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17/03/2010

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LA RIVENDICAZIONE DI FERRUCCIO CASTRONUOVO

Clicca per Ingrandire Anno 1984: il Gargano diventa ancora una volta set cinematografico. Dopo pellicole importanti, come “Ecce Homo”, di Sabel, o “La Legge”, di Jules Dassin, con una giovane Lollobrigida, è il garganico di Federico Fellini, Ferruccio Castronuovo (foto del titolo, col famoso regista romagnolo di cui era aiuto; ndr) a essere chiamato per registrare, ancora una volta su questo pezzo di Puglia, le scene del film “Il Ragazzo di Ebalus”.

Il film tratta delle vicende di un giovane terrorista, Marco, ricercato dalla polizia e dai compagni che lo vogliono uccidere per farlo tacere per sempre. Il ragazzo dopo una rapina in cui trova la morte la sua fidanzata, fugge verso Sud. In Puglia. Arriva a Taranto dove cerca di espatriare ma, individuato dalla polizia, è costretto a fuggire nelle campagne. Trova accoglienza in un vecchio trullo, dove l’anziano agricoltore (Riccardo Cucciolla, nel fim; ndr) cerca di nasconderlo per qualche giorno.

Li incontra una professoressa che appassionata dalla sua storia e affascinata dal giovane, interpretato da Saverio Marconi, gli propone di rifugiarsi da una sua zia alle Tremiti. Cosi fanno. Passano una notte, ma vengono scoperti. Marco è costretto a tornare indietro, a espatriare. Non ci riesce, muore, ucciso da una compagna terrorista (interpretata da Therese Ann Savoy; ndr).

Nel film si riconoscono distintamente i luoghi delle scene: l’abbazia di Calena, il castello e la Rupe di Peschici, il piccolo porticciolo del centro garganico, la litoranea per Vieste. Un forte legame col passato e i versi delle Georgiche di Virgilio, che oggettivamente rendono di difficile comprensione la storia, sono il filo conduttore e il legame fra il protagonista (il terrorista Marco, in crisi ideologica e alla ricerca di una strada che non riuscirà a trovare) e il vecchio agricoltore, che lo ospita disinteressato. I valori alternativi all’interno di una società in crisi, come quella dell’Italia degli Anni Ottanta, la morale.

Altra particolarità della pellicola sta nella regia. Per la locandina il regista è Giuseppe Schito, per noi Ferruccio Castronuovo (foto 1 sotto, al lavoro, e 2, sul set del suo “Appunti sul film di Federico Fellini LA CITTA’ DELLE DONNE” presentato al Festival veneziano il 2009; ndr), da tempo romano d’adozione (è nato infatti a Vico del Gargano), dove ha svolto corsi di cinematografia. L’idea è sicuramente di Schito, che vede il lavoro come un’occasione per ottenere finanziamenti dalla Regione Puglia, ma lui non è un regista e non ha mai lavorato in quel settore. Dopo qualche sgangherata ripresa, viene così chiamato Ferruccio.

“Il direttore della fotografia era mio amico e mi chiamò perché il regista non sapeva da dove cominciare, e che sicuro di un flop aveva già pagato tutti - spiegò Castronuovo, intervistato qualche anno fa dai giovani ‘giornalisti’ del Liceo di Peschici. - Il copione era mal scritto. Cominciai a rivederlo e correggerlo come meglio si poteva. Il film doveva essere consegnato in quattro settimane e cominciai a lavorarci anche di notte, sorbendomi la maggior parte del lavoro e, per rispettare i tempi e consegnare 5 minuti di pellicola registrata e montata al giorno, feci anche lo sceneggiatore”.

Il regista “da locandina” (Schito) vince numerosi premi in Puglia e Salento, nonché il premio come Miglior Film Cooperativo alla Mostra del Cinema di Venezia del 1984. E Ferruccio, cacciato in malo modo dal set, resta nell’ombra. “La produzione commise gravi errori di carattere amministrativo e fiscale nei miei confronti - rivelò l’amareggiato Ferruccio. - Mi venne dato un assegno di 3 milioni di lire… scoperto, e sulla busta paga in cui figuravo come aiuto regista, vennero poste firme false! Lavorai e non venni pagato. Mi accorsi da subito delle inesattezze e minacciai di denunciare la produzione, che come risposta interruppe il rapporto lavorativo.

“Schito - aggiunse Castronuovo - dovrebbe avere, cosa che non ha mai avuto in tutti questi anni, l’umiltà di ringraziare pubblicamente chi gli ha permesso di arrivare a Venezia senza meritarlo. I meriti di quel premio vanno alla mia capacità professionale di trasformare una sceneggiatura pietosa e da dilettante in un racconto cinematografico ai limiti della decenza. Infatti i miracoli non sono riuscito a farli nemmeno io”.

Una verità che forse pochi ancora oggi conoscono e per la quale un affermato e rispettato regista innamorato del Gargano, del brigantaggio e suonatore di chitarra battente (foto 3, sulle tavole del trabucco Montepucci, Peschici), meriterebbe almeno un riconoscimento.

Domenico Ottaviano jr.

 l’Attacco + redazione

 

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