia si toccano, per Malìa: quell’isola è oggetto dei suoi studi di insegnante universitaria di Geografia, ma è anche lo scenario dove la sua fantasia colloca le vicende che scandiscono il libro.

In quest’isola, permeata di cultura mediterranea, Malìa trova le premesse alle sue creazioni fantastiche nella presenza del mito come espressione della ricchezza interpretativa della realtà, che riesce a trasfigurare persino i due momenti essenziali della nostra esistenza: la vita e la morte. In quella cultura Malìa ritrova anche il mito di una dea della fecondità, che nel suo caso sovrintende alla fecondità dell’immaginazione.

E come ogni mito è specchio del luogo che lo ha generato, così la fantasia di Malìa è specchio delle diverse situazioni problematiche che ne costellano l’esistenza, frustrando il suo desiderio di pienezza di vita. La protagonista si muove tra le mille difficoltà della sua vita, come Ulisse affronta mille difficoltà, sfida più volte la sorte, per approdare nel luogo degli affetti.

Il viaggio, metafora della vita, è il filo rosso del romanzo. E il mito del viaggio si scorge forse anche in quel nome “Argò”, che è il paese di Malìa, ma che solo per un accento si differenzia da Argo, la nave usata da Giasone nel suo viaggio difficile e travagliato, continuamente minacciato dal rischio di mille pericoli, sventati solo dalla provvidenza benigna degli Dei, e metafora dell’esistenza stessa di Malìa, in cui ella è sorretta dalla fantasia (ma non è forse divino questo uso della fantasia di cui è capace l’uomo?), fantasia che riesce a darle la carica giusta per andare avanti, per giungere alla meta.

Né penso vada taciuto l’aspetto autobiografico, presente non solo nelle vicissitudini di Malìa, ma nella stessa descrizione dei luoghi, a partire proprio da quell’Argò, in cui non è difficile intravedere Cagnano Varano, il paese d’origine di Marinetta, con il suo monte, “la difesa”, come lo chiamano, che lo sovrasta e lo protegge; e ancora in quelle caratteristiche archeologiche e paesaggistiche, come le cavità naturali, la ricchezza di acque che rendono possibile la presenza dell’uomo fin da epoche preistoriche, elementi che ci riportano al Gargano e forse ancora a Cagnano (penso alla zona di Bagni e Pannoni), per concludere con i riferimenti alle “essenze di zagare, di garofani e gerani” (non siamo ancora nel Gargano, o forse potremmo dire più semplicemente in ambito mediterraneo?).

Qui realtà e fantasia non sono in antitesi, come nella novella di Gogol citata nel libro. Malìa, dietro l’insegnamento del papà, grazie alla sua iniziale complicità, esercita un attento dosaggio tra reale e irreale, “senza avvertire stati di confusione e di inquinamento fra l’una e l’altra realtà”, in una sorta di complementarietà tra realtà e fantasia. Ma alla meta Malìa troverà gli affetti, come è accaduto per Ulisse, o l’agognato premio, come per Giasone? O, ancora una volta, il confronto tra l’uomo classico e moderno si risolverà a favore del primo? Per Malìa si prospetta forse la tragica sorte della “Piccola fiammiferaia”, che papà Eccelso amava raccontarle da bambina: la forza della fantasia di Malìa soccomberà nel suo scontro con la realtà lasciando, purtroppo, la Fantasiosa sola con la sua amara realtà di vita?

Forse nulla di tutto ciò, perché Malìa ha imparato che “Immaginazione e Fantasia sono depositate nello Spirito, nella parte immortale dell’uomo” e questo le proietta ben oltre i limiti naturali dell’uomo stesso, per offrire ancora una volta a ciascuno quella pienezza di vita cui si aspira, almeno in una dimensione altra, in una dimensione in cui finito e infinito, realtà e fantasia finalmente si ricongiungano.

Pietro Saggese

 Uriatinon

 

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